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RICORDO DI ALDA MERINI
DI STEFANIA ARINISI
A poco più di un anno dalla scomparsa di Alda Merini, l’università di Messina l’ha ricordata organizzando un convegno in suo onore, presieduto da una commissione di professori composta da Antonino Pennisi, preside della facoltà di Scienze della formazione; Dario Tommasello, professore di letteratura italiana e moderna presso la facoltà di lettere e filosofia; e la Dott.ssa Elvira Ghirlanda che ha introdotto le poesie della Merini, lette da alcuni studenti appassionati di teatro.
Alda Merini è stata una delle grandi poetesse del 900, una figura emblematica di donna ribelle, anarchica che ha lottato contro le convezioni della società. Una vita tormentata la sua, segnata dalla malattia mentale, dall’incomprensione da parte del mondo e dei suoi cari, sempre al confine tra il riconoscimento della sua grandezza e il biasimo dei perbenisti. Ha saputo scavare in profondità l’animo umano e dar voce al dolore degli esclusi, non solo grazie alla sua straordinaria sensibilità ma soprattutto per aver vissuto sulla sua pelle l’esclusione e l’emarginazione.
Nata nel 1931 a Milano, da una famiglia poco abbiente, esordisce a soli quindici anni con la raccolta di poesie “La presenza di Orfeo”. Un primo rifiuto le viene dalla scuola, il liceo Manzoni rifiuta la sua iscrizione perché giudicata insufficiente alla prova di italiano. Negli anni ’50 raggiunge la maturità, si sposa a ventidue anni con un uomo a cui era molto legata, ma rispetto al quale il divario culturale era notevole, era un operaio, sindacalista e gestore di panifici. Anche la figlia maggiore avrebbe confermato, in seguito, che il disagio psicologico della madre sarebbe stato acuito dalla decisione del padre di rinchiudere Alda in manicomio.
La malattia mentale le strozza la voce per vent’anni, poi Alda Merini esce dal silenzio, e fa della sua follia lo strumento preferenziale per esprimere il dolore umano. La sua parola dirompente è giunta fino a noi, soprattutto grazie a mezzi, quali la televisione e internet, vincendo la lotta contro se stessa, contro le ombre nere che attentavano alla sua felicità, le convenzioni sociali e il mondo accademico che l’aveva sempre guardata con sufficienza.
Il professor Pennisi ha sottolineato l’originalità della poetessa, i suoi modi schietti, sopra le righe, puntando il dito contro gli ambienti universitari italiani invidiosi e snob che nel 1996 non appoggiarono la sua candidatura al premio Nobel. Invece, intellettuali del calibro di Quasimodo e Pasolini l’apprezzarono moltissimo.
Alda Merini è stata in parte risarcita da Costanzo che la portò in tv alla conoscenza del grande pubblico, ma non è possibile risarcirla per tutto ciò che lei ha dato alla poesia. Il vero motivo per cui fu tanto avversata, fu la sua pazzia. Ma il genio di Alda va disgiunto dalla follia che era solo una conseguenza della sensibilità d’animo. La follia non c’entra niente con l’arte, perché la poesia è liberazione dal male come la preghiera lo è dal peccato.
Il professor Tommasello individua una profonda coincidenza tra l’esistenza e la vicenda poetica di Alda Merini, distinta in due fasi: prima dell’internamento e dopo. La fase precedente l’internamento è caratterizzata da un controllo maggiore sulla sua poesia dopo assistiamo ad una produzione incontrollata di materiale poetico. La sua è una poesia intrisa d’amore, di disperazione e trascendenza.
La lettura delle poesie introdotte da Elvira Ghirlanda seguono tre direttrici tematiche: amore, follia e religione. L’amore per Alda Merini è sempre viscerale, una pulsione vitale quasi un’istinto della fame. La follia assume spesso l’immagine della natura selvaggia, incontrollabile mentre la religiosità è qualcosa di intimo e soggettivo, poco ortodossa come del resto tutta la sua vita e la sua poetica.
L’immagine che ci ha lasciato di sé, è quella di una donna dai capelli scarmigliati, lo sguardo profondo e la sigaretta in mano, dalla voce roca e i pensieri limpidi e profondi. Una grandezza che va solo compresa e accettata, mai giudicata.