Per quanto mi riguarda ho risposto "Mi piace parlare onestamente di me anche se non mi spingo oltre la comfort-zone".
Non me ne faccio troppo un cruccio. Il mio è un tratto di personalità introverso: questo è un dato di fatto.
Per natura tendo ad essere riservata anche se, nel tempo, mi sono un po' aperta ampliando il più possibile la mia comfort-zone, imparando a "canalizzare" l'ansia, a non farmi bloccare continuamente da doverizzazioni o dalle classiche emozioni destabilizzanti che scattano in automatico.
Insomma: un po' meno manico di scopa
Oltre il lavoro di autoscoperta/automonitoraggio fatto con il mio psicologo, credo di essere molto incentivata dal mio modo di essere schietto e diretto.
Essere onesta, trasparente, è prima di tutto una mia personale esigenza.
E' la base su cui costruisco il mio concetto di rispetto per gli altri.
Se non si parte da se stessi... come si fa poi a richiedere agli altri di non essere strategici, manipolativi o "camuffati" da qualcosa di diverso?
In certe situazioni, anche da adolescente, piuttosto di "fingere" preferivo non dire, non esprimere.
A domande dirette poi, in situazioni sociali dove probabilmente sarei stata giudicata "assente" o stramba preferivo dire (nel modo più neutro possibile) che l'essere introversi non è una brutta malattia
Chiedendo a mia volta ai presenti se per loro stare a osservare e (per questo) parlare meno degli altri fosse criticabile o sbagliato.
Questo mi aiutava a "sdoganare" la mia introversione.
Dentro avvampavo, ma in generale (messa in questi termini) la questione veniva riportata su binari più oggettivi.
Il riferimento alla mia esperienza personale ovviamente vale per me: non c'è pretesa che possa valere per gli altri. Ha solo un valore di testimonianza, di racconto.
Nessun atteggiamento giudicante, ovvio che per alcune persone assumere una serie di comportamenti funziona da "salvavita".
Naturale cercare di compensare "strategicamente" molti dei gap che l'essere timidi/fobici porta con sè.
Per un timido/fobico il percorso di crescita personale è oggettivamente più pesante e sofferto.
Ma perchè prendersela.... e soprattutto: con chi ce la dobbiamo prendere?
Col destino? Con noi stessi? Con gli altri?
Io credo che "prendersela" non solo sia inutile e dannoso, ma comporti pure una notevole spendita di energia, distogliendola dall'individuare/realizzare comportamenti funzionali e concreti.
Da un lato il desiderio di stare bene, con se stessi e con gli altri.
Dall'altro l'individuazione delle risorse che implementino questo benessere: la loro effettiva ricaduta concreta.
Con il massimo rispetto, dato che ogni persona ha la sua storia "complessa" alle spalle (non riducibile a qualche formuletta stigmatizzante) mi permetto di osservare che le proprie difficoltà non vadano vissute come uno "scudo" dietro cui riparare ogni cosa.
Sarebbe auspicabile fare dei tentativi.
Chiedere aiuto, lavorarci sopra....
(probabilmente) per un introverso/timido/fobico spesso non comporterà la risoluzione del 100% dei problemi.
Questo va accettato: con sano realismo, anche con un pizzico di ironia o fatalismo, a seconda del carattere di ognuno.
Imho (ma forse sono troppo idealista) tra lo star male (o l'essere artificiali) e il guadagno secco di un 10/20% di funzionalità io ci vedo una buona opportunità, che mi porta ad individuare un obbiettivo e a cercare (sola o con aiuto di altri) le risorse per realizzarlo.
Confesso che ho vissuto spesso la "frustrazione" di desiderare obbiettivi impossibili
Come tanti che leggo qui sopra... il desiderio di essere sorridente, sciolta, serena, capace e solare mi caratterizza.
Ho imparato che posso farcela (ma più lentamente) con micro-obbiettivi più alla mia portata. Non saranno il top, ma non sono neanche male.
A 33 anni, invece di chiudermi a riccio, credo di aver comunque realizzato un maggior benessere per me stessa e le persone che mi stanno intorno.
Discorso a parte per chi, in comorbidità con il proprio status, presenta anche sintomi depressivi o di rilievo clinico.
Le situazioni sono davvero molteplici, non iscrivibili certo in queste mie quattro parole alla buona, di cui mi scuso, sperando di non aver urtato la sensibilità di alcuno.