Riflessione che mi ronza in testa da anni ormai (a vedere sia come mi tratta la gente, individualmente, che la società come entità più "collettiva").. e che è ritornata a galla, un po' più strutturata, leggendo per caso questo articolo.
https://www.radiocittadelcapo.it/archives/manicomi-fabbrica-cura-mentale-piero-cipriano-136143/
Cioè.. cosa siamo ormai ?
Io umano ed umanamente trattato non mi ci sento più da tantissimi anni.
Mi sento come un prodotto guasto che non va mai bene e che come tale sarà sempre trattato.
Qualche estratto dall'articolo che mi ha colpito particolarmente:
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“Il manicomio ricordava un campo di concentramento, il Spdc ricorda una fabbrica. […] per il ricoverato mentale è raro fare qualche forma di terapia che non sia inghiottire farmaci, perché in molti Spdc l’organizzazione prevede un solo medico che, essendo appunto solo, lavora spesso per le urgenze. La sera c’è la cena, la televisione, le pasticche poi si deve dormire, e se il paziente non dorme prende la terapia aggiuntiva, perché il sonno in Spdc è sacrosanto, per i pazienti ma ancora di più per i medici e gli infermieri.
Nel suo libro Cipriano descrive il ricovero del paziente all’interno del servizio psichiatrico ospedaliero e il suo possibile trasferimento nella case di cura convenzionata, “a far ricchi gli imprenditori della follia". >>
Ancor più questo, questo mi turba nel profondo (perché ci trovo molto riscontro nella realtà):
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L’autore racconta anche un linea di classe che attraversa il mondo della cura mentale.
“Nell’Spdc il malato è una macchina biologica rotta, che deve essere aggiustata non con la parola, la relazione o con un po’ di umanità, ma con il farmaco”. Le parole saranno riservate per lo studio privato e i pazienti in grado di pagare, quelli più colti e meno sporchi e malati. Insomma, “della stessa classe sociale del terapeuta”.
“Molti medici della mente continuano a usare nella loro pratica due misure, come facevano i loro colleghi di manicomio: la cura violenta, basata su farmaci e fasce, in SPDC, e la cura tranquilla, argomentativa, spiegata, nel silenzio del proprio studio privato”.
Cipriano dà un po’ di numeri: l’80% degli Spdc italiani – e sono circa 320 sparsi negli ospedali italiani – legano i pazienti all’interno di ospedali chiusi. L’ultimo censimento – e risale al 2007 – racconta ad esempio di come nel Lazio un paziente su dieci sia stato legato con tutti e quattro gli arti al letto. Con picchi in alcuni reparti dove la percentuale sale al 25% (un paziente su quattro) e il tempo di contenzione può prolungarsi anche oltre la settimana. Necessità mediche o routine? Cipriano sceglie la prima opzione, parla apertamente di tortura, privazioni sistematiche (della mobilità ad esempio) e isolamento, e definisce gli Spdc “piccoli manicomi moderni nascosti nelle nostre città“. >>
E per finire questo (con quel "lui" iniziale si sta riferendo a Saviano) :
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“Lui si è occupato molto di cocaina e di quanto profitto le mafie fanno con la cocaina – spiega Cipriano – secondo me dovrebbe occuparsi anche di psicofarmaci e capire quanto profitto c’è dietro la psicofarmacologizzazione della società. Una fetta enorme della popolazione prende psicofarmaci, molta più grande di quella che assume cocaina. Il vero profitto è lì, e tra le altre cose gli psicofarmaci sono legali, la cocaina non lo è”. >>
Mi turba nel profondo tutto ciò...
Da anni provo una sensazione così, non solo di essere agli occhi di tutti soltanto un prodotto guasto (che già questo mi fa stare male oltre il sopportabile e desiderare di svanire) , ma che alla fine della fiera non c'è nemmeno un interesse reale da parte di nessuno ad "aggiustarti" (nel senso di venirne fuori, migliorare le tue condizioni offrendo ciò che a ogni essere umano degno di tale nome in realtà serve) , sia a livello di persone singole che di istituzioni, dove ci son solamente grandi interessi economici dietro.. non esseri umani che soffrono e non ce la fanno, persone che si meritano qualcosa di umano...
"il malato è una macchina biologica rotta, che deve essere aggiustata non con la parola, la relazione o con un po’ di umanità, ma con il farmaco”