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Autoconnotazioni
Ho sempre pensato che uno dei meccanismi che più rendono difficile il cambiamento è l'idea che abbiamo, e che quindi implicitamente o esplicitamente trasmettiamo agli altri, di noi stessi. Questo meccanismo in un libro che sto leggendo viene descritto come autoconnotazione. Esistono due tipi di autoconnotazioni: le etichette che ci appiccichiamo da soli e quelle che ci appiccicano gli altri. Anche quelle che ci appiccicano gli altri di solito finiamo presto o tardi col farle nostre, arrivando così in ultima analisi al risultato pernicioso di pensare che "siamo fatti così" e che "non c'è niente da fare". Per lo più queste etichette ci tornano comode, pur essendo negative (mi riferisco infatti qui solo alle autoconnotazioni negative), perché ci evitano di fare cose che non vogliamo. Esempi di autoconnotazione: "sono timido", "sono aggressivo", "sono impaziente", "non sono bravo in matematica", "non sono portato per gli sport"... Inutile dire che le autoconnotazioni più pesanti che mi porto dietro da sempre siano: "sono timido", "sono silenzioso", e che siano un pesante fardello, una spessa catena da cui mi è arduo liberarmi. Voi cosa ne pensate?
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Re: Autoconnotazioni
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Re: Autoconnotazioni
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Poi, man mano che si andava avanti, restavo a bocca aperta per lo stupore. Anche le idee più forti e inattaccabili, le barriere che avevo sempre pensato come eterne (“sono fatto così”, “ormai non si cambia più”, “sono fuori tempo massimo”) erano in realtà tutte connotazioni o addirittura autoconnotazioni. Quello che ritenevo essere mio, erano messaggi ed idee imposte dall’esterno, o appiccicate da altri e poi fatte mie. Ovviamente tutto avevo uno scopo, sebbene aberrante e perverso, e la mia mente era diventata bravissima ad usare etichette di comodo per “non fare”, "non provare", "non uscire dalle cose note" arrivando addirittura a non farmi vedere le cose che avrebbero potuto mettere in discussione le mie idee. Ancora adesso non riesco a restare freddo e distaccato mentre penso alla conclusione a cui arrivammo dopo qualche settimana: “mi sono costruito la mia prigione da solo, e messo in gabbia con le mie stessi mani”. E quindi, pertanto: “Tutti gli ostacoli per la realizzazione dei miei sogni esistono solo nella mia testa, perché sono stato io metterceli”. Questo è stato uno dei punti più intensi di tutta la terapia, il momento di svolta fra la fase iniziale in cui si demoliscono costruzioni mentali aberranti e si incomincia a ricostruire. Per fortuna la seconda conclusione è stata più serena: “Se io sono stato capace di metterli, sono altrettanto capace di toglierli” (!) Poi il gioco è diventato interessante. Tolta di mezzo le resistenze e le paure, si è ormai imparato come funziona il meccanismo. Quindi si può farlo funzionare a rovescio ad esempio imparando ad utilizzare le connotazioni positive più utili ed a farle lavorare per scopi vantaggiosi. Il resto è stato applicazione, prove, errori, tentativi, esperimenti, pasticci,figuracce e piccoli casini. Ma è finito bene. |
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Se fossi rimasto a qual punto, mi sarei intrappolato in qualcosa di autorferenziale. |
Re: Autoconnotazioni
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Il pensiero per cui le autoconnotazioni possono diventare un comodo rifugio per la nostra zucca l'ho sempre ritenuto un pò sopravvalutato. Se fosse davvero così, forse non il nostro malessere non sarebbe il chiodo fisso che è invece nella maggior parte dei casi.
Penso siano altre le cose contro cui potremmo avere, bene o male, comodi rifugi. L'idea della morte, ad esempio, o la prospettiva che un giorno spariremo e di non resterà nulla, o ancora il pensare che la vita non ci potrà mai dare più di tanto e che in un modo o l'altro, prima o poi, ce la dovremo far piacere. La consapevolezza che i nostri obiettivi sono inevitabilmente la cosa che conterà per noi di più, in mancanza, dopotutto, di un senso più grande all'esistenza nostra e del tutto in generale. Penso spesso a quanto nella vita sono stato e sono oggettivamente fortunato, e a quanto forse le cose potrebbero andare "meglio" se venissi patti con me stesso invece di continuare a sbattere contro muri che non ho il coraggio o l'energia o chissà che altro per scalare. |
Re: Autoconnotazioni
E' esattamente ciò che mi succede, però c'è da capire se queste autoconnotazioni sono frutto di una comprensione di sé e di alcune proprie caratteristiche (e quindi anche limiti), o se sono invece pure convinzioni che trovano sì fondamento, ma solo nella misura in cui ci convinciamo che sono vere e cominciamo ad agire di conseguenza, rafforzandole.
Un altro aspetto interessante secondo me è la connotazione (o giudizio) positivo o negativo che diamo alle nostre caratteristiche (nel caso delle autoconnotazioni forse il giudizio è quasi sempre negativo, proprio perché altrimenti non funzionerebbero come pretesto per evitare), cioè l'abitudine di vedere solo i lati negativi delle peculiarità. |
Re: Autoconnotazioni
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Re: Autoconnotazioni
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Re: Autoconnotazioni
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