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Originariamente inviata da mezzelfo
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Originariamente inviata da bardamu3
Dalle sue opere traspariva tutto fuorché una persona sul punto di farla finita.
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Io non conoscevo questo scrittore, però l'articolo che ho letto ieri su un quotidiano e che ne annunciava la morte ne parlava diversamente, riporto stralci:
"Aveva compiuto quarantasei anni a febbraio, e specie negli ultimi tempi, aveva dato a tutti gli amici l'impressione di essersi liberato dai demoni che lo tormentavano fin da bambino, ed aver trovato la serenità..."
"Negli ultimi tempi, e negli ultimi saggi che ha scritto, sembrava alla ricerca di ideali di perfezione che lo potessero riconciliare con il fatto stesso di dover affrontare la quotidianità."
"Oggi sappiamo che dietro la timidezza del suo sguardo, l'umiltà del confronto dialettico e la lettura illuminante degli avvenimenti più disparati, provava un enorme dolore al quale non ha saputo resistere."
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Col senno di poi è facile trovare nei suoi scritti numerosi appigli, passaggi e frasi da usare come profezie, ma Wallace non era un autore che trasmetteva la sensazione che la realtà fosse pervasa tutta dal "male di vivere". Non era Pavese o Primo Levi, i cui suicidi, razionalmente, sono già più comprensibili, per il profondo disagio personale che traspare dalle loro opere e per gli eventi tragici che segnarono le loro vite. Ha si affrontato tematiche anche pesanti, ma possedeva un grande senso dello humor, che scaturiva dalla sua prosa iperrealista e virtuosa, che faceva percepire quasi un distacco fra lui e la materia trattata. Lo stesso Tommaso Pincio, nel saggio citato da gattasilvestra, conclude che Wallace non è "Wallace", riferendosi all'omonimo personaggio di "Caro vecchio neon".
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"La mia intera esistenza è stata una frode. Non sto esagerando. Molto di quello che ho fatto in ogni momento è stato il tentativo di creare una certa impressione di me sugli altri. Per lo più per essere ammirato o apprezzato."
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Questa stessa citazione, tratta da quel racconto, è il preludio ad una confessione da parte del protagonista, resa con toni talmente caricaturali e nevrotici, da rendere ciò che ne risulta il ritratto di un essere assurdamente invischiato nella pantomima che la sua vita è sempre stata.
Proprio la componente comica però, presente in tutte le sue opere, devia il lettore dalla solita ricerca di una componente autobiografica. La stessa scelta di dare il proprio nome al protagonista, appariva ieri come troppo forzata per non dover essere colta sul piano grottesco che il racconto evoca. Rintracciare il vero autore in opere così nettamente postmoderne, che fanno dei giochi di rimandi e sovrapposizioni, delle invenzioni di forma e stile la loro essenza, è molto più difficile che in opere classiche. Il confine fra il gioco, la finzione letteraria e il realismo, viene volutamente confuso e scombinato.
Alla luce del suicidio di un autore del genere, anche un racconto come questo, in cui il protagonista si chiama proprio come l'autore e annuncia il proprio suicidio, non appare semplicemente una tragica profezia. Le tecniche iperrealistiche applicate al caso in questione, appaiono quasi come un tentativo di distaccamento da sé stessi, dai propri demoni interiori e dal proprio dolore, un tentativo di trasporre sé stessi e i propri demoni su un piano diverso, quello dello humor generato dall'esasperazione della sua scrittura, per potersene in qualche modo allontanare e tirare fuori.
Forse Wallace è riuscito ad ingannare i suoi lettori, ma non sé stesso, nonostante ci abbia provato.