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Rapporto con la morte dell'altro
Ultimamente sto riflettendo sulla maniera che le persone hanno di interfacciarsi alla morte dell'altro.
Ieri più che mai, andando a zonzo con mia mamma per il cimitero del paese mi sono resa conto di quanto poco lo sentissimo come un luogo di raccoglimento e desolazione e quanto invece i mucchi di lapidi rappresentassero più una sorta di grande album dei ricordi estivi, che ci faceva riaffiorare aneddoti riguardo personaggi in vita più o meno bislacchi. Ma in generale il rapporto che i miei parenti hanno con il necrologio, da sfogliare per la curiosità morbosa di sapere chi sia morto come fosse un pettegolezzo e non una circostanza dolorosa, almeno per i suoi cari. Anni fa nel mio quartiere, a pochi numeri civici dal mio un duomo accoltellò moglie e figlio, forse tentò anche il suicidio ma fallì. Questo evento fu pretesto di chiacchiere da tavola per parecchio tempo a venire a casa mia. Facevamo motivo di discussione e talvolta di facile ironia su una tragedia che si era risolta nel sangue avvenuta a pochi metri da noi. Qualche mese fa è morto un mio vecchio compagno di scuola, la classica faccia da schiaffi alla quale da ragazzina guardavo con insofferenza, si è schiantato con la moto. Passato il primo momento di disorientamento e di presa di consapevolezza ( era morto un ragazzo che faceva parte di una fetta dei miei ricordi, seppur sempre come tappezzeria e mai come attore, e che tutt'oggi mi pare di scorgere in giro perché evidentemente il mio cervello non riesce a concepire la morte non avendola mai realmente metabolizzata e sperimentata con la necessaria intensità ) subentrò l'indifferenza. Mi chiedo a questo punto: ma se non riusciamo a provare cordoglio, vicinanza se non proprio dolore genuino per la morte del nostro prossimo, come possiamo sentirci credibili quando ci strappiamo virtualmente i capelli per le stragi avvenute a migliaia di chilometri di distanza. Indignazione e manifesto rammarico che tendenzialmente si esaurisce assieme alla'onda della notizia mediatica. Pare che sia persino la morte un pretesto per chiacchierare, dentro di sé quanti realmente ne sentono l'urto e la risonanza? |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
Sono sempre stato indifferente, sia per le stragi di attentati e terremoti, sia per la morte di conoscenti.
Le uniche morti di cui mi importa sono quelle dei miei cari. Alla morte di mia zia ero triste non tanto per lei, che, per carità, era sempre gentile con me, ma più per mio padre che soffriva per la morte di sua sorella. |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
Anche io resto piuttosto indifferente davanti a stragi e cose simili.
Se invece si tratta di persone che mi stanno un minimo a cuore soffro parecchio. |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
Esatto, capita anche a me. Se ci si allontana anche solo di qualche grado di parentela non riesco a partecipare al dolore se non attraverso gli occhi di chi sta affettivamente a me più vicino.
Non so se questo muro che ci separa emotivamente dagli altri dipenda da un limite nostro o dipenda dal fatto che siamo sempre più umanamente lontani l'uno dall'altro in generale. Nel primo caso possiamo farcene una ragione, nel secondo la situazione diventerebbe abbastanza agghiacciante nel lungo periodo. |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
A me sembra normale, se uno non lo conosci/conosci poco o era una persona che non apprezzavi e con cui volevi averci a che fare il meno possibile...e' una notizia come un'altra, non ti vai a strappare i capelli.
Riguardo il cimitero... ricordo che da dodicenne ero in vacanza da una mia amica e siamo andati con la sua famiglia a visitarne la nonna al cimitero...la mamma che guardando la foto le fa "ti assomigliava", poi son passati oltre e per loro la cosa era chiusa li', a me invece eran venute le lacrime agli occhi vedendo la scena, e cercavo di nasconderlo perche' un po' strano piangere per una sconosciuta mentre figlia e nipote pensano intanto al pranzo e a dove andare nel pomeriggio. Ma un po' che e' mal visto da noi piangere e si cerca sempre un po' di trattenersi a maggior ragione un genitore se e' coi figli, inoltre spesso non si vuole mettersi in quello stato tanto inutile quanto doloroso, dopo una morte prima uno riesce a non essere troppo coinvolto emotivamente e a riprendere efficientemente la vita piu' gli altri lo apprezzano (sul lavoro, ma anche famiglia e amici che per quanto possano starti vicino preferiscono come tutti avere a che fare con una persona solare-sorridente). Aggiungiamoci che non e' facile provare le emozioni a comando, una cosa del tipo: son serena e penso ai fatti miei, vado al cimitero perche' e' l'1 Novembre o per cambiare i fiori (perche' poi gli altri se no che pensano...) e allora tanto cordoglio, poi torno e dinuovo serena. Anzi semmai noto il contrario : tanti (almeno apparentemente vedendo da lontano, poi nella realta' non so) quando qualcuno che conoscono muore si sconvolgono e a dire "era una cosi' brava persona", in vita pero' non e' che se la considerassero tanto, anzi. Io penso che il dolore e' personale e non puo' essere valutato. Uno non e' piu' buono perche' piange per uno mai visto o piu' cattivo perche' non piange per il nonno... capita a volte di essere nello stato adatto, anche es. influenzato da parole usate commoventi o una certa depressione...e altre no perche' uno es. e' meno emotivo o molto stanco o preso da problemi concreti o non aveva molta confidenza con l'interessato o era gia' preparato che succedesse ma non e' realmente indicativo dell'affetto per l'altro e tantomeno della sua bonta'. ( Si' ho pianto per situazioni in cui era strano piangere e non per altre (o appena appena) dove sarebbe stato normale.) Una cosa che invece mi da' fastidio e' commenti cattivi es. quando la metro e' bloccata per un tentativo di suicidio, non capisco perche' la gente dia fiato alla bocca invece di un rispettoso silenzio e comprensione. E non solo quello.. gli episodi di superficialita' sono innumerevoli...ma tanto per i vivi quanto per i morti. |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
Secondo me la spiegazione del tutto si chiarisce nel fatto che è difficile vivere con la morte dietro le spalle,già solo parlarne la pone come una prospettiva lontana da noi.
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Re: Rapporto con la morte dell'altro
La morte è una cosa che mi lascia totalmente indifferente.
Non mi sono mai strappato i capelli per stragi lontane così come non l'ho mai fatto neanche per quelle vicine (vedi terremoto ad Amatrice). Sono rimasto indifferente anche alla morte di parenti strettissimi come 3 nonni di cui una che viveva dentro casa e una zia ancora giovane che abitava nalla casa a fianco. Sono rimasto leggermente turbato solo quando si è suicidato il mio migliore (e allora unico vero) amico e compagno di banco per 6 anni. Anche in quel caso però non ho pianto né mi sono disperato tanto che non sono andato alla veglia perché mi vergognavo a mostrarmi impassibile proprio io che gli ero più vicino quando tutti erano disperati e in lacrime. Ti consiglio di fare il test sul quoziente di empatia (EQ) e vedere se ti ci rivedi. |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
Credo, anche se ovviamente non posso dirlo con certezza, che le morti altrui lascino indifferente una larghissima fetta della popolazione. Mi sembra anche abbastanza ovvio tutto sommato, non c'è vera vicinanza emotiva. Tutte le manifestazioni di cordoglio sono di facciata, ma interiormente la sofferenza è quasi assente, al massimo scompare dopo un lasso di tempo molto breve.
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Re: Rapporto con la morte dell'altro
L'unica morte di una persona "vicina" che ho vissuto fin'ora è quella di mia nonna. Tuttavia è stato un lento e progressivo peggioramento negli ultimi 2 anni prima della morte, per cui il nostro dispiacere nel non vederla più in se stessa è stato diluito in tutto questo tempo e l'evento della morte ha più che altro sancito la fine della sofferenza, sua e di chi la vedeva in condizioni non buone.
In generale la morte di persone che conosco o anche di molta gente in stragi mi turba, mi fa riflettere sul come si affronta la vita... Non oso immaginare cosa significhi perdere i propri cari (intendo famiglia strettissima). E' forse l'unica cosa che potrebbe farmi crollare psicologicamente. Non ci voglio nemmeno pensare. |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
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Pensa allora quando mi ammazzeró io che ti cambierà, un bel cazzo di niente. :pensando:
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Re: Rapporto con la morte dell'altro
Ritengo sia normalissimo provare una certa indifferenza verso il dolore/morte di persone a noi sconosciute. In realtà, ciascuno ha un diverso grado di empatia e altruismo, so che esistono (rare) persone che sinceramente partecipano alla sofferenza altrui, anche di sconosciuti che abitano dall'altra parte del mondo. Queste si riconoscono perchè non si dimenticano degli eventi tragici quando non i media non ne parlano più.
D'altra parte, è molto vero che il grado di indifferenza generale è aumentato, forse a causa del fatto che la cronaca nera è ormai una routine. Quante volte capita di sentire belle notizie alla radio o al telegiornale? Si è sempre più insensibili sia al dolore che alle gioie; la superficialità dilaga perchè è più facile da seguire e comporta un carico emotivo in meno (apatia). Quote:
Ridere è meglio che piangere. Soffrire si fa in silenzio. |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
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Tempo fa a lezione, in occasione dell'attentato parigino, si aprì un dibattito a riguardo e il prof ci spiegò come i media siano interessati a porre in evidenza tragedie a noi più culturalmente e geograficamente vicine per stimolare il senso di appartenenza che suscita però una sorta di panico ed empatia più per il pericolo percepito che 'se è successo a loro allora potrebbe succedere anche a noi'. Esercita una sorta di selezione delle carneficine e ci mostra quelle che potrebbero scatenare meccanismi di opposizione verso un 'nemico' attraverso un raccoglimento fittizio intorno a vittime che per noi non rappresentano altro che un numero nelle percentuali. Non a caso si pone sempre l'accento sulle vittime italiane nei nostri TG proprio per edulcorare questo aspetto. Ora centra relativamente poco ma è un po' lo stesso discorso del sentimento di perdita che si stempera mano a mano che aumenta la distanza che può essere affettiva o geografica. |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
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Re: Rapporto con la morte dell'altro
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Re: Rapporto con la morte dell'altro
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Non saprei, a volte penso che se morissero i miei genitori sarebbe più lo smarrimento per l'essere rimasta sola al mondo a farmi cedere più che una reale sofferenza per la loro morte Anche una persona a me cara, se dovesse morire soffrire i più per il vuoto che lascerebbe in me più che per l'idea che morendo rinuncia o è costretta a rinunciare alla vita. |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
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Il turbamento è stato dovuto principalmente alla sorpresa. |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
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Il cordoglio per le morte mi è difficile provarlo anche per le persone a me vicine. Ma mentre per persone sconosciute e lontane emotivamente/geograficamente è anche normale non essere tremendamente empatici (pochissimi lo sono), per le persone "care" entra in gioco anche il rapporto che si aveva con la persona in questione, quanto e come ha impattato sulla nostra vita, quanto si è comunicato e condiviso. Altro aspetto da tenere in considerazione è come noi vediamo la morte... se siamo credenti o meno, se la carichiamo di un qualche significato simbolico o la vediamo come un semplice ritorno alla polvere, se ne abbiamo paura. Verso la morte provo lo stesso atteggiamento di indifferenza che ho per la nascita. Un inizio e una fine, tutto qui. Ma non mi ritengo un tipo freddo e distaccato, che non prova emozioni, un "robot". Semplicemente sono eventi cosi normali che non mi "sconvolgono" in alcun modo. :nonso: |
Re: Rapporto con la morte dell'altro
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Anche con persone a noi molto vicine, oggi probabilmente il senso di comunità è in media meno forte e questo può spiegare in parte la tendenza a soffrire di meno. Certo che se uno con un parente ha un rapporto stretto (reale o percepito), allora la perdita sarà più difficile da sopportare. Io tutta questa indifferenza per la morte dei propri parenti in giro non la vedo, sinceramente. Al massimo ognuno ha una personale elaborazione del lutto che può portare ad esplicitare di più o di meno il dolore provato. |
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