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"Reset"
Cosa succederebbe se si superassero i bisogni indotti dalla società/dallo stare in una comunità (bisogno di affermarsi nella società, bisogno di non sentirsi soli, bisogno di sentirsi apprezzati, ecc.) rimanendo armati solo del "sé" più "puro"? Quali scopi dovrei avere apparte quello di sopravvivere? Rimarrei in uno stato di apatia perenne?
Pregherei di rispondere pensandoci bene prima, dato che prendere come esempio la propria attuale vita potrebbe essere risultato di un'autoanalisi non troppo approfondita |
Re: "Reset"
Potrebbe risponderti veramente soltanto qualcuno che abbia raggiunto quello stato, e non credo che lo troverai in questo forum.
Io direi solo questo: dicendo che allo stato puro resti nell'apatia, credo tu confonda puro con vuoto. Lo stato puro credo che invece coincida con la vera libertà, ovvero con la vera creatività. Ma non avendo io esperienza di tale stato,non potrei mai descrivertelo. |
Re: "Reset"
Il bisogno di non sentirsi soli non è un bisogno indotto dalla società (può esserlo nei modi, così come la pasta rispetto al mangiare).
A parte che si dice che l'uomo è un animale sociale, ma gli stessi animali (al di là dell'accoppiamento) spesso si cercano fra loro. Io la notte non sogno particolarmente di affermarmi e neanche di essere apprezzata ma ho continue interazioni con persone (e animali) e data la mia vita solitaria ben più che nella realtà (pure gli uccellini avevo sentito che pare i loro sogni siano incentrati sul cinguettare quindi una cosa legata al rapportarsi fra loro e non alla sopravvivenza in senso stretto) per cui penso il bisogno di contatti sia una cosa indissolunbilmente legata al sè (anche se apparentemente senza non si muore, ma la mancanza tende a causare depressione e in alcuni casi pazzia). |
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Re: "Reset"
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Mi è difficile spiegare cosa intendo,intendo una persona che non ha nessuna dipendenza interiore di carattere egoico,una persona che non ha bisogni interiori. Una persona che non è "presa" dai propri moti dell'anima. Una sorta di santo,ma che non per questo si priva delle cose. Una persona per la quale ogni cosa ha il suo giusto posto. Una persona perfetta. Immagino che le si contino sulle dita di una mano su tutto il pianeta. |
Re: "Reset"
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Re: "Reset"
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No, assolutamente. Quello che descrivi tu volendo proprio approssimare parecchio (tanto, ma tanto, ma tanto, ma tanto...) potrebbe essere solo uno degli aspetti della sindrome di Asperger - inteso nel senso di isolarsi dalla realtà circostante quando l'attenzione è completamente focalizzata su di un'attività. Un Asperger, in linea di massima, ha il desiderio di stare con gli altri ma difetta degli strumenti necessari per farlo in modo "convenzionale", adatto alla società. Evito di prolungare l'OT. In merito alla sindrome di Asperger direi che questo topic è quanto di più esplicativo ci sia stato su questo forum : http://www.fobiasociale.com/qualche-chiarimento-sullasperger-52231/ /IT Credo che progressivamente si riformerebbe una nuova struttura sociale che andrebbe a prendere il posto della precedente. Il bisogno di relazionarsi coi propri simili e di non sentirsi soli non penso sia determinato dalla società. Probabilmente è parte della stessa natura umana per motivi legati alla sopravvivenza. La società determina i modi e metodi con cui questo prende forma. Una volta che ci si deve relazionare per motivi di sopravvivenza e procreazione poi inevitabilmente si sviluppa tutta una rete di conseguenti bisogni sociali. Non so, credo la condivisione di sè per l'uomo sia intrinsecamente importante. Se non verso altri uomini allora verso il resto del mondo. Credo ci sia in noi una necessità di appartenenza a un "qualcosa". Quando non è la società in tutte le sue forme può essere allora la Natura, il Tutto. Concetto un po' buddista forse. |
Re: "Reset"
fatto per anni...metti un attimo il naso fuori e crolla tutto, basta un solo sguardo per caso, e ritorni ad essere una persona, il contagio è immediato...non c'è scampo
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Re: "Reset"
Chi non sia in grado di identificarsi negli strumenti, nei modi e nelle forme convenzionali offerti dalla dimensione sociale, economica e culturale del vivere comune, potrà al più non subirli passivamente, ma integrarli della sua personale visione, ritagliandosi un contesto nel quale questa possa svilupparsi attraverso il contatto e lo scambio con chi condivida un analogo modo di sentire.
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Re: "Reset"
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In quel link che hai messo c'è scritta una grossa fesseria: "La sindrome di asperger non è una patologia" (ma ce ne sono anche tante altre). Ma che diamine state dicendo? Quote:
Non ti fidi di Wikipedia? http://www.fondazioneares.com/index.php?id=430 Quote:
Ergo: gli Asperger non hanno QI significativamente bassi, che è diverso da dire che hanno QI mediamente alti (che è falso, ma può succedere). Non mi dilungo su altro, ma vedo che come per il disturbo borderline, hai le idee confuse. Sarebbe bene smetterla di fare i professori e magari usare delle fonti affidabili, prima di dire cose che potrebbero confondere le persone. Tornando in Topic: Chiediamoci innanzitutto se il sé puro, di cui parli, abbia la necessità di assolvere a tutti i bisogni imposti dalla società. Sarebbe così? Oppure il sé puro, libero da ogni vincolo e pregiudizio, si abbandonerebbe alla realizzazione fine a sé stessa del sé? |
Re: "Reset"
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L'etichetta di patologia ad uno schema di comportamento, se da un lato implica una sorta di giustificazione morale di questo comportamento, allo stesso tempo comporta una forma di degradazione individuale. Non so bene se sia un'etichetta davvero utile per i disagi sociali provocati da schemi comportamentali che producono conflitti: cioé l'assenza della soddisfazione di certe aspettative sociali. Se io mi comporto o vivo in certi modi o coltivo certe idee che non vanno a genio a tante altre persone (per i più svariati motivi) oggi come oggi le probabilità che venga appiccicato il termine patologico a questo schema qua è molto alto. Ma in sostanza che significa? Che sono in minoranza, o quantomeno che faccio parte di una categoria debole che ha poco potere all'interno delle gerarchie sociali. Capita talvolta però anche l'inverso. Se uno psichiatra dà del matto ad un Berlusconi o un Hitler, lo scopo per me è chiaro, si cerca di squalificare quella forma di comportamento a certi livelli. L'etichetta "patologico" perciò svolge delle funzioni di attacco o difesa sociali quando si ha a che fare con dei disturbi mentali e comportamentali e non organici o di altro tipo. E' un'etichetta retorica che funge da recinto. Io personalmente preferisco squalificare in senso morale e secondo i miei valori o idee senza usare il termine "patologico" che implica implicitamente una sorta di oggettività assoluta della cosa. Proporrei agli psichiatri e tutte le persone che operano nel settore di usare termini più neutri come "disagio mentale" (direttamente per tutte le cosiddette malattie mentali) per indicare questi disturbi e smettere di usare termini quali "malattia" e "patologia" che implicano una collocazione precisa del disturbo come succede nelle malattie vere e proprie in cui poi non è possibile più interpretare le cose da diversi punti di vista morali. Il fatto che non si abbia a che fare con malattie vere e proprie non implica che sempre e in ogni caso non ci sia bisogno di cure o assistenza. L'indigenza non viene riconosciuta come una malattia ma non è detto che non necessiti di forme di cura o aiuti (che in certi sensi possono far star meglio la persona indigente). Per questo penso che sia opportuno modificare queste categorizzazioni qua, che secondo me sono fuorvianti e fallaci. Il mio discorso è generale, in tal senso verrebbe a cadere a monte una distinzione netta tra malattia mentale vera e propria e falsa malattia mentale. Direi che si ha a che fare sempre con disagi la cui gravità (e conflittualità o disadattamento sociale) può esser diversa, ma in ogni caso non si ha a che fare con persone malate ma con individui che non riescono ad inserirsi nel tessuto sociale o familiare e con i quali bisogna decidere poi cosa fare. I corsi di azione da intraprendere possono essere i più svariati a seconda dei punti di vista, ma nessun corso di azione cura qualcosa, al più può favorire o non favorire qualcuno secondo certi punti di vista. |
Re: "Reset"
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Ma tu sei un medico? È il caso di mettere in discussione fonti così autorevoli? Guarda, io non lo sono (un medico), per questo mi appoggio a chi ne sa più di me; in quel link che ha postato Sleeper ci sono un sacco di cose false e come puoi constatare nei link che ho postato c'è scritto ben altro. Patologia è degradante? Ma vedi, amico mio, qua dentro noi dovremmo discutere proprio delle patologie che ci affliggono. Non c'è niente di degradante. Io sono affetto da una patologia da quando andavo alle elementari, dovrei vergognarmi di questo? Detto questo, fine OT per me (altrimenti poi pensano che io sia il troll della situazione). |
Re: "Reset"
Il religioso avrebbe la ricerca della pace del "dopo" e il cruccio del risolvere il paradosso del "vivere stando lontani dalle montanità ma al tempo stesso stando al contatto con esse per far del bene".
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Risponderei volentieri ma l'OT finirebbe solo per far partire per la tangente questo topic che con Asperger non ha molto a che fare. Nel caso rimuovo questo messaggio in futuro. |
Re: "Reset"
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Intanto grazie a tutti delle risposte
Con raggiungere la purezza intendo dire eliminare qualsiasi influenza subita durante la vita, una sorta di ritorno alle origini per vivere in base alle nostre pulsioni/ai nostri bisogni "originali" (dando per scontato il sopravvivere), e mi sto chiedendo se quest'ultime/i esistono realmente, o (al di la dell'abitudine) non possediamo la capacità di vivere in questo "isolamento" non forzato all'interno di una società, ovviamente anche continuando ad interagire con i suoi componenti Altrimenti, come dovrei "vivere la vita al meglio" se i bisogni/le pulsioni che ho non sono neanche completamente miei/mie? Spero di essermi spiegato meglio |
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