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Sputafuoco95 18-04-2015 07:30

Il piacere del non rischiare, come lavora il mio cervello
 
Desidero aprire questo post perchè ho iniziato una terapia per cercare di modificare al meglio quelli che sono i pensieri che mi fanno stare male e che mi spingono ad una vita poco movimentata e all' insegna dell' apatia.
Inizio con il dire che di mio sarei una persona abbastanza estroversa se non fosse che ho capacità comunicative molto limitate e che in fondo degli altri me ne frega meno che zero. Dunque iniziamo.
Il rischio è sempre stato il mio nemico, sono una persona a cui non piace rischiare e che ovviamente non raccoglie molto , proprio per via del fatto che se non rischi ovviamente hai poco da guadagnare e da pretendere.
Lavoro: molto spesso rinuncio alla ricerca di nuovi lavori perchè faccio il seguente ragionamento: inutile candidarsi tanto ci saranno 10 milioni di persone che si candidano per la stessa posizione e che sicuramente sono più preparate di me. Risultato: mi tengo il mio lavoro merdoso e vado avanti.
Donne: stesso ragionamento. Vedo una bella ragazza e penso: sicuramente avrà una vita soddisfacente, un ragazzo che la ama, mille corteggiatori, spasimanti eccecc....per quale motivo provarci? impossibile che venga come , quindi capitolo chiuso.
Amicizie: stessa cosa di cui sopra.
Voi con la terapia siete riusciti a scardinare questi pensieri disfunzionali come li chiamate qui?

Noriko 18-04-2015 10:19

Re: Il piacere del non rischiare, come lavora il mio cervello
 
Le psicoterapie che ho intrapreso sono state un fallimento, ma ho fatto piccoli passi da sola anche se non ho mai raggiunto cime di risultati.

simopi 18-04-2015 12:22

Re: Il piacere del non rischiare, come lavora il mio cervello
 
Sono ragionamenti che faccio anch'io... ci sto lavorando senza una vera psicoterapia, diciamo che c'è qualcuno ad aiutarmi nel cambiare pensiero. E che devo dirti? A rinunciare ti dai già per perso, invece è più comprensibile avere dei dubbi dopo avercela messa tutta, allora puoi cominciare a pensare che quei ragionamenti abbiano un fondo di verità. Però se stai ancora tentando, secondo me dovresti aspettare a concludere che "non vale la pena", infatti il comportamento di chi la pensa così tende, senza volerlo, ad aiutare questi cattivi pensieri. :bene:

Franz86 18-04-2015 12:56

Re: Il piacere del non rischiare, come lavora il mio cervello
 
Bravo per aver cominciato la terapia.

Comunque il punto è che se non si rischia è perché si sente di aver qualcosa da perdere: io ormai rischio perché non avverto più questa limitazione, ho fallito in ogni ambito, mi ritengo un incapace e secondo la mia esperienza dalle persone ci si può aspettare ben poco ... in queste condizioni tanto vale fare sempre dei tentativi, quando se ne ha la forza.

ilPaul 18-04-2015 13:15

Re: Il piacere del non rischiare, come lavora il mio cervello
 
Il trucco è imparare a mandare a cacare il prossimo accettando di venire a tua volta mandato a cacare di ritorno. Solo una terapia può darti questa forza, perchè solo quella e la persona che ti segue riescono a garantirti la costanza.

Noriko 18-04-2015 15:36

Re: Il piacere del non rischiare, come lavora il mio cervello
 
Quote:

Originariamente inviata da simopi (Messaggio 1496350)
infatti il comportamento di chi la pensa così tende, senza volerlo, ad aiutare questi cattivi pensieri. :bene:

Le opinioni che vengono scritte sul forum vanno prese con le pinze e filtrate, sono opinioni rivolti a maggiorenni e nate da esperienze personali sulle quali ci si può confrontare.

Josef K. 18-04-2015 16:30

Re: Il piacere del non rischiare, come lavora il mio cervello
 
Non condivido il ricorso a terapie di tipo comportamentale per imporsi di ragionare o agire in un certo modo. Se si è in grado di capire che certi pensieri o comportamenti non dovrebbero far parte della nostra vita li si dovrebbe semplicemente abbandonare; nel caso in cui non ne fossimo in grado vorrà dire che sono parte di noi e in quanti tali, nel bene e nel male, continueranno ad esserlo. Sono contrario "ideologicamente" ancor prima che psicologicamente a ritenere che un insieme di circostanze esterne, per di più strettamente legate al contesto socio-culturale in cui vivo - per cui quello che non è "utile" o "auspicabile" qui ed ora, lo sarebbe altrove - debbano mettermi in condizione di fare violenza su me stesso in nome di un utilitarismo che, data la violenza che ne costituirebbe il presupposto, rappresenterebbe una contraddizione in termini. Preferisco essere consapevole di quel che sono e accettare le conseguenze dei miei errori e difetti, che farmi dire da altri chi dovrei essere e cosa fare e pensare, se non altro perché così so benissimo con chi prendermela in caso di insuccesso.


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