il contesto culturale
Io penso che il contesto della società e della relativa cultura abbiano un peso notevole su persone come noi (timide evitanti sociofobiche....).
Ad esempio, penso che nel Medioevo molti di noi sarebbero stati considerati come persone virtuose, in quanto silenziose, caste, dedite ai piaceri della contemplazione. Oggi, invece, siamo considerati degli sfigati. Quindi, siete d'accordo con me che forse una terapia psicologica non può essere di tipo individuale, ma deve considerare anche gli aspetti sociali? |
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Nel medioevo ci avrebbero abbandonati sulle sponde di un fiume da piccoli :sisi:
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Le persone che se ne stanno per i fatti propri non sono mai viste bene, credo in qualsiasi contesto storico Il contesto sociale e' sicuramente importante, influenza molto il comportamente di una persona ma le persone sole e "asociali" sempre esisteranno, in qualsiasi contesto, anche nel migliore (ci sara' sempre a chi non piacera' e preferira' isolarsi) |
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e perché mai?
qualcuno magari l'avrebbero pure fatto santo |
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In un contesto religioso forse. Ma la vita sociale del Medioevo non discostava molto da quella odierna e da quella di tutte le altre epoche. Lo stato di aggregazione sociale è presente fin dalla preistoria e chi stava per i fatti propri non ha mai goduto di grande stima in nessun tempo. |
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Ma nel Medioevo il contesto religioso rivestiva un'importanza infinitamente più grande di quella che riveste ai giorni nostri, nella cosiddetta "cultura di massa" |
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Certo? Non era specificato nel post iniziale, vale comunque quel che ho risposto prima. Se si parla di vita religiosa ritirata e solitaria il contesto non esiste nemmeno, allora come oggi. |
Re: il contesto culturale
Sono d'accordo che la psicologia si dovrebbe occupare di più del contesto sociale, ma non vedo come potrebbe visto che non può intervenire su questo.
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Mi sarei chiuso in un convento non essendo stato il primo figlio
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Sono d'accordo che il contesto sociale è importantissimo.
Ma nel Medioevo forse le cose erano un po' diverse,nel senso che il primo problema della gente era di mettere qualcosa sotto i denti e non andare a letto a stomaco vuoto. Poi non lo so....magari si ritiravano nei monasteri,si nascondevano nelle foreste.... |
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Le persone che se ne stanno sole troppo tranquille per i cavoli loro secondo me spaventano anche un pò o comunque ispirano antipatia, nell'immaginario collettivo la persona vivace, molto estroversa e istrionica, che ama divertirsi ecc è vista come buona e la persona timida e solitaria come malvagia, ma in realtà immaginando un ipotetico diavolo incarnato io me lo immagino festoso, dedito all'alcool, pieno di donnine allegre, ecc ecc non me lo immagino proprio triste e dimesso in un angolino. Visto che la società dei giorni nostri è sotto il completo controllo delle forze del male non mi stupisco che le persone dimesse, umili, timide, contemplative non siano viste di buon occhio. Non è l'epoca è proprio questo mondo che non va bene per quelli come noi, abbiamo sbagliato pianeta.
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Probabilmente, nei giudizi che noi diamo di noi stessi, siamo pesantemente influenzati dal nostro gruppo di appartenenza. Nel Medioevo, visto che un importante gruppo sociale era quello religioso, che deteneva il potere culturale (e su questo non ci sono dubbi, visto che le scuole erano guidate dai monaci, che avevano anche il compito di produrre i libri e quindi diffondere la cultura), la nostra autopercezione sarebbe stata molto diversa insomma.. |
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Tu parli di massificazione delle coscienze, uniformarsi a un contesto sociale, un pensiero, e quello che vorrebbero i governanti della terra, e tutto sommato ci stanno anche riuscendo... Gesù docet! |
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Non c'è dubbio che a volte è necessario cambiare anche ambiente di vita (da qui la mia discussione sull'utilità di allontanarsi almeno per un po' dalla propria città di origine e dalla famiglia) o almeno cercare un gruppo di persone che ci consideri meglio (magari perchè ha un carattere più simile al nostro). Sul fatto di cambiare la società per renderla più adatta a noi la vedo più dura, almeno a breve termine.. |
Re: il contesto culturale
Mi sembra impossibile non considerare il contesto culturale, ci si è dentro.
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Ogni epoca precedente spesso viene immaginata meglio di quella in corso. Non so se sia preferibile la contemporanea o quella ad esempio medioevale per chi vive certi disagi, anche perché forse questi sono figli del tempo stesso in cui si formano quindi ragionevolmente sono differenti. Per certi versi l'era moderna può essere vista sotto una luce negativa per via appunto della massificazione, dei modelli culturali/sociali imposti dai media, del fatto che devi avvicinarti il più possibile al tipo 'figo' o 'vincente', e alcuni fenomeni sono principalmente, almeno credo, dei giorni nostri, vedi bullismo.
Ma nel Medioevo sotto molti aspetti secondo me era pure peggio. Se per qualche motivo o fortuna eri visto papabile alla santità o genio forse ti riservavano qualche trattamento particolare, altrimenti un tipo introverso, evitante, molto timido (per quanto riguarda gli uomini), era visto prima di tutto come strano, magari un po' matto, espressione di qualcosa di non comprensibile, e non se la sarebbe passata per niente bene, specialmente perché la sensibilità su certe questioni e in genere la cultura del tempo specie tra le classi meno agiate non permettevano di avere troppi riguardi verso chi aveva quella 'maledizione'. Poi lasciamo perdere la religione, quella cristiana intendo, che pur predicando la compassione e l'accettazione di tutti, paradossalmente nella realtà, in certi contesti più arretrati in particolare, ha finito per crocifiggere gli esponenti della 'diversità'. |
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Io non volevo dire che il medioevo è stata un'epoca migliore della nostra. Ci mancherebbe. Io ho 45 anni, e probabilmente nel medioevo sarei già morto. O, bene che mi andasse, non avrei più i miei denti e mi nutrirei di pastoni a base di latte e cereale (quindi non camperei ancora molto).
Quello che volevo dire è che il contesto sociale incide molto sui nostri giudizi, anche su noi stessi. |
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Poi sta alla sensibilità di ognuno cercare di essere il più imparziali possibile se necessario. |
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Oltre alla scuola dell'antipsichiatria (Laing, Basaglia, Arieti, ecc) che ha avuto il merito di portare alla chiusura dei manicomi, si possono fare i nomi di Eric Fromm, Karen Horney (psicanalisi culturalista), la scuola di Francoforte, le varie teorie di impronta femminista ecc. Il limite forse è l'aspetto utopistico di certe loro proposte, che sono più utili quando si concentrano su obiettivi più limitati e fattibili (vedi Basaglia) |
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D'accordissimo. Come contributo: non esiste una sola società, ma tante società che hanno valori, codici e sanzioni differenti.
Per cui, date per certe le premesse di base, si arriva alla conclusione che esistono esiti differenti vivendo in società differenti. L'interazione tra istanze psicologiche individuali e spinte sociali esogene è differente al variare delle spinte sociali esogene, ovvero al variare della società, comunità in cui si vive, rimanendo lo stesso l'individuo. Oltretutto, varia anche il contesto in cui si lavora, il gruppo dei pari che si frequenta, ovvero i gruppi e le organizzazioni in cui si è inseriti agiscono da filtro e a volte da contro-spinta ai valori sociali di riferimento. Questo non vale o tende a scomparire se una persona non frequenta gruppi di riferimento o non è inserito in organizzazioni. |
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Insomma tendono a giustificare le altre persone. E a farti credere che i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri sono fuori luogo. Ma gli psicologi sono poi sicuri di questo? Anche perché non conoscono il contesto in cui vivi e le tue relazioni. Non so, non vi è mai capitato? :nonso: |
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Ho sempre espresso fortissime perplessità sulla validità della psicoterapia ma sentire che questa problematica del terapeuta che "dà sempre torto" è diffusa mi fa rivalutare un po' la categoria degli psicoterapeuti. |
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La responsabilità non significa per me, che se non riesci a superarli ti arrangi, perché tu non vuoi cambiare. Visto che molte persone che scrivono qui si rivolgono a professionisti, questo significa che vogliamo cambiare per stare meglio, altrimenti non avrebbe senso. A nessuno fa piacere una vita con disagi. Per quanto riguarda la maturità... la depressione e company non guarda in faccia nessuno, certamente non fa discriminazioni d'età. |
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E gli altri la maggior parte, hanno sempre "ragione" , la percezione che ho è quella di poca empatia e accettazione. E mi chiedo, come fa a giudicare il contesto se non lo conosce direttamente. |
Re: il contesto culturale
Qui ci sta bene la solita citazione di F. Basaglia... http://www.fobiasociale.com/picture....&pictureid=565
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Re: il contesto culturale
Una cosa non si può negare: una persona "sana di mente" (e in questa categoria faccio rientrare anche tutte le persone con disturbi caratteriali più o meno invalidanti, come disturbo borderline, ansia sociale, depressione...insomma tutti quei personality disorders, non in grado di intaccare le funzionalità del nostro raziocinio), deve prima o poi prendere in mano il controllo della propria vita emotiva: tempo fa avevo un amico il quale, resosi probabilmente conto del fastidio che provavo nel veder sottolineato un certo mio "difetto" fisico, continuava a insistere con frecciatine constanti e reiterate all'indirizzo del mio "difetto". Atteggiamento indubbiamente ed esplicitamente offensivo, resta il fatto che tali commenti mi mettevano a disagio perché ero io il primo ad avere un pregiudizio di segno negativo nei confronti di questo mio tratto estetico. Le frecciatine non sarebbero risultate pesanti qualora non avessi avuto problemi nell'accettarmi, e la sola capacità di dirigere il mio stato emotivo da una condizione di non accettazione al suo contrario, non può che dipendere da me. Siamo o non siamo noi l'headquarters della nostra vita interiore? Qualcuno deve ancora dimostrarmi che siamo pilotati dall'esterno o da oscure forze endogene in grado di sovvertire le nostre capacità di autocontrollo e autodominio...certo esistono schemi emotivi da lunghi tempo interiorizzati e dissolti nell'inconscio, difficili da eliminare in quanto stratificati da lungo tempo ma non irreversibili.
A me pare di aver capito che tu abbia un problema con l'altezza, stesso problema che ho sempre sperimentato anch'io, a livello emotivo almeno. Davvero credi che le persone alte abbiano più successo nel mondo del lavoro in quanto preferite in virtù del loro "vantaggio" estetico? Forse se parliamo di sport, spettacolo, moda o robe del genere, ma nei lavori più "ordinari" può al massimo dipendere da una maggiore autostima degli "stangoni", legata al loro piacersi...è la società a inculcare in loro questa maggiore autostima estetica? Probabile, ma è altrettanto vero che tutti noi verticalmente svantaggiati possiamo recuperare facendo leva sull'autodisciplina emotiva che può portarci all'accettazione in chiave autonoma. Non credo che tutto il mondo sia pronto a farci pesare i nostri centimentri in meno, direi piuttosto che siamo noi i primi a soffrirne, esasperando e sottolineando con eccessivo zelo il nostro senso di inferiorità alla minima occasione. Posso capire che un ragazzino nell'età della crescita (oltreché fisica anche mentale/spirituale) possa necessitare di tutele contro forme di prevaricazione psicologica e contro i suoi stessi disturbi caratteriali "endogeni", ma un individuo adulto capace di intendere e di volere deve cominciare ad assumersi la piena responsabilità di un eventuale stato di sofferenza psicologica, anche ricorrendo all'aiuto di farmaci e specialisti del settore, ma senza puntare troppo l'indice sul contesto culturale. Persone malevole e malfidate esisteranno sicuramente, ma com'è possibile che l'ansia e la paura patologica del giudizio intacchino solo una minima percentuale della popolazione? Come potrebbe esistere del resto un "consesso" umano con le sue relative forme di organizzazioni sociali, se nessuno si fidasse di nessuno e tutti intravedessero negli altri giudici spietati e perennemente discriminanti? |
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Dubito comuque che una condizione di vita solitaria sia mai stata considerata, essa sola, come indicatrice di qualche virtù particolare. |
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Io penso spesso che forse un paese tipo il Giappone sarebbe stato molto più adatto a me. A me piace avere una vita organizzata, persone che rispettano le regole, e la cultura giapponese mi rispecchia maggiormente rispetto a quella italiana.
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