Re: il contesto culturale
Io non volevo dire che il medioevo è stata un'epoca migliore della nostra. Ci mancherebbe. Io ho 45 anni, e probabilmente nel medioevo sarei già morto. O, bene che mi andasse, non avrei più i miei denti e mi nutrirei di pastoni a base di latte e cereale (quindi non camperei ancora molto).
Quello che volevo dire è che il contesto sociale incide molto sui nostri giudizi, anche su noi stessi. |
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Poi sta alla sensibilità di ognuno cercare di essere il più imparziali possibile se necessario. |
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Oltre alla scuola dell'antipsichiatria (Laing, Basaglia, Arieti, ecc) che ha avuto il merito di portare alla chiusura dei manicomi, si possono fare i nomi di Eric Fromm, Karen Horney (psicanalisi culturalista), la scuola di Francoforte, le varie teorie di impronta femminista ecc. Il limite forse è l'aspetto utopistico di certe loro proposte, che sono più utili quando si concentrano su obiettivi più limitati e fattibili (vedi Basaglia) |
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D'accordissimo. Come contributo: non esiste una sola società, ma tante società che hanno valori, codici e sanzioni differenti.
Per cui, date per certe le premesse di base, si arriva alla conclusione che esistono esiti differenti vivendo in società differenti. L'interazione tra istanze psicologiche individuali e spinte sociali esogene è differente al variare delle spinte sociali esogene, ovvero al variare della società, comunità in cui si vive, rimanendo lo stesso l'individuo. Oltretutto, varia anche il contesto in cui si lavora, il gruppo dei pari che si frequenta, ovvero i gruppi e le organizzazioni in cui si è inseriti agiscono da filtro e a volte da contro-spinta ai valori sociali di riferimento. Questo non vale o tende a scomparire se una persona non frequenta gruppi di riferimento o non è inserito in organizzazioni. |
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Insomma tendono a giustificare le altre persone. E a farti credere che i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri sono fuori luogo. Ma gli psicologi sono poi sicuri di questo? Anche perché non conoscono il contesto in cui vivi e le tue relazioni. Non so, non vi è mai capitato? :nonso: |
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Ho sempre espresso fortissime perplessità sulla validità della psicoterapia ma sentire che questa problematica del terapeuta che "dà sempre torto" è diffusa mi fa rivalutare un po' la categoria degli psicoterapeuti. |
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La responsabilità non significa per me, che se non riesci a superarli ti arrangi, perché tu non vuoi cambiare. Visto che molte persone che scrivono qui si rivolgono a professionisti, questo significa che vogliamo cambiare per stare meglio, altrimenti non avrebbe senso. A nessuno fa piacere una vita con disagi. Per quanto riguarda la maturità... la depressione e company non guarda in faccia nessuno, certamente non fa discriminazioni d'età. |
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E gli altri la maggior parte, hanno sempre "ragione" , la percezione che ho è quella di poca empatia e accettazione. E mi chiedo, come fa a giudicare il contesto se non lo conosce direttamente. |
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Qui ci sta bene la solita citazione di F. Basaglia... http://www.fobiasociale.com/picture....&pictureid=565
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Una cosa non si può negare: una persona "sana di mente" (e in questa categoria faccio rientrare anche tutte le persone con disturbi caratteriali più o meno invalidanti, come disturbo borderline, ansia sociale, depressione...insomma tutti quei personality disorders, non in grado di intaccare le funzionalità del nostro raziocinio), deve prima o poi prendere in mano il controllo della propria vita emotiva: tempo fa avevo un amico il quale, resosi probabilmente conto del fastidio che provavo nel veder sottolineato un certo mio "difetto" fisico, continuava a insistere con frecciatine constanti e reiterate all'indirizzo del mio "difetto". Atteggiamento indubbiamente ed esplicitamente offensivo, resta il fatto che tali commenti mi mettevano a disagio perché ero io il primo ad avere un pregiudizio di segno negativo nei confronti di questo mio tratto estetico. Le frecciatine non sarebbero risultate pesanti qualora non avessi avuto problemi nell'accettarmi, e la sola capacità di dirigere il mio stato emotivo da una condizione di non accettazione al suo contrario, non può che dipendere da me. Siamo o non siamo noi l'headquarters della nostra vita interiore? Qualcuno deve ancora dimostrarmi che siamo pilotati dall'esterno o da oscure forze endogene in grado di sovvertire le nostre capacità di autocontrollo e autodominio...certo esistono schemi emotivi da lunghi tempo interiorizzati e dissolti nell'inconscio, difficili da eliminare in quanto stratificati da lungo tempo ma non irreversibili.
A me pare di aver capito che tu abbia un problema con l'altezza, stesso problema che ho sempre sperimentato anch'io, a livello emotivo almeno. Davvero credi che le persone alte abbiano più successo nel mondo del lavoro in quanto preferite in virtù del loro "vantaggio" estetico? Forse se parliamo di sport, spettacolo, moda o robe del genere, ma nei lavori più "ordinari" può al massimo dipendere da una maggiore autostima degli "stangoni", legata al loro piacersi...è la società a inculcare in loro questa maggiore autostima estetica? Probabile, ma è altrettanto vero che tutti noi verticalmente svantaggiati possiamo recuperare facendo leva sull'autodisciplina emotiva che può portarci all'accettazione in chiave autonoma. Non credo che tutto il mondo sia pronto a farci pesare i nostri centimentri in meno, direi piuttosto che siamo noi i primi a soffrirne, esasperando e sottolineando con eccessivo zelo il nostro senso di inferiorità alla minima occasione. Posso capire che un ragazzino nell'età della crescita (oltreché fisica anche mentale/spirituale) possa necessitare di tutele contro forme di prevaricazione psicologica e contro i suoi stessi disturbi caratteriali "endogeni", ma un individuo adulto capace di intendere e di volere deve cominciare ad assumersi la piena responsabilità di un eventuale stato di sofferenza psicologica, anche ricorrendo all'aiuto di farmaci e specialisti del settore, ma senza puntare troppo l'indice sul contesto culturale. Persone malevole e malfidate esisteranno sicuramente, ma com'è possibile che l'ansia e la paura patologica del giudizio intacchino solo una minima percentuale della popolazione? Come potrebbe esistere del resto un "consesso" umano con le sue relative forme di organizzazioni sociali, se nessuno si fidasse di nessuno e tutti intravedessero negli altri giudici spietati e perennemente discriminanti? |
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Dubito comuque che una condizione di vita solitaria sia mai stata considerata, essa sola, come indicatrice di qualche virtù particolare. |
Re: il contesto culturale
Io penso spesso che forse un paese tipo il Giappone sarebbe stato molto più adatto a me. A me piace avere una vita organizzata, persone che rispettano le regole, e la cultura giapponese mi rispecchia maggiormente rispetto a quella italiana.
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