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Oblomov 18-08-2014 16:46

Re: il contesto culturale
 
Io non volevo dire che il medioevo è stata un'epoca migliore della nostra. Ci mancherebbe. Io ho 45 anni, e probabilmente nel medioevo sarei già morto. O, bene che mi andasse, non avrei più i miei denti e mi nutrirei di pastoni a base di latte e cereale (quindi non camperei ancora molto).
Quello che volevo dire è che il contesto sociale incide molto sui nostri giudizi, anche su noi stessi.

alien boy 18-08-2014 17:01

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da Oblomov (Messaggio 1346417)
Quello che volevo dire è che il contesto sociale incide molto sui nostri giudizi, anche su noi stessi.

Assolutamente si, contesto sociale e contesto familiare.

~~~ 18-08-2014 17:10

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da Oblomov (Messaggio 1346208)
siete d'accordo con me che forse una terapia psicologica non può essere di tipo individuale, ma deve considerare anche gli aspetti sociali?

Sì, ma inevitabilmente, del resto il disagio non è separabile da un "noi" o da un contesto, il depresso, il sociofobico non è solo, anche se è rinchiuso nella sua stanzetta continua a fare parte del discorso di tutti, e infatti la psicoterapia deve tenere conto di tutti gli elementi del passato e del presente in cui si è trovato e si trova il paziente.

Weltschmerz 18-08-2014 18:41

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da Oblomov (Messaggio 1346406)
si, quello che mi chiedo io è se le teorie psicologiche lo considerino quando spiegano il comportamento umano...

La sociologia che si occupa dell'argomento.
Poi sta alla sensibilità di ognuno cercare di essere il più imparziali possibile se necessario.

milton erickson 18-08-2014 19:35

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da Oblomov (Messaggio 1346406)
si, quello che mi chiedo io è se le teorie psicologiche lo considerino quando spiegano il comportamento umano...

Diciamo che ci sono stati vari tentativi di mettere sotto critica la società sotto vari aspetti: il capitalismo sfrenato, il ruolo subalterno della donna, la malattia psichiatrica come effetto di una famiglia e di una società oppressiva e autoritaria.

Oltre alla scuola dell'antipsichiatria (Laing, Basaglia, Arieti, ecc) che ha avuto il merito di portare alla chiusura dei manicomi, si possono fare i nomi di Eric Fromm, Karen Horney (psicanalisi culturalista), la scuola di Francoforte, le varie teorie di impronta femminista ecc.


Il limite forse è l'aspetto utopistico di certe loro proposte, che sono più utili quando si concentrano su obiettivi più limitati e fattibili (vedi Basaglia)

cancellato13317 18-08-2014 21:06

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da Oblomov (Messaggio 1346208)
nel Medioevo molti di noi sarebbero stati considerati come persone virtuose, in quanto silenziose, caste, dedite ai piaceri della contemplazione. Oggi, invece, siamo considerati degli sfigati.

Questa cosa pure io la penso spessissimo e la condivido in pieno. Ma infatti i valori della società moderna sono peggiori di quelli dei tempi dei babilonesi. Oggi le persone sono schiave senza rendersene conto.

Noriko 18-08-2014 21:59

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da milton erickson (Messaggio 1346337)
La psicoterapia in genere cerca di cambiare proprio le idee distorte che abbiamo acquisito dall'influenza degli altri.

Beh, a me sembra che gli psicologi almeno la maggior parte tende ad adattare l'individuo nella società e a farti sentire sbagliato nei confronti del mondo.

milton erickson 18-08-2014 22:38

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da Noriko (Messaggio 1346614)
Beh, a me sembra che gli psicologi almeno la maggior parte tende ad adattare l'individuo nella società e a farti sentire sbagliato nei confronti del mondo.

Dipende da cosa s'intende per individuo. Perchè io credo che la versione impaurita e fallimentare che conosciamo di noi stessi non sia quella vera.

Blowing Sand 19-08-2014 01:53

Re: il contesto culturale
 
D'accordissimo. Come contributo: non esiste una sola società, ma tante società che hanno valori, codici e sanzioni differenti.

Per cui, date per certe le premesse di base, si arriva alla conclusione che esistono esiti differenti vivendo in società differenti.

L'interazione tra istanze psicologiche individuali e spinte sociali esogene è differente al variare delle spinte sociali esogene, ovvero al variare della società, comunità in cui si vive, rimanendo lo stesso l'individuo.

Oltretutto, varia anche il contesto in cui si lavora, il gruppo dei pari che si frequenta, ovvero i gruppi e le organizzazioni in cui si è inseriti agiscono da filtro e a volte da contro-spinta ai valori sociali di riferimento. Questo non vale o tende a scomparire se una persona non frequenta gruppi di riferimento o non è inserito in organizzazioni.

Noriko 19-08-2014 06:26

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da milton erickson (Messaggio 1346648)
Dipende da cosa s'intende per individuo. Perchè io credo che la versione impaurita e fallimentare che conosciamo di noi stessi non sia quella vera.

Lo so, ma spesso, parlo per esperienza personale, gli psicologi tendono a farti sentire sbagliato e dicono che hai interpretato male le intenzioni degli altri, che ad esempio non vogliono intenzionalmente metterti a disagio o offenderti, oppure hai capito male tu ciò che gli altri volevano dirti.

Insomma tendono a giustificare le altre persone.

E a farti credere che i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri sono fuori luogo.
Ma gli psicologi sono poi sicuri di questo? Anche perché non conoscono il contesto in cui vivi e le tue relazioni.

Non so, non vi è mai capitato? :nonso:

pokorny 19-08-2014 08:41

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da Noriko (Messaggio 1346795)
Lo so, ma spesso, parlo per esperienza personale, gli psicologi tendono a farti sentire sbagliato e dicono che hai interpretato male le intenzioni degli altri, che ad esempio non vogliono intenzionalmente metterti a disagio o offenderti, oppure hai capito male tu ciò che gli altri volevano dirti.

Insomma tendono a giustificare le altre persone.

E a farti credere che i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri sono fuori luogo.
Ma gli psicologi sono poi sicuri di questo? Anche perché non conoscono il contesto in cui vivi e le tue relazioni.

Non so, non vi è mai capitato? :nonso:

Io ho fatto solo un paio d'anni di terapia, da adolescente e sarà che il mio terapeuta era il meglio che un essere umano potesse desiderare, arrivava non lontano da discorsi simili, e penso facesse bene. Vedo il terapeuto come una sorta di educatore che sa che basta dare un dito perché venga fagocitato non solo il braccio ma tutto il resto. Il paziente si aspetta in varia misura il consenso alla sua visione del mondo, tutti lo vorremmo. Basta vedere cosa diventano i genitori da anziani (e purtroppo anche prima): hanno sempre ragione, o meglio credono di averla. Tutti la vogliamo. Siccome si tratta di equilibri delicati che affondano in zone molto sensibili della mente io mi aspetto proprio che un terapeuta intelligente insista molto sulla correzione della nostra percezione della realtà. Come è umano e giusto che sia, il messaggio che arriva alla nostra percezione è diverso, suona come "mi dà sempre torto".

Ho sempre espresso fortissime perplessità sulla validità della psicoterapia ma sentire che questa problematica del terapeuta che "dà sempre torto" è diffusa mi fa rivalutare un po' la categoria degli psicoterapeuti.

muttley 19-08-2014 08:53

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da Noriko (Messaggio 1346614)
Beh, a me sembra che gli psicologi almeno la maggior parte tende ad adattare l'individuo nella società e a farti sentire sbagliato nei confronti del mondo.

La maggior parte degli psicologi insegna a prendersi la responsabilità dei propri stati emotivi: se una persona si sente a disagio nella maggioranza delle situazioni sociali, è inverosimile pensare che esista un mondo intero fatto di persone che cercano intenzionalmente di destabilizzarla e farla sentire inadeguata. Probabile che questa persona sia reduce da un vissuto emotivo tormentato e problematico ma arriva il momento in cui, col sopraggiungere della maturità, essa dovrebbe prendere in mano la responsabilità del suo modo di sentirsi. Il mondo poi non è certo perfetto, ma se non lo è per noi non lo è nemmeno per gli altri: è virtualmente impossibile che il contesto in cui si vive sia tagliato a misura per certa gente, anche perché risulta essere sempre una conciliazione, un "compromesso" tra tante esigenze diverse e quindi per quel poco che si riesce a dare a taluni, c'è altrettanto che viene sacrificato per altri e viceversa.

Noriko 19-08-2014 11:40

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da muttley (Messaggio 1346810)
La maggior parte degli psicologi insegna a prendersi la responsabilità dei propri stati emotivi: se una persona si sente a disagio nella maggioranza delle situazioni sociali, è inverosimile pensare che esista un mondo intero fatto di persone che cercano intenzionalmente di destabilizzarla e farla sentire inadeguata. Probabile che questa persona sia reduce da un vissuto emotivo tormentato e problematico ma arriva il momento in cui, col sopraggiungere della maturità, essa dovrebbe prendere in mano la responsabilità del suo modo di sentirsi. Il mondo poi non è certo perfetto, ma se non lo è per noi non lo è nemmeno per gli altri: è virtualmente impossibile che il contesto in cui si vive sia tagliato a misura per certa gente, anche perché risulta essere sempre una conciliazione, un "compromesso" tra tante esigenze diverse e quindi per quel poco che si riesce a dare a taluni, c'è altrettanto che viene sacrificato per altri e viceversa.

Credo che la responsabilità degli stati emotivi dolorosi ognuno se la prende, visto che fanno stare così male.

La responsabilità non significa per me, che se non riesci a superarli ti arrangi, perché tu non vuoi cambiare.

Visto che molte persone che scrivono qui si rivolgono a professionisti, questo significa che vogliamo cambiare per stare meglio, altrimenti non avrebbe senso.
A nessuno fa piacere una vita con disagi.


Per quanto riguarda la maturità... la depressione e company non guarda in faccia nessuno, certamente non fa discriminazioni d'età.

Noriko 19-08-2014 11:56

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da pokorny (Messaggio 1346805)

Ho sempre espresso fortissime perplessità sulla validità della psicoterapia ma sentire che questa problematica del terapeuta che "dà sempre torto" è diffusa mi fa rivalutare un po' la categoria degli psicoterapeuti.

Se lo psicologo in questione dirige la terapia sul fatto che comunque tu hai un disagio e quindi occorre cambiare tutto il tuo modo di vedere, senza filtrare niente o poco.
E gli altri la maggior parte, hanno sempre "ragione" , la percezione che ho è quella di poca empatia e accettazione.

E mi chiedo, come fa a giudicare il contesto se non lo conosce direttamente.

barclay 19-08-2014 12:08

Re: il contesto culturale
 
Qui ci sta bene la solita citazione di F. Basaglia... http://www.fobiasociale.com/picture....&pictureid=565
Quote:

E’ in questa relazione che la malattia può essere affrontata nella sua duplice faccia reale e sociale, prendendo in causa – assieme ai sintomi e alle manifestazioni morbose – i pregiudizi, le paure, le diffidenze che ancora la circondano e la alimentano; nonché le difficoltà sociali che ne impediscono la riabilitazione a certi ben specifici livelli.
In altre parole, lo psicoterapeuta non dovrebbe nascondere la testa sotto la sabbia e fingere che la società non stigmatizzi chi soffre di un disturbo mentale.

muttley 19-08-2014 12:16

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da Noriko (Messaggio 1346858)
Credo che la responsabilità degli stati emotivi dolorosi ognuno se la prende, visto che fanno stare così male.

La responsabilità non significa per me, che se non riesci a superarli ti arrangi, perché tu non vuoi cambiare.

Visto che molte persone che scrivono qui si rivolgono a professionisti, questo significa che vogliamo cambiare per stare meglio, altrimenti non avrebbe senso.
A nessuno fa piacere una vita con disagi.


Per quanto riguarda la maturità... la depressione e company non guarda in faccia nessuno, certamente non fa discriminazioni d'età.

Ciò che intendo dire è che uno stato emotivo (positivo o negativo che sia) creato dall'interazione col mondo esterno, deriva soprattutto dal modo tutto nostro che abbiamo di filtrare gli input esterni. Una persona fobica o anche semplicemente insicura, tende ad esasperare la portata dei segnali apparentemente negativi che vede giungere dal di fuori, perché il pregiudizio negativo che avverte nei propri confronti la induce a interpretare ogni cosa in linea con la concezione autosvalutante e distimica che ha di sé. In questo forum ad esempio si leggono ancora troppi topic in cui si parla di un ipotetico mondo ingiusto che non ci accetta per ciò che siamo, quando in realtà siamo noi i primi a non accettarci in quanto insicuri. Siamo insomma i più spietati giudici di noi stessi e questa struttura mentale di base ci porta a elaborare molte cose in chiave critica e colpevolizzante. Eppure lo sappiamo bene che la maggioranza delle persone ha ben di meglio di fare che passare il tempo a criticarci e a ferirci...

Noriko 19-08-2014 13:21

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da barclay (Messaggio 1346869)
Qui ci sta bene la solita citazione di F. Basaglia... http://www.fobiasociale.com/picture....&pictureid=565

In altre parole, lo psicoterapeuta non dovrebbe nascondere la testa sotto la sabbia e fingere che la società non stigmatizzi chi soffre di un disturbo mentale.

Parole sante! :bene:

muttley 19-08-2014 14:16

Re: il contesto culturale
 
Una cosa non si può negare: una persona "sana di mente" (e in questa categoria faccio rientrare anche tutte le persone con disturbi caratteriali più o meno invalidanti, come disturbo borderline, ansia sociale, depressione...insomma tutti quei personality disorders, non in grado di intaccare le funzionalità del nostro raziocinio), deve prima o poi prendere in mano il controllo della propria vita emotiva: tempo fa avevo un amico il quale, resosi probabilmente conto del fastidio che provavo nel veder sottolineato un certo mio "difetto" fisico, continuava a insistere con frecciatine constanti e reiterate all'indirizzo del mio "difetto". Atteggiamento indubbiamente ed esplicitamente offensivo, resta il fatto che tali commenti mi mettevano a disagio perché ero io il primo ad avere un pregiudizio di segno negativo nei confronti di questo mio tratto estetico. Le frecciatine non sarebbero risultate pesanti qualora non avessi avuto problemi nell'accettarmi, e la sola capacità di dirigere il mio stato emotivo da una condizione di non accettazione al suo contrario, non può che dipendere da me. Siamo o non siamo noi l'headquarters della nostra vita interiore? Qualcuno deve ancora dimostrarmi che siamo pilotati dall'esterno o da oscure forze endogene in grado di sovvertire le nostre capacità di autocontrollo e autodominio...certo esistono schemi emotivi da lunghi tempo interiorizzati e dissolti nell'inconscio, difficili da eliminare in quanto stratificati da lungo tempo ma non irreversibili.

A me pare di aver capito che tu abbia un problema con l'altezza, stesso problema che ho sempre sperimentato anch'io, a livello emotivo almeno. Davvero credi che le persone alte abbiano più successo nel mondo del lavoro in quanto preferite in virtù del loro "vantaggio" estetico? Forse se parliamo di sport, spettacolo, moda o robe del genere, ma nei lavori più "ordinari" può al massimo dipendere da una maggiore autostima degli "stangoni", legata al loro piacersi...è la società a inculcare in loro questa maggiore autostima estetica? Probabile, ma è altrettanto vero che tutti noi verticalmente svantaggiati possiamo recuperare facendo leva sull'autodisciplina emotiva che può portarci all'accettazione in chiave autonoma. Non credo che tutto il mondo sia pronto a farci pesare i nostri centimentri in meno, direi piuttosto che siamo noi i primi a soffrirne, esasperando e sottolineando con eccessivo zelo il nostro senso di inferiorità alla minima occasione.
Posso capire che un ragazzino nell'età della crescita (oltreché fisica anche mentale/spirituale) possa necessitare di tutele contro forme di prevaricazione psicologica e contro i suoi stessi disturbi caratteriali "endogeni", ma un individuo adulto capace di intendere e di volere deve cominciare ad assumersi la piena responsabilità di un eventuale stato di sofferenza psicologica, anche ricorrendo all'aiuto di farmaci e specialisti del settore, ma senza puntare troppo l'indice sul contesto culturale. Persone malevole e malfidate esisteranno sicuramente, ma com'è possibile che l'ansia e la paura patologica del giudizio intacchino solo una minima percentuale della popolazione? Come potrebbe esistere del resto un "consesso" umano con le sue relative forme di organizzazioni sociali, se nessuno si fidasse di nessuno e tutti intravedessero negli altri giudici spietati e perennemente discriminanti?

Franz86 19-08-2014 14:35

Re: il contesto culturale
 
Quote:

Originariamente inviata da Oblomov (Messaggio 1346208)
Io penso che il contesto della società e della relativa cultura abbiano un peso notevole su persone come noi (timide evitanti sociofobiche....).
Ad esempio, penso che nel Medioevo molti di noi sarebbero stati considerati come persone virtuose, in quanto silenziose, caste, dedite ai piaceri della contemplazione. Oggi, invece, siamo considerati degli sfigati.
Quindi, siete d'accordo con me che forse una terapia psicologica non può essere di tipo individuale, ma deve considerare anche gli aspetti sociali?

Il contesto ha certo un peso talmente rilevante che in un' altra epoca chissà che persone saremmo state e quali sarebbero stati i nostri problemi quotidiani.

Dubito comuque che una condizione di vita solitaria sia mai stata considerata, essa sola, come indicatrice di qualche virtù particolare.

Sadsoul 20-08-2014 01:45

Re: il contesto culturale
 
Io penso spesso che forse un paese tipo il Giappone sarebbe stato molto più adatto a me. A me piace avere una vita organizzata, persone che rispettano le regole, e la cultura giapponese mi rispecchia maggiormente rispetto a quella italiana.


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