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Josef K. 03-10-2012 22:15

Quando la patologia diventa arte
 
Gli spunti di riflessione offerti dalle nostre problematiche sono moltissimi, e spesso capita di ritrovarli sviluppati in opere di ogni genere. Mi piacerebbe che questo topic diventasse uno spazio per menzionare, descrivere o linkare quei prodotti - musicali, letterari, cinematografici, videoludici e così via - che, secondo il vostro parere, hanno a che fare con la nostra tipologia di problemi. Che l'argomento venga da queste esplicitamente trattato, o sia solo suggerito; che si tratti di un prodotto strettamente artistico, o più in generale intellettualmente stimolante; che sia legato alla sociofobia, o riguardi altre patologie chiamate in causa nel forum; che se ne voglia fornire una analisi, o semplicemente postare un link; questo è il luogo adatto per condividere quei frammenti della nostra realtà che meritano di essere diffusi. Inizio mettendo in evidenza un film, "Le conseguenze dell'amore" di Paolo Sorrentino, che oltre ad essere molto bello penso sia un must per utenti di un forum come questo. Di seguito, il link per un trailer:


VyCanisMajoris 03-10-2012 22:22

Re: Arte fobica
 
"Il Mondo si divide in due categorie: i vincenti e i perdenti. Dentro ognuno di voi, nessuno escluso, alla radice stessa del vostro essere, c'è un vincente che aspetta di essere svegliato e sguinzagliato per il mondo. Mai più indecisione, mai più commiserarsi, mai più scuse: riappropriatevi della vostra vita."


Baloordo 04-10-2012 17:26

Re: Arte fobica
 


La terra... è una nave troppo grande per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.
Non scenderò dalla nave.
Al massimo, posso scendere dalla mia vita.

Josef K. 04-10-2012 18:28

Re: Arte fobica
 
"Io non avevo mai pensato, da ragazzo, che nessuno mi volesse bene. Tu da ragazzo non pensavi che un giorno avresti trovato chi ti avrebbe amato molto? Io non ho fatto male a nessuno, io sono innocente. Quasi mi dispiace di non aver fatto male, e di essere, ora, come un bambino. C'è chi nasce così, che non può fare il male e non riceve il bene. Io ho sbagliata tutta la mia vita, e se mi dovessi confessare non saprei che cosa dire. Quando sono lontano da un luogo, so che cosa vi avrei potuto fare; quando ci sto, non so più, e vorrei tornare là di dove sono partito. Io certe volte penso alle persone che ho incontrato nella mia vita. C'era una ragazza che forse mi avrebbe voluto bene, ma io non sapevo cosa dirle. Che cosa credi che fosse questa ragazza? Io non mi ricordo più se fosse piccola o grande, e vorrei tornare indietro per vederla com'era. Mi ricordo soltanto come mi guardava. Quando siamo sul posto, non sappiamo mai come sono le cose, e poi da lontano ce ne facciamo un'idea tutta diversa. Come è la mia casa? Io me la ricordo grande, e quando ci vado la trovo piccola. Anche mia moglie in casa mi sembra grande e quando la vedo per la strada la trovo piccola. E la strada dove giocavo? Quando sono in un posto mi dico che me ne voglio ricordare e cerco di mettermi bene nella memoria come stanno le cose. Poi tutto è diverso nel ricordo. Mi sembra di aver sempre sognato. Certe volte mi domando se sono proprio io che vivo di qua e di là, che ieri ero in un posto e oggi in un altro. Certe mattine, quando ho dormito poco, mi sembra di essermi lasciato a casa. Non vi succede anche a voi? E intanto uno cammina, fa qualche cosa, e magari non sa se è sveglio o se è morto". "Smettila, smettila!", gridarono a una voce il Borriello e il Ferro cui questa parola era nella mente, ma pronunciarla era stata come metterla loro davanti agli occhi. Ecco che intorno a questa parola i loro pensieri ondeggiavano pericolosamente, e da un momento all'altro perdevano l'equilibrio. "Non vi succede a voialtri", aggiunse il Mandorla, "non vi succede, pensando a qualche cosa della vostra vita, che vi si intromettono persone che non ci hanno niente a che fare? A me in questo momento viene in testa uno che gli bruciarono la mula, al mio paese, per dispetto. Gliela bruciarono dando fuoco alla stalla, e lui poveraccio le voleva più bene che a sua moglie. Io lo vedo che passa davanti ai miei occhi, col suo passo incerto e incespicante di uomo che cammina troppo, e mi ricordo, curioso, la sua faccia come la vidi in diversi periodi della sua vita, me lo ricordo distintamente, perchè gli vidi cambiare età, proprio cambiare età. Non è vero che è difficile notare questa cosa nelle persone che si vedono tutti i giorni? Io mi domando se vale la pena viaggiare tanto, quando poi quello che vediamo è sempre la stessa cosa, quello che vedemmo nell'infanzia. Io ho veduto come è fatto l'elefante; eppure quello che mi ricordo sempre sono le lucertole al sole d'estate, quando si incantano su una pietra che brucia, e qui sotto la bocca, sul collo biancastro, batte loro qualche cosa come una vena. Io ho traversato il mare e ho vedute tante cose; eppure mi ricordo precisamente soltanto l'orto che facevamo da ragazzi, presso il ruscello, e l'ombra che una piantina di cece appena nata faceva quando vi batteva il sole. Mai cipresso ha fatta tanta ombra come quella, nel mio ricordo".

Corrado Alvaro- Gente in Aspromonte- dal racconto Ventiquattr'ore

Josef K. 26-11-2015 02:11

Re: Arte fobica
 
UN MEDICO DI CAMPAGNA


Mi trovavo in grande imbarazzo: ero nell'imminenza di partire per un viaggio urgente; in una borgata distante circa dieci miglia mi aspettava un malato grave; una violenta bufera di neve riempiva l'ampio spazio tra me e lui; la carrozza ce l'avevo, leggera, alta di ruote, di quelle fatte apposta per le nostre strade campestri; chiuso nella pelliccia, la borsa dei ferri in mano, stavo pronto alla partenza in cortile; ma il cavallo mancava, il cavallo. Il mio era morto la notte prima, a causa delle eccessive fatiche di quel gelido inverno; la mia fantesca stava correndo per tutto il villaggio cercandone uno a prestito; ma era impresa disperata, lo sapevo, e rimanevo lì impotente, sempre più coperto dalla neve, sempre più incapace di muovermi. Al portone apparve la servetta, sola, agitando la lanterna; si capisce, chi presterebbe il suo cavallo per un simile viaggio? Ancora una volta attraversai tutto il cortile: non trovavo soluzione; smarrito, angosciato, diedi un calcio alla porticina tarlata del porcile, rimasto inutilizzato da anni. La porta si aprì sbattendo ripetutamente sui cardini, e fai investito da una folata calda, odorosa di cavalli. Nell'interno, un fioco lume da stalla oscillava appeso ad una fune. Un uomo se ne stava raggomitolato nel basso bugigattolo; alzò il volto scoprendo i suoi occhi azzurri. «Devo attaccare?» domandò, strisciando avanti a quattro gambe. Non seppi cosa rispondergli e mi chinai per vedere che altro c'era lì dentro. La fantesca mi stava accanto. «Uno non sa mai quante cose ha in casa,» disse, e ridemmo insieme. «Ehi fratello, ehi sorellina,» chiamò lo stalliere, e due cavalli, splendide bestie dai fianchi possenti, si spinsero avanti uno dietro l'altro, le gambe strette al corpo, le teste ben fatte inclinate alla guisa dei cammelli, e con la sola forza dei tronchi guizzanti superarono lo stretto pertugio d'ingresso, riempiendolo totalmente. Quindi si fermarono, ritti sulle lunghe zampe, i corpi fumiganti di fitto sudore «Aiutalo,» dissi, e la solerte ragazza si affrettò a porgere al servo i finimenti. Ma ecco che appena gli è vicino, il servo l'abbranca e affonda il viso in quello di lei. Essa dà un grido e si rifugia da me; nella sua guancia scorgo l'impronta rossa di due file di denti. «Bestiaccia,» grido furibondo, «vuoi una frustata?» ma subito mi viene in mente che è un estraneo, uno che non so di dove venga e che mi aiuta spontaneamente, mentre tutti si eclissano. Lui, quasi leggesse nei miei pensieri, non dà peso alla minaccia, ma si limita a gettarmi un'occhiata, sempre affaccendato dietro ai cavalli. «Salga,» mi dice poi, e in effetti tutto è pronto. Con una muta così bella, lo vedo bene non ho viaggiato mai; e salgo tutto allegro. «Lascia però che guidi io, tu non conosci la strada,» gli dico. «Certo,» risponde, «io non vengo, resto qui con Rosa.» «No,» urla Rosa e corre in casa, ben presaga dell'inevitabile suo destino; la sento tirare il catenaccio all'uscio, ne odo il tintinnio, lo scatto della serratura; vedo che essa spegne pure la luce sul pianerottolo, poi in tutte le altre stanze, sempre correndo a precipizio per non farsi trovare. «Tu vieni con me,» dico allo stalliere, «altrimenti, con tutta l'urgenza, faccio a meno di partire. Levati dalla testa che ti lasci in mano la ragazza come prezzo del viaggio.» «Via!» fa lui, e batte le mani; la carrozza sfreccia come un legno nella corrente; faccio ancora in tempo a sentire che la mia porta di casa si schianta e va in frantumi sotto la furia dello stalliere, poi negli occhi e negli orecchi non ho più che un mugghio, e tutti i miei sensi ne sono ugualmente penetrati. Ma solo per un breve istante; infatti, come se il cortile del malato si schiudesse immediatamente davanti al mio portone, eccomi, ci sono già; i cavalli si fermano quieti; non nevica più; la luna risplende; i genitori del malato escono di corsa; li segue la sorella; quasi di peso mi tolgono dalla carrozza; non riesco ad intendere i loro discorsi confusi; l'aria nella stanza del malato è pressoché irrespirabile; la stufa, non accudita, manda fumo; spalancherò la finestra; ma prima voglio vedere il malato. Magro, senza febbre, nè freddo nè caldo, gli occhi spenti, senza camicia, il giovane si tira su di sotto al piumino, mi si appende al collo, mi sussurra all'orecchio: «Dottore, lasciami morire.» Mi guardo intorno: nessuno ha udito; i genitori, curvi in avanti, attendono muti il mio responso; la sorella ha accostato una sedia per la mia borsa dei ferri. La apro e cerco tra gli strumenti; il giovane, dal letto, continua ad annaspare alla mia volta per ricordarmi la sua preghiera; afferro una pinzetta, la esamino alla luce della candela, poi la rimetto giù. «Sì,» penso imprecando, «in simili casi vengono in aiuto gli dèi, ti mandano il cavallo che manca, vista l'urgenza ne aggiungono un secondo e ti danno anche lo stalliere per soprappiù...» Di colpo mi viene in mente Rosa che fare, come salvarla, come strapparla a quello stalliere, a dieci miglia di distanza, con due cavalli indomiti legati alla carrozza? Questi cavalli che, non so come, hanno allentato le redini, sono inspiegabilmente riusciti ad aprire le finestre dall'esterno, e ora, ciascuno da una finestra, incuranti del clamore dei familiari, sporgono le teste a contemplare il malato. «Torno subito indietro,» penso, come se i cavalli mi ingiungessero di ripartire, ma invece lascio che la sorella, che mi crede stordito dal caldo, mi tolga la pelliccia. Mi versano un bicchiere di rum, il vecchio mi batte sulla spalla: l'avermi fatto parte del suo tesoro giustifica tale confidenza. Scuoto il capo: nell'angusta cerchia di pensieri del vecchio mi sentirei venir meno, e solo per questo motivo rifiuto di bere. La madre, accanto al letto, mi fa cenno di avvicinarmi; obbedisco e, mentre il mio cavallo nitrisce forte verso il soffitto, appoggio la testa sul petto del giovane, il quale al contatto della mia barba bagnata rabbrividisce. Ho la conferma di quel che già sapevo: il ragazzo è sano; un po' anemico, rimpinzato di caffè dalla trepida madre, ma sano; buttarlo giù dal letto con uno spintone sarebbe la miglior cura. Poiché il mio mestiere non è quello del riformatore, lo lascio dove sta. Sono un funzionario distrettuale e faccio il mio dovere fino all'ultimo, fino al punto in cui rischia di esorbitare. Mi pagano male, ma sono generoso e aiuto la povera gente. Anche di Rosa ho da preoccuparmi, e questo giovane può darsi che abbia ragione, e anch'io voglio morire. Che sto facendo qui, in quest'inverno infinito? Il mio cavallo è morto e in paese non c'è nessuno che voglia prestarmene un altro. Mi tocca andare a cercarmi una muta nel porcile: se per buona sorte non fossero stati cavalli, dovevo servirmi di maiali. Proprio così. E accennò col capo verso i familiari. Loro non ne sanno nulla, se lo sapessero non ci crederebbero.Scrivere ricette è facile, ma, quanto al resto, intendersi con la gente è difficile. Be', con questo la mia visita sarebbe finita, ancora una volta mi hanno disturbato senza scopo: ci sono avvezzo, tutto il distretto si serve del mio campanello notturno per tormentarmi, ma che stavolta sia stato costretto a perdere anche Rosa, quella bella figliola che da anni mi viveva in casa quasi inosservata - questo è un sacrificio troppo grave, e posso farmene una ragione solo appigliandomi ad ogni capziosità che mi passa per la testa; altrimenti mi sfogherei contro questa famiglia che, con la migliore volontà, non potrà mai rendermi Rosa. Ma quando richiudo la borsa e faccio un cenno perché mi si porti la pelliccia, e la famiglia mi sta di fronte riunita - il padre fiutando l'odore del bicchiere di rum, la madre, che probabilmente ho deluso (va' a sapere cosa s'aspetta il popolo!), mordendosi in lagrime le labbra, la sorella agitando un asciugamano zuppo di sangue - chissà perché mi sento disposto ad ammettere, in un certo senso, che il giovane forse è malato. Mi avvicino, egli mi sorride, quasi gli porgessi la più sostanziosa delle minestre... ah, ecco, i due cavalli nitriscono: è un rumore forse preordinato in alto luogo per facilitare il mio compito... e adesso, sì, me ne accorgo, il giovane è malato. Nel suo fianco destro, all'altezza dell'anca, si è aperta una ferita grande come il palmo d'una mano. Di color rosa, ricca di sfumature, più scura al centro, via via più chiara sugli orli, leggermente granulosa, con grumi di sangue irregolarmente sparsi, aperta verso l'alto come una miniera: tale appare vista di lontano. Ma più dappresso si nota un'altra complicazione; e chi può guardarla senza un lieve sibilo di stupore? La piaga pullula di vermi, lunghi e grossi come il mio dito mignolo, rosei e per di più intrisi di sangue; come fossero radicati al fondo, agitano verso la luce le testine bianche e le innumeri zampette. Povero ragazzo, sei spacciato. Ho scoperto la tua grande ferita: questo fiore che hai nel fianco significa morte. La famiglia, che mi vede in piena attività, è felice. La sorella lo dice alla madre, la madre al padre, il padre ad alcuni estranei che in punta di piedi, bilanciandosi sulle braccia divaricate, entrano dalla porta piena di luna. «Mi salverai?» sussurra il giovane in un singhiozzo, abbagliato dalla vita che palpita nella sua piaga. Così è la gente dalle mie parti: sempre chiedono al medico l'impossibile. Hanno perso l'antica fede; il parroco se ne sta a casa e disfa una ad una le sue pianete, ma il medico, con la sua mano morbida di chirurgo, deve essere capace di tutto. Sia come volete; non sono stato io ad offrirmi; se avete bisogno di me per un santo fine, non mi rifiuterò certo; che potrebbe desiderare di meglio un vecchio medico di campagna, privato della sua servetta? Ed eccoli che vengono, la famiglia e gli anziani del borgo, e mi svestono, mentre davanti alla casa un coro di scolari col maestro in testa canta una melodia semplicissima sulle parole:

Josef K. 26-11-2015 02:12

Re: Arte fobica
 
Svestitelo e lui saprà guarire,
e se non sa guarire uccidetelo!
È solo un medico, solo un medico!

Sono svestito, e tranquillo, le dita immerse nella barba, li osservo col capo reclino. Mi sento perfettamente a mio agio e superiore a tutti, e tale rimango anche se non mi giova a nulla, perché ora mi pigliano per la testa e per i piedi e mi portano sul letto. Mi mettono contro il muro, dalla parte della ferita, poi tutti escono; la porta viene chiusa; il canto si spegne; nuvole celano la luna; sento le coperte calde intorno al corpo; le teste dei cavalli tentennano indistinte nei vani delle finestre. «Sai,» mi sento bisbigliare all'orecchio, «ho ben poca fiducia in te. Ti hanno buttato qui chissà di dove, non sei venuto di tua libera scelta. Invece di soccorrermi, mi togli spazio nel mio letto di morte. Avrei voglia di cavarti gli occhi.» «Hai ragione,» dico, «è una vergogna. Ma io sono un medico: che altro potrei fare? Credimi, anche per me la vita non è facile.» «E pensi che queste scuse mi bastino? Eppure devo per forza accontentarmene. Sempre devo accontentarmi. Sono venuto al mondo con una bella ferita, e questo era tutto il mio corredo.» «Mio giovane amico,» gli rispondo, «il tuo sbaglio e di non guardare alle cose nel loro insieme. Io, che di camere di malati ne ho vedute a bizzeffe, posso assicurarti che la tua ferita non è tanto brutta. Due colpi di accetta ad angolo acuto. Molti sono quelli che offrono il fianco e non fanno caso al rumore dell'accetta nel bosco; tanto meno poi s'accorgono che si sta avvicinando.» «È proprio così, o vuoi darmela a intendere perché no la febbre?» «È proprio così, e portati pure lassù la parola d'onore di un medico condotto.» Ed egli la accolse e non parlò più. Ma era ora di provvedere alla mia salvezza. I fidi cavalli erano sempre ai loro posti. Raccattai in fretta vestiti, pelliccia e borsa; non volli perdere tempo a rivestirmi; se i cavalli correvano come nel viaggio d'andata, sarei per così dire balzato da quel letto nel mio. Docile, un cavallo si ritrasse dalla finestra; gettai il fardello nella carrozza; la pelliccia, caduta troppo lontano, restò appesa a un gancio per una manica. Pazienza. Saltai sul cavallo. Redini lente ciondoloni, un cavallo malamente legato all'altro, la carrozza arrancante dietro, e la pelliccia nella neve a chiudere il corteo. «Via!» dissi, ma c'era poco da dir via; lenti, a passo di vecchiaia, avanzavano nel deserto di neve, mentre lungamente echeggiava dietro di noi il nuovo ma fallace canto dei fanciulli:

Siate lieti, o pazienti,
nel vostro letto ora c'è il medico!

Di questo passo non arriverò più a casa; la mia brillante posizione è perduta, un successore mi saccheggia, ma senza trarne vantaggio, perché non riuscirà mai a soppiantarmi; in casa mia imperversa il ripugnante stalliere, e Rosa è la sua vittima; non ci voglio neppure pensare. Nudo, esposto al gelo di quest'infausta età, con una carrozza terrena, con due cavalli non terreni, non son più che un vecchio ramingo. La mia pelliccia penzola dietro il cocchio, ma non riesco a raggiungerla, e della mutevole marmaglia dei pazienti nessuno muoverà un dito. Inganno! Inganno! Se una volta dai retta al menzognero squillo del campanello notturno, non c'è più rimedio possibile.

Franz Kafka

Varano 26-11-2015 02:14

Re: Arte fobica
 
Nel Cantuccio Natio

Sarebbe bello diventare meccanico, giudice, comandante di un piroscafo, scienziato, fare qualcosa che assorba tutte le forze; fisiche e morali, per stancarsi e poi, la notte, dormire sodo; dare la propria vita a qualcosa che ti permetta di diventare una persona interessante, di piacere alle persone interessanti, di amare, di avere una vera famiglia... E allora cosa fare? Da dove incominciare?

L'uomo nell'astuccio

La realtà lo sgomentava, lo urtava, lo teneva in una perpetua emozione; e forse era per giustificare il suo sgomento o disgusto del reale, che instancabilmente vantava ciò ch'è passato ed inesistente.



Anton Cechov

Josef K. 26-11-2015 02:21

Re: Arte fobica
 
Il peccato non è un'azione piuttosto che un'altra, ma tutta un'esistenza mal congegnata. C'è chi pecca e chi no. Le stesse cose (odiare, fottere, oziare, maltrattare, umiliarsi, insuperbirsi) in uno sono peccati, in altri no.
Aver peccato vuol dire restar convinto che quell'azione è in un modo misterioso creatrice d'infelicità propria per l'avvenire, che essa ha offeso qualche legge misteriosa d'armonia e non è che un anello in una catena di disarmonie precedenti e future. Vivere è come fare una lunga addizione, in cui basta aver sbagliato il totale dei primi due addendi per non uscirne più.



Perché la gente abbia pietà di noi occorre che ci presentiamo bene (keep smiling), che non siamo troppo sporchi, che rappresentiamo un vantaggio per chi si occupa di noi. Ma quello che veramente chiederebbe la pietà e il sacrificio - l'umiliato, l'ossesso, l'impotente, il tarlato; sudicio e malparlante; disperato e assetato - chi vorrebbe dedicargli la vita? Intendo la vita assolutamente, come sarebbe di una donna che se lo sposasse, senza riserve. Molti per carità lo sfamerebbero, lo ragionerebbero, gli laverebbero il pus, ma chi gli aggiogherebbe la sua vita?
C'è mai stato un santo che ha salvato una sola persona? Tutti ne hanno salvato molte, hanno svolto una missione, hanno cercato gli infelici, ma qualcuno si è mai fermato a un infelice, chiudendosi in questa tomba? E persino chi ha sacrificato la vita, offrendo il suo sangue per un altro, avrebbe saputo trascorrere tutti i suoi giorni aggiogato a quest'altro, a questo solo?


Cesare Pavese- Il mestiere di vivere

Varano 26-11-2015 02:23

Re: Arte fobica
 
Viaggio al termine della notte


Ero un bambino allora, mi faceva paura la prigione. E che non conoscevo ancora gli uomini. Non crederò più a quello che dicono, a quello che pensano. E degli uomini e di loro soltanto che bisogna aver paura, sempre.

La grande sconfitta, in tutto, è dimenticare, e soprattutto quel che ti ha fatto crepare, e crepare senza capire mai fino a qual punto gli uomini sono carogne.

La maggior parte della gente non muore che all’ultimo momento; altri cominciano e si prendono vent’anni d’anticipo e qualche volta anche di più. Sono gli infelici della terra.

Allora mi sono ammalato, febbricitante, diventato matto, hanno spiegato loro all’ospedale, per la paura. Era possibile. La miglior cosa che puoi fare, no?, quando sei a ‘sto mondo, è di uscirne. Matto o no, paura o no.


Loro in alto con Musyne, io in basso, con niente. Musyne pensava seriamente al suo avvenire; allora preferiva farlo con un dio. Anch’io di certo pensavo all’avvenire, ma in una sorta di delirio, perché per tutto il tempo avevo, in sordina, la paura di essere ammazzato in guerra e anche la paura di morir di fame in pace. Ero in rinvio di morte e innamorato.


Poiché tutto era Teatro bisognava recitare e aveva proprio ragione Branledore; nulla ha l’aria più idiota ed è più irritante, è vero, di uno spettatore inerte salito per caso sulle scene. Quando si è lì sopra, si sa, bisogna prendere il tono, animarsi, recitare, decidersi o sparire. Le donne soprattutto chiedevano spettacolo ed erano impietose, le streghe, con i dilettanti imbambolati.

Anche a masturbarsi in quei casi lì non si prova né conforto, né distrazione. Allora è la vera disperazione.

Sempre avevo temuto d’essere pressoché vuoto, di non avere insomma alcuna seria ragione per esistere. Adesso davanti ai fatti ero proprio certo del mio nulla individuale. In quell’ambiente troppo diverso da quello in cui coltivavo le mie meschine abitudini, mi ero come dissolto all’istante. Mi sentivo vicinissimo alla non esistenza, semplicemente.


LF Céline

Josef K. 26-11-2015 02:40

Re: Arte fobica
 
Dei piaceri e delle passioni


«Fratello mio, se tu possiedi una virtù, e questa è tua veramente, tu non l'hai in comune con nessun altro.
Ma tu vuoi chiamarla per nome e vagheggiarla; tu vuoi prenderla per le orecchie e trastullarti con lei.
Ed ecco: ora hai in comune con gli altri il suo nome e sei divenuto plebe e gregge per essa.
Meglio faresti a dire: senza nome è ciò che forma la dolcezza e la pena dell’anima mia, la fame dei miei visceri.
Sia la tua virtù troppo elevata per la volgarità dei nomi: e se devi parlare di lei non ti vergognare che il tuo labbro balbetti.
Parla dunque e balbetta: "Questo è il mio bene, è ciò che amo, ciò che mi piace. Tale voglio che sia il mio bene: non quale la legge d'un Dio, o uno statuto, o una necessità degli uomini: non quale una guida al di là della terra ed al paradiso.
Una virtù terrena è quella ch'io amo: c’è poco di prudenza in essa e meno ancora di senso comune.
Ma questo uccello fabbricò in me il suo nido e per ciò lo amo e lo tengo caro — e ora siede in me covando le uova dorate".
Così tu devi balbettare esaltando la tua virtù.
Una volta tu possedevi delle passioni e le chiamavi cattive: ora non possiedi che le tue virtù; le quali ebbero origine dalle tue passioni. Tu collocasti il tuo più sublime intento in quelle passioni, ed esse allora divennero le tue virtù e la gioia.
E quando tu pure fossi della razza degli irosi o dei voluttuosi o dei maniaci religiosi o dei vendicativi, tutte queste tue passioni si sarebbero or mutate in virtù ed i tuoi demoni in angeli.
Una volta tu possedevi dei cani selvaggi ne' tuoi sotterranei: ma ora si tramutarono in uccelli ed in vezzose cantatrici.
E dai tuoi veleni tu stillasti il tuo balsamo. Tu hai munto la tua vacca — la cura — ed ora tu bevi il dolce latte delle sue poppe. E nulla di cattivo crescerà più da te, fuorché il male che nasce dalla lotta delle tue virtù.
Mio fratello, se tu sei avventurato, tu possederai una sola virtù e non oltre: così varcherai più leggero il ponte.
E' grande dignità il possedere molte virtù, ma è pur una sorte molto pesante; e più d'uno sì recò nel deserto e s'uccise perché stanco di dover esser campo di battaglia a troppe virtù.
Fratello mio, è un male la guerra e la battaglia? Ma è un male necessario: necessario è dunque anche, tra le tue virtù, l’invidia, e la diffidenza, e la calunnia.
Vedi come ciascuna di esse anela a ciò che v'ha di più eccelso; essa pretende per sé tutto il tuo spirito; e affinché questo sia il suo araldo essa domanda per sé tutta la tua forza nella collera, nell'odio e nell'amore.
Ogni virtù è gelosa delle altre, e la gelosia è una cosa terribile. Anche le virtù possono perire per la gelosia.
Chi è circondato dalla fiamma della gelosia, rivolge finalmente, come lo scorpione, contro sé stesso l’aculeo avvelenato.
Ah, fratello mio, hai tu mai veduto una virtù calunniare e trafiggere sé stessa?
L'uomo è cosa che dev'essere superata: perciò tu devi amare le tue virtù: — perché tu perirai in causa di esse».

Nietzsche- Cosi parlo Zarathustra

Winston_Smith 26-11-2015 07:25

Re: Arte fobica
 
Una versione alternativa dell'Eterno Capolavoro


Josef K. 26-11-2015 11:38

Re: Arte fobica
 
Quote:

Originariamente inviata da Winston_Smith (Messaggio 1638361)
Una versione alternativa dell'Eterno Capolavoro

https://www.youtube.com/watch?v=byzMFJR3BT8

:bene: Esauriti i "ringrazia". :)

Bernardo Soares 26-11-2015 13:00

Re: Arte fobica
 
46.
L’isolamento mi ha conformato a sua immagine e somiglianza. La presenza di un’altra persona – di un’unica persona – mi fa immediatamente rallentare il pensiero; così, se nell’uomo normale il contatto con l’altro è una sollecitazione all’espressione e alla parola, in me tale contatto è un contro-stimolo, concesso che tale parola composta sia possibile dal punto di vista linguistico. Sono capace, da solo con me stesso, di inventare quanti motti di spirito, risposte pronte a cose mai dette, folgorazioni di una socialità intelligente con alcuna persona; ma tutto questo svanisce se mi trovo di fronte ad un altro in carne ed ossa, perdo l’intelligenza, rinuncio alla possibilità di esprimermi e, dopo qualche quarto d’ora, sono solo preso dal sonno. Sì, parlare con le persone mi fa venire voglia di dormire. Solo i miei amici spettrali e immaginati, solo le mie conversazioni che si svolgono in sogno, hanno una vera realtà e un giusto rilievo, e con loro il mio spirito è presente come una immagine allo specchio.

Del resto, mi pesa solo l’idea di essere costretto a stare in contatto con qualcun altro. Un semplice invito a cena con un amico mi provoca un’angoscia difficile da definire. L’idea di un qualsivoglia obbligo sociale – andare ad un funerale, trattare insieme a qualcuno una questione d’ufficio, andare alla stazione ad attendere una persona qualsiasi, conosciuta o sconosciuta – solo l’idea mi sconvolge i pensieri per un’intera giornata, e a volte comincio a preoccuparmi il giorno prima, e dormo male, e il caso nella sua dimensione reale, quando si verifica, è assolutamente insignificante, e non giustifica nulla. Tuttavia, la cosa si ripete e io non imparo mai ad imparare.

«Le mie abitudini sono attinenti alla solitudine e non agli uomini»; non so se sia stato Rousseau o Senancour a dire questo. Ma certo è stato qualche spirito della mia specie – potrei forse dire della mia razza.

Da Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares, scritto da Fernando Pessoa

Josef K. 26-11-2015 15:47

Re: Arte fobica
 
E tutti i ricordi a poco a poco gli si rifanno vita, gli ridanno le ansie, i fremiti, gli affanni, le gioie, i dolori, le rabbie d'allora. Ansa, sbuffa, sbarra gli occhi o li aggrotta, arriccia il naso, s'ilara in volto tutt'a un tratto con la bocca schiusa a un sorriso beato, e una lagrima gli sgocciola lenta da un occhio. Perché? Ma per niente! È entrato, di sera, in una casa di campagna in val di Ledro. Il focolare monumentale è in mezzo alla stanza rustica, sotto la cappa, che è come una tramoggia enorme capovolta, tutta affumicata dentro. Il vento geme continuo dalla gola nera del camino, dalla quale pende una catena, al cui gancio è sospeso un calderotto fumante. Attorno, nelle nicchie sotto la cappa, stan seduti i contadini della casa, che parlano gravi in quella voce continua del vento tenebroso... Ebbene, piange per questo? No: è quell'angoscia di rimpianto che, a chi passa precario per un luogo, dà la stabile vita degli altri in quel luogo, una vita intraveduta e assaporata per un momento, così intensamente, che tutta l'anima per sempre se ne impregna e nel ricordo può tornare a viverla, a riassaporarla, a chiudersi in essa, come se fuori più non ci fossero le tante vicende di prima e di poi, le incertezze e le difficoltà del cammino, i desiderii, i pensieri che non hanno requie!

Pirandello- Frammento di cronaca di Marco Leccio e della sua guerra sulla carta nel tempo della grande guerra europea

Josef K. 27-11-2015 05:58

Re: Arte fobica
 
Le osservazioni e gli incontri di chi va attorno in silente solitudine sono al tempo stesso più sfumati e più netti di quelli dell'uomo socievole, i suoi pensieri sono più gravi, più bizzarri, e mai esenti da un'ombra di tristezza.
Impressioni e immagini, che si potrebbero facilmente scrollar via con un'occhiata, un sorriso, uno scambio d'opinioni, lo preoccupano oltre misura, s'approfondiscono nel silenzio, diventano importanti, si trasformano in avventura, episodio, sentimento. La solitudine fa maturare l'originalità, la bellezza strana e inquietante, la poesia. Ma genera anche il contrario, lo sproporzionato, l'assurdo e l'illecito.


Thomas Mann- Morte a Venezia

Josef K. 27-11-2015 06:22

Re: Arte fobica
 

Varano 27-11-2015 10:48

Re: Arte fobica
 
Sommario di decomposizione

Ma dov'è l'antidoto alla disperazione chiara,
infinitamente articolata, fiera e sicura? Tutti gli esseri sono
infelici; ma quanti lo sanno? La coscienza dell'infelicità è una
malattia troppo grave per figurare in un'aritmetica delle
agonie o nei registri dell'Incurabile. Essa sminuisce il
prestigio dell'inferno e trasforma i mattatoi dei tempi in idilli.
Quale peccato hai commesso per nascere, quale colpa per
esistere? Il tuo dolore, al pari del tuo destino, è senza motivo.
Soffrire davvero significa accettare l'invasione dei mali senza
la scusa della causalità, come un favore della natura demente,
come un miracolo negativo...
Nella frase del Tempo gli uomini si inseriscono come le
virgole, mentre tu, per arrestarlo, ti sei immobilizzato in
punto.


Dove andare, quando non si può più vivere se non
nella città pur non avendone gli istinti, e quando non si è né
tanto intraprendenti da mendicare né tanto equilibrati da
dedicarsi alla saggezza?

Lilhium 27-11-2015 14:56

Re: Arte fobica
 
Depersonalizzazione.

Mi rendo conto di (ri)presentare un autore conosciuto, ma mi piacerebbe offrire a coloro che non l'avessero già scoperta per proprio conto, la galleria (suppongo) più completa online delle opere di Giger.

http://www.art-wallpaper.net/galleri...iger/index.htm

(Chissà come si chiama quel disturbo che impedisce al soggetto di percepire un proprio arto come, appunto, proprio. Non credo si tratti propriamente -perdonate le ripetizioni - di depersonalizzazione... Comunque, anche questo potrebbe essere riscontrato nei lavori dell'autore.)

Segnalo anche L'arcobaleno della Gravità, di Pychon. Vi sono trattati diversi disturbi, a cominciare dalla paranoia.

feaanor 27-11-2015 15:02

Re: Arte fobica
 
Bellissimo topic.
Propongo il quadro di Edward Hopper "i nottambuli" che rappresenta la solitudine dell'uomo moderno. Ogni tanto girando per strada, anche quando sono in compagnia, mi capita di fermarmi un attimo e percepire la lontananza delle altre persone, che pure sono là a pochi passi da me.
http://www.arteworld.it/wp-content/u...hawks-1942.jpg

Da notare l'abilità di Hopper: prima lo sguardo è attratto dalle figure sedute al bar, poi ci si rende conto che c'è una vetrata tra noi e loro e lo sguardo viene naturalmente "respinto" all'esterno, dove c'è un incrocio anonimo di una strada anonima. Sublime.

Varano 27-11-2015 15:39

Re: Arte fobica
 
1 allegato(i)
Quote:

Originariamente inviata da Lilhium (Messaggio 1639314)
Depersonalizzazione.


(Chissà come si chiama quel disturbo che impedisce al soggetto di percepire un proprio arto come, appunto, proprio. Non credo si tratti propriamente -perdonate le ripetizioni - di depersonalizzazione... Comunque, anche questo potrebbe essere riscontrato nei lavori dell'autore.)

Autore suggestivo :) . Non so perché mi è venuto in mente questo passo della Nausea di Sartre

Lilhium 27-11-2015 15:42

Re: Arte fobica
 
Un libro in cui mi riconosco molto, e che mi ricorda Lo squalificato, di Ozamu Dazai, libro che consiglio col cuore in mano e son lieta di mettere in questo topic. (Depressione, fobia sociale...)

Varano 27-11-2015 15:45

Re: Arte fobica
 
Quote:

Originariamente inviata da Lilhium (Messaggio 1639342)
Un libro in cui mi riconosco molto, e che mi ricorda Lo squalificato, di Ozamu Dazai, libro che consiglio col cuore in mano e son lieta di mettere in questo topic. (Depressione, fobia sociale...)

Allora è senz'altro da leggere :)

Josef K. 27-11-2015 15:49

Re: Arte fobica
 
Ecco: un ricordo... Durante un viaggio, in una piccola città italiana... Alloggiava con i suoi genitori in un albergo poco lontano dal teatro. Qui davano tutte le sere la stessa opera, e tutte le sere giungeva fino a lui ogni parola, ogni nota. Ma lui non capiva la lingua. Eppure ogni sera sedeva alla finestra aperta e stava in ascolto. In questo modo s'era innamorato di una delle attrici, pur senza averla mai vista. Non era mai stato preso dal teatro come allora; sentiva la passione delle melodie come un batter d'ali di grandi uccelli scuri, quasi gli fosse possibile cogliere le linee che il loro volo disegnava nella sua anima. Non erano più passioni umane quelle che provava: no, erano passioni che se ne fuggivano dal cuore degli uomini come da gabbie troppo anguste e banali. Mai, in quell'eccitazione, aveva potuto pensare alle persone che dall'altra parte, invisibili, davano corpo a quelle passioni; se provava a figurarsele, immediatamente davanti ai suoi occhi si levavano fiamme scure o dimensioni inaudite, come, nel buio, i corpi umani ingigantiscono e gli occhi degli uomini luccicano, simili a specchi d'acqua di pozzi profondi. E quella fiamma scura, quegli occhi nel buio, quel nero batter d'ali, allora, li aveva amati sotto il nome di quell'attrice sconosciuta. E chi aveva creato l'opera? Non lo sapeva. Forse il testo era una svenevole storia d'amore. Che l'artista avesse sentito che le sue note lo trasformavano in qualcosa di diverso? Un pensiero oppresse Torless in tutto il corpo. Sono così anche gli adulti? Il mondo è così? E' una legge universale che in noi ci sia qualcosa che è più forte, grande, bello, appassionato e oscuro di noi stessi? Qualcosa su cui noi abbiamo tanto poco potere che possiamo solo spargere a caso migliaia di semi, finché da uno improvvisamente germoglia una pianta come una fiamma scura che cresce ben oltre la nostra testa? ... E ogni fibra del suo corpo rispose tremando con un impaziente sì.

Il giovane Torless - Robert Musil

Nothing87 27-11-2015 18:44

Re: Arte fobica
 
Giacometti (1901-1066), scultore e pittore svizzero dai temi esistenzialisti (era amico di Sartre).
https://www.google.it/search?q=giaco...HRS9BekQ_AUIBQ
Giacometti si ispira all'arte scultorea etrusca (di Velletri) e la risemantizza.
Le forme lunghe come ombre al tramonto, scure e dalla superficie scabrosa come la roccia grezza, ricordano cadaveri carbonizzati dalla pelle squagliata. Rappresentano bene la fragilità dell'uomo e il suo dramma interiore.
Ne La piazza lo spazio si stringe intorno ad esili figure femminili e maschili anonime isolandole in una torre d'avorio virtuale.
I busti rappresentano conoscenti dell'artista. La testa che spunta da un ammasso di bronzo simile a una montagna fa pensare alla pesantezza della condizione umana, dove la mente è prigioniera nella gabbia di carne.
Eppure, se da un lato abbiamo l'inerte e auschwitziano Uomo che cade, da quello opposto l'Uomo che cammina riesce inaspettatamente a trovare la forza per il dinamismo. Forse però cammina solo per non pensare.

Un tempo queste opere mi affascinavano molto. Ora un po' meno.

Josef K. 28-11-2015 00:19

Re: Arte fobica
 
Quote:

Originariamente inviata da Nothing87 (Messaggio 1639453)

Un tempo queste opere mi affascinavano molto. Ora un po' meno.

E come mai, se non sono indiscreto? Molto suggestive, in particolare le sue tele.

Nothing87 28-11-2015 12:59

Re: Arte fobica
 
Quote:

Originariamente inviata da Josef K. (Messaggio 1639737)
E come mai, se non sono indiscreto?

Stagnare crogiolandosi nelle proprie o comuni sfortune serve a produrre arte ma non a star davvero meglio. Si sta bene, ci si sente vivi quando si esprime il proprio Io. Con opere simili invece si esprime solo il disagio. Non ne sono però tanto sicuro. Ciò che rifiuto con fermezza è la statica rassegnazione esistenzialista basata sul ragionamento per assoluto anziché su quello più a misura umana per relativo.

Nothing87 28-11-2015 13:00

Re: Arte fobica
 
Ero pronta. La battona che riceve il suo cliente. Ero come la sorella di Martella. Musica rock dentro alle casse. Le mie labbra rosso lucido. M'ero imbrattata la passerina d'idratante. Volevo scivolasse. Ero fuori allenamento. Ho eseguito addominali per avere il ventre piatto. Gli esercizi per i glutei. Li volevo belli sodi. All'altezza dell'attacco. Gli ornamenti. Un tanga ridottissimo per slanciarmi al massimo la coscia. Un reggiseno trasparente a rendermi visibili i capezzoli. La vestaglia con lo strascico. Il profumo sopra al collo. L'avrebbe morso stando dietro per chiavarmi. Ho messo un fiocco sulla testa della scimmia. Anche lei doveva risultare coreografica. Finalmente lo capisci che sei nata per far questo. Le divagazioni non ti servono. Sei rientrata nella testa. Butta fuori quel marmocchio. Avanti tutta. Molla ormeggi. In mare aperto. Sei sulla zattera. Segui le onde. Movimenti pelvici. Depravazione. Fai la tua scelta. Ancora sette giorni. Una settimana. Poi scappi. Lasci Gianmaria. Matteo. La suocera. In balia della corrente. Fatti spingere. E suonato il campanello. E arrivato il tuo momento. Apri la porta. Apri le gambe. Apriti tutta. Lui era lì. Stava verticale nell'ingresso. Le mani appoggiate sulla patta. Ha spinto uno scatolone dentro casa con un calcio. Quanta furia a cinque stelle. Se non l'avessi preso in bocca. Se non l'avessi fatto subito sarei corsa sotto il letto. Non ero poi troppo convinta. Si trattava di un rimpiazzo. Sostituivo il ragazzino con quel porco. Cronaca nera al posto della favola. L'ho infilato tra le labbra assalita dalla nausea. L'avversario mugolava stringendomi la testa. Sussurrava a denti stretti l'ho capito subito che eri una baldracca. Una baldracca. Ero una baldracca. Me lo sono tolto dalla bocca. Li ho tirati fuori tutti. Scartavo panettoni per divorare lo schifo che provavo per me stessa. Stavo a quattro zampe. Sul tappeto. Li prendevo a morsi. Li mangiavo mentre me lo sbatteva dentro in modo ginnico. Sbatteva la baldracca. Souvenir veniva a rubare i pezzetti con le mandorle. Stava tranquilla a mordicchiarmeli davanti. Lui grugniva dando colpi. Sono venuta per due volte masticando. C'era l'erba. I pecorai con delle mandrie. Gli steccati per le bestie. Delle verghe per farle stare da una parte. Quando se ne è andato sono saltata a piedi pari su quei dolci. Li ho distrutti tutti. Quasi avessi otto anni e fosse l'ultimo dell'anno. Era successo questo a quell'età. In quel giorno. In casa un'eccitazione incontrollabile. I miei genitori si preparavano alla festa. Al gran veglione. Festa al castello. Gli abiti comprati al magazzino delle firme. Mio padre con l'abito bello. Lei col vestito con lo strascico. Da cerimonia. Trasparenze. Acconciatura. Il maquillage molto importante. Tutto il trambusto. Preparativi. Delle corsette. Io ero invisibile. Non mi vedevano. Stavo in poltrona con l'orsacchiotto. Dentro il pigiama. Minestra fredda. Speravo dicessero vieni anche tu. Metti le scarpe. Alla bebé. Vernice lucida. E poi le coccole. Come mancavano. Come correvano. Nervosi. Emozionati. Luce negli occhi. Degli orecchini. Mi hanno chiesto siamo abbastanza affascinanti? Faremo tardi. Chiudiamo a chiave. Non aprire se qualcuno suona o bussa. Mia madre ha appoggiato due panettoni sopra il tavolo. Ha detto scegline uno per il brindisi. Questo è speciale con delle mandorle. L'altro è normale. Vedi tu quale preferisci. Sono usciti infilandosi il cappotto. Un bacio a testa. Via veloci come Cenerentola. Sono rimasta dentro. Chiusa a chiave. M'ha assalito il panico. Ho bussato ai vicini sperando mi sentissero. Venissero a prendermi per portarmi con loro nel salotto. Avevano il volume della radio altissimo. Resi sordi dalla musica. Avevo paura. Avevo paura che i miei genitori non tornassero. Sarebbero venuti i vigili del fuoco a liberarmi. Li vedevo arrampicarsi. Scendere dagli elicotteri. Mi trasformavo in un incendio. Ero da spegnere. Non mi sentivo una bambina quella sera ma un fuoco da domare con gli idranti. Ero sola. Coi vicini dall'udito devastato dai programmi radiofonici. Quel grande senso d'impotenza. All'improvviso ho guardato i panettoni. C'era tutto lì dentro. Solitudine. Famiglia. Nespole. Lampada abbronzante. Incubi. Tristezza. Li ho tirati fuori dalle scatole. Messi a terra. Tremavo dalla voglia. Dalla rabbia. Mi sono infilata gli stivaletti che usavo con la pioggia. Ho preso la rincorsa.
Gli saltavo sopra. Li violentavo con i tacchi. Con le punte. Li colpivo con stizza. Così per un'oretta. Fino a quando sono caduta a terra. Esausta. Dopo il sesso con quell'avversario ho rifatto il rito esorcizzante. Li prendevo a calci. Senza stivaletti. Con la stessa foga che avevo usato quella volta. Li massacravo con destrezza. A uno a uno. Senza pietà. Senza fermarmi. Qualcuno l'ho buttato dal terrazzo. Dalla finestra della camera da letto. Sulle macchine. Li vedevo precipitare e poi schiantarsi. Non provavo nulla. Provavo tutto. Un'intera gamma di sentimenti contrastanti. Nani e giganti. Anoressia e obesi. Formiche ed elefanti. Giapponesi e africani. Fuoco e acqua.

(Revolver; Isabella Santacroce)

Nothing87 28-11-2015 15:20

Re: Arte fobica
 
Rudolf Schwarzkogler (1940-1969) body artista fotografo e performer per violenza e trasgressione ascrivibile all'Azionismo viennese. Mi piace molto come artista sia per le tematiche sia per l'approccio esasperatamente romantico.
Foto: http://www.google.it/search?q=Rudolf...&start=20&sa=N
Una raro video di una sua azione:
Una spiegazione esaustiva:
http://www.lattuadastudio.it/Lattuad...arzkogler3.htm

Josef K. 28-11-2015 15:38

Re: Arte fobica
 
Quote:

Originariamente inviata da Nothing87 (Messaggio 1639920)
Stagnare crogiolandosi nelle proprie o comuni sfortune serve a produrre arte ma non a star davvero meglio. Si sta bene, ci si sente vivi quando si esprime il proprio Io. Con opere simili invece si esprime solo il disagio. Non ne sono però tanto sicuro. Ciò che rifiuto con fermezza è la statica rassegnazione esistenzialista basata sul ragionamento per assoluto anziché su quello più a misura umana per relativo.

Temo che questo discorso potremmo estenderlo a tantissimi artisti, dal momento che la poetica del dolore e del disagio è una delle più diffuse e totalizzanti nel regno dell'arte, al pari di quella dell'amore e dell'odio. Anche io preferisco quelle opere ed autori che non si limitino a scolpire una sola faccia della medaglia, ma sappiano far trascorrere le rappresentazioni dell'una in quelle dell'altra, ma ho notato che i veri maestri di un aspetto dell'animo umano raramente sono altrettanto efficaci quando ne inquadrano un altro.

Nothing87 28-11-2015 15:54

Re: Arte fobica
 
Josef K., volevo dire che preferisco le opere omogenee ma intrise di vitalità o di qualche dinamismo, anche se solo apparenti e superficiali. Schwarzkogler, per esempio, ne dimostra molto di più rispetto a Giacometti.

Josef K. 28-11-2015 15:58

Re: Arte fobica
 
Era il 27 agosto 1926, alle quattro del pomeriggio, i negozi erano affollati, nei magazzini le donne facevano ressa, nelle case di moda le mannequins giravano su se stesse, nelle pasticcerie chiacchieravano gli sfaccendati, nelle fabbriche sibilavano gli ingranaggi, lungo le rive della Senna si spidocchiavano i mendicanti, nel Bois de Boulogne le coppie d'innamorati si baciavano, nei giardini i bambini andavano in giostra. A quell'ora il mio amico Franz Tunda, trentadue anni, sano e vivace, un uomo giovane, forte, dai molti talenti, era nella piazza davanti alla Madeleine, nel cuore della capitale del mondo, e non sapeva cosa dovesse fare. Non aveva nessuna professione, nessun amore, nessun desiderio, nessuna speranza, nessuna ambizione e nemmeno egoismo. Superfluo come lui non c'era nessuno al mondo.

Joseph Roth- Fuga senza fine

Josef K. 28-11-2015 16:01

Re: Arte fobica
 
Quote:

Originariamente inviata da Nothing87 (Messaggio 1640014)
Josef K., volevo dire che preferisco le opere omogenee ma intrise di vitalità o di qualche dinamismo, anche se solo apparenti e superficiali. Schwarzkogler, per esempio, ne dimostra molto di più rispetto a Giacometti.

Ah, ok, avevo inteso "staticità" da un punto di vista esclusivamente morale. :)

Nothing87 28-11-2015 16:04

Re: Arte fobica
 
Quote:

Originariamente inviata da Josef K. (Messaggio 1640016)
Franz Tunda, trentadue anni, sano e vivace, un uomo giovane, forte, dai molti talenti, era nella piazza davanti alla Madeleine, nel cuore della capitale del mondo, e non sapeva cosa dovesse fare. Non aveva nessuna professione, nessun amore, nessun desiderio, nessuna speranza, nessuna ambizione e nemmeno egoismo.
Joseph Roth- Fuga senza fine

Mi ricorda il protagonista di Orizzonte perduto di J. Hilton che alla fine va a fare il monaco in uno sperduto eremo tibetano.

Nothing87 28-11-2015 23:21

Re: Arte fobica
 
La prima volta che ho visto Guido Laremi eravamo tutti e due così magri e perplessi, così provvisori nelle nostre vite da stare a guardare come spettatori mentre quello che ci succedeva entrava a far parte del passato, schiacciato senza la minima prospettiva. Il ricordo che ho del nostro primo incontro è in realtà una ricostruzione, fatta di dettagli cancellati e aggiunti e modificati per liberare un solo episodio dal tessuto di episodi insignificanti a cui apparteneva allora. In questo ricordo ricostruito io sono in piedi dall'altra parte della strada, a guardare il brulichio di ragazzi e ragazze che sciamano fuori da un vecchio edificio grigio, appena arginati da una transenna di metallo che corre per una decina di metri lungo il marciapiede. Ho le mani in tasca e il bavero del cappotto alzato, e cerco disperatamente di assumere un atteggiamento di non appartenenza alla scena, anche se sono uscito dallo stesso portone e ho fatto lo stesso percorso faticoso solo un quarto d'ora prima. Ma ho quattordici anni e odio i vestiti che ho addosso, odio il mio aspetto in generale, e l'idea di essere qui in questo momento. La folla di persone giovani viene avanti come un torrente intralciato da tronchi e massi affioranti, appena finita la transenna si riversa nella strada e la invade fino al mio marciapiede. E quasi ogni faccia è troppo pallida o tonda o lunga, quasi ogni corpo troppo angoloso o smussato, quasi ogni andatura priva di equilibrio, come se le cartelle che tutti portano in mano e a tracolla fossero troppo leggere o pesanti. C'è questo fondo di indifferenza attiva in quasi ogni sguardo, in quasi ogni gesto che unisce al generale dispendio di energia meccanica. Non mi sembra affatto di essere meglio degli altri: è l'idea di vedere i miei difetti moltiplicati per centinaia di volte che accentua la mia insofferenza e la riflette tutto intorno. Osservo la massa confusa di teste e busti in movimento, sperando di riconoscere i capelli di una ragazza che ho visto qualche giorno prima, e invece mi colpisce lo sguardo di uno che cerca di farsi largo con un'espressione di estraneità concentrata. E' uno sguardo da ospite non invitato, da passeggero clandestino: uno sguardo che prende distanza dai suoi stessi lineamenti, dal suo stesso modo di girare la testa a destra e a sinistra. Poi nel ricordo ricostruito c'è un vuoto, dove Guido Laremi con il suo sguardo estraneo viene riassorbito dallo sfondo.
(Due di due; Andrea De Carlo)

Nothing87 28-11-2015 23:27

Re: Arte fobica
 
Nel '78 Guido ha lasciato la sua donna e casa del momento e se n'è andato in pullman a Melbourne. Questa seconda città doveva corrispondere ancora meno di Sydney all'immagine avventurosa ed esotica che l'aveva attirato in Australia: nelle lettere diceva che gli sembrava un unico sobborgo coloniale, vuoto e addormentato.
Io e Martina e Chiara e Werner abbiamo cominciato a dubitare che avrebbe mai trovato lì quello che cercava; seguivamo i suoi spostamenti immaginandoci già le sue nuove delusioni. Anche a Melbourne ha fatto lavori occasionali per vivere, cambiato una serie di sistemazioni provvisorie. Un fondo di stanchezza cominciava ad affiorare nei suoi racconti, li tingeva a volte di una luce amara e dubbiosa.
Poi una sera in un bar musicale ha conosciuto una ragazza che si chiamava Laurie, e le sue lettere hanno cambiato tono. Lei aveva ventitré anni e voleva fare la cantante rock, viveva in un ex albergo di terza categoria che aveva comprato nell'unica strada rumorosa della città. Era ricca e infantile e strana, figlia unica di uno speculatore edilizio e di una bellissima donna morta in un incidente aereo. Sono andati a letto insieme la notte che si sono incontrati, molto ubriachi e fumati di marijuana tutti e due; poi non si sono visti né sentiti per diversi giorni, ma Guido pensava a lei così spesso che ha dovuto tornare a cercarla. Laurie non sembrava più minimamente interessata a lui, e questo naturalmente ha aumentato di molto la sua forza di attrazione. Guido era affascinato dai suoi modi distratti di ragazzina viziata, l'infelicità sottile che traspariva nei suoi atteggiamenti e la faceva sfuggire a qualunque legame impegnativo; si è lasciato prendere da lei come non gli era credo mai capitato.
Laurie l'ha invitato a stare nella sua casa-albergo, ma quando lui ci è andato ha cominciato a trattarlo sullo stesso piano della dozzina di musicisti rock e pseudoartisti che teneva presso di sé come una piccola corte. Ogni tanto gli chiedeva di dormire con lei; più spesso gli faceva trovare chiusa la porta della sua stanza all'ultimo piano, dove le pareti e i mobili erano dipinti di rosa elettrico e c'erano bambole e orsetti di fianco a fotografie in grandezza naturale di David Bowie. Guido era esasperato e incantato dal suo modo di fare[…]
Laurie non voleva che Guido la ascoltasse cantare, non era chiaro se per timidezza o paura di non essere brava. Passava notti intere chiusa con il suo gruppo, ma la musica che filtrava sotto sembrava punk inglese riciclato, la sua voce acuta e incerta. Lei e i suoi amici non ne volevano sapere della loro identità nazionale; seguivano modelli importati, come probabilmente i loro genitori prima di loro. Si atteggiavano a bohémien complicati, nella loro città-sobborgo dove tutto era chiuso e spento alle sette di ogni sera: giovani australiani ricchi che facevano finta di essere giovani inglesi poveri. Neanche questi aspetti irritanti e patetici riducevano il fascino di Laurie agli occhi di Guido, o gli consentivano di esercitare su di lei la sua crudeltà di giudizio. Martina e Chiara isolavano per me e Werner gli aggettivi che usava nel descriverla, densi com'erano di un'ammirazione quasi scientifica, che lo spingeva ad analizzare nel modo più minuzioso ogni aspetto del suo comportamento.
Il padre di Laurie aveva per lei una gelosia estrema, esasperata dal fatto che l'eredità della madre morta l'aveva messa in una condizione di totale autonomia. La assediava di telefonate nelle ore più strane, cercava di scoprire particolari della sua vita sentimentale, le faceva visite a sorpresa anche nel mezzo della notte. Una volta Guido li ha visti insieme: lui vigoroso e aggressivo e quasi asiatico di lineamenti, lei biondina e magra e pallida per la vita in interni che faceva. Gli sembrava che quasi tutte le scelte di Laurie avessero lo scopo di suscitare in suo padre qualche reazione: la musica rock, i suoi amici, il disordine e la sporcizia, il suo modo irregolare di mangiare. Con Guido si comportava in modo discontinuo: gli si aggrappava nei momenti di panico e giurava di avere bisogno di lui; quando si sentiva sicura lo trattava con astio che forse avrebbe voluto indirizzare contro suo padre. Le pillole e polverine di cui faceva uso accentuavano l'imprevedibilità dei suoi stati d'animo, rendevano molto difficile comunicare con lei. Alla fine Guido ha deciso che doveva strapparsi via dalla situazione e andarsene più lontano che poteva […]
Laurie non usciva quasi mai alla luce del sole, forse per distinguersi anche in questo dai suoi connazionali sempre abbronzati. Guido doveva faticare prima di smuoverla: una volta sono andati insieme a Phillip Island a vedere il ritorno dei pinguini dal mare, un'altra sulle colline di Geelong dove uno scultore folle aveva disposto tra le felci arboree statue di aborigeni e animali locali. Laurie era imbarazzata dalle manifestazioni di folclore australiano che incuriosivano Guido, e non aveva alcun interesse per la natura, l'aria aperta, le foreste di eucalipti. Le loro rare uscite degeneravano in nuove liti con schiaffi e morsi e storcimenti di mani, avvinghiamenti furiosi sui sedili della macchina […]
Guido ci riferiva con finta indignazione di questi capricci infantili: in realtà ne era intrigato, non faceva niente di serio per contrastarli. […]

Gli ho chiesto come andava con Laurie; lui ha detto «Ci facciamo del male in ogni modo possibile, e appena uno dei due accenna ad andarsene l'altro gli corre dietro come un povero masochista, non c'è verso che la cosa si risolva».

(Due di due; Andrea De Carlo)

Nothing87 29-11-2015 22:19

Re: Arte fobica
 
My bed; Tracey Emin; 1998.

http://huckcdn.lwlies.com/admin/wp-c...ok-958x559.jpg

Letto (convertito in object trouvè) della Emin, appartenente al gruppo YBAs (Young British Artists), prodotto durante un periodo emotivamente difficile.
Da notare che le coperte sono chiazzate da un non precisato liquido e sul pavimento, tra gli oggetti ben visibili in questa foto, ci sono anche dei preservativi usati e delle mutandine macchiate di sangue.
Un caos raffinato; è una sineddoche dall'estetica decadente di una donna single di oggi in preda a una crisi depressiva.

Josef K. 29-11-2015 22:54

Re: Arte fobica
 
Sulla barella avvolta in coperte tipo militare e assicurata con tre cinghie, una massa oblunga e incomprensibile: ciò che rimane di un essere umano passato sulla terra senza scopo, che nessuno conosce veramente, che nessuno rimpiange, che probabilmente nessuno ha mai amato, nessuno ha odiato, neppure l'assassino.

Giuseppe Zaffaroni decapitato nell'armadio- Dino Buzzati

Josef K. 29-11-2015 23:30

Re: Arte fobica
 
http://www.larici.it/culturadellest/...hov_monaco.pdf

Questo è il link a Il monaco nero di Anton Cechov, racconto di media lunghezza di uno dei grandi della letteratura russa dell''800, nonché uno dei miei autori preferiti. La rappresentazione perfetta, spietata, scientifica del cammino di disperazioni e lusinghe di un uomo che non ha alternative al vivere per il proprio talento, e della scelta di campo che tutti siamo chiamati a fare quando le circostanze contrappongano il Sè a tutto il resto. Terribile e bellissimo.

Nothing87 30-11-2015 10:57

Re: Arte fobica
 

Nothing87 30-11-2015 15:53

Re: Arte fobica
 
Discussion; Sanja Lasic; 2009

http://www.arthub.it/index.php?action=video&video=143

Ecco la frammentazione della personalità rappresentata efficacemente con la videoarte. La causa potrebbe essere l'ansia per il dover prendere una decisione difficile oppure, più gravemente, qualche disturbo della personalità.
L'ambiente astratto, quasi spersonalizzato, presenta solo una serie incompleta di fotografie di luoghi non ben identificabili. Potrebbe essere lo stereotipo della mente della donna dilaniata da due pulsioni contrastanti, le sue due alter ego. È incapace di trovare il tassello mancante del puzzle che corrisponde al passo successivo della sua vita oppure a un suo ricordo rimosso.


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