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EdgarAllanPoe 21-09-2011 09:49

Anoressia e vanagloria. La (santa) anoressia.
 
Alcune riflessioni sulla anoressia (in attesa della pensione).

La (santa) anoressia: peccato di vanagloria Il bel libro di Rudolph M. Bell, La Santa anoressia, Bari, 1987, inizia con una secca definizione: "Anoressia, dal greco an , ( privazione, mancanza) e orexis (appetito) è un termine generico usato per indicare una diminuzione dell'appetito o avversione al cibo".

La definizione che qui si dà si anoressia è questa: negazione che la causa del desiderio venga da fuori (intendendo il primo pensamento che esiste un "fuori", il cibo stesso).

Il libro di Bell è interessante in quanto invita il lettore a seguire il parallelismo tra la vita di S. Caterina da Siena che martirizzò se stessa, e il caso clinico di Breuer Signorina Anna O. e il caso trattato dallo stesso Freud Emmy von N, Quarantenne della Livonia.

Primo trait d'union: l'astinenza sessuale. Secondo trait d'union: l'iperattività. Terzo trait d'union: la negazione pulsionale.

La logica a cui si perviene, meglio, che mette in atto la malattia, è fin troppo semplice: la soppressione delle sensazioni fondamentali - fatica, pulsione sessuale, fame, dolore - permette al corpo di compiere imprese eroiche.

Grandi temi della anoressia: identità, autonomia, perfezione. Il grande dubbio con cui morì S. Caterina da Siena aveva un nome ben preciso: vanagloria.

E' dunque la vanagloria il peccato (e il desiderio) della anoressica? Il desiderio della anoressica (oltre l'autonomia, la vendetta, la indipendenza) sarà il proprio desiderio "causa sui"? Cioè il desiderio che non proviene dal "di fuori" ma è già insito nel pensiero di sè?

Quando Freud parla della Signora Emmy von N. usa l'espressione (sta parlando di una isterica) "meccanismo di ritenzione di grandi somme di eccitamento". Il motivo di tale ritenzione è da ascriversi al fatto che l'eccitamento (ex-citare) ha a che fare con una causa esterna e non è riferibile alla "causa sui" del desiderio della anoressica.

L'eccitamento è un sentirsi vocato , chiamato da altro. Và da sè che ci sia ritenzione in quanto il riconoscimento (pubblicizzazione) dell'eccitamento contraddirebbe la teoria patologica che sorregge l'anoressia: il desiderio è interno. Ancora due parole sull'eccitamento. L'eccitamento è un ex-citare, dunque una chiamata, una vocazione. Che la vocazione provenga dall'esterno non vi sono dubbi, e che provenga dall'altro nemmeno. E' proprio quello che la anoressica nega, nega il fuori e l'oggetto altro verso cui è chiamata. Purtuttavia non è possibile negare l'eccitamento come pulsione. Non è possibile negare la consistenza e la natura della pulsione. Ecco che la anoressica (qui sta il peccato) pone il suo stesso corpo pulsionale come oggetto della eccitazione, nella accezione perversa del contenimento della eccitazione al proprio interno.

Per questo il corpo delle anoressiche è un corpo martoriato, controllato, sfiduciato, esaltato in realtà nella sua capacità di negare la pulsione: deve essere il corpo stesso, non il pensiero, a negare la pulsione.

In fin dei conti il confine estremo del misticismo del corpo è la sua negazione, non la negazione operata dal pensiero (che potrebbe sfociare al massimo in un ipercontrollo) bensì la negazione operata dal corpo sul corpo stesso. Come se la anoressica dicesse:" Non sono io, è il mio corpo!" Da non perdere di vista il fatto che tutto ciò, il peccato, il peccato di vanagloria, trae origine dal cibo. La anoressia è prima di tutto un rifiuto del cibo. Cibo inteso come primo eccitamento (chiamata) dal di fuori. Eccitamento indispensabile per la sopravvivenza. Dunque un eccitamento al quale "si deve per forza" rispondere, pena la morte.

Ed è questo uno dei grandi temi della anoressia: contraddire il dovere necessario che viene dal di fuori e al tempo stesso dichiarare la propria autonomia e indipendenza dalla necessità. Potremmo anche parlare di contraddire le leggi della natura. Dall'altra parte, all'opposto di questa logica che già intuiamo perversa, può stare quella frase che quasi tutte le bambine (e anche bambini) hanno prima o poi rivolto all'altro, alla madre, o, forse, al padre: "Aiutami a mangiare". Disposizione al cibo e disposizione all'altro. Intervento (nascita) del riconoscimento che l'eccitazione viene dal di fuori e solo nell'altro trova conclusione (soddisfazione) il moto pulsionale.

Come se il cavallo di battaglia della anoressica fosse la frase (visto che la malattia è sempre di relazione): "Se la tua vita dipendesse dal mangiare assieme a me tu... potresti, per me, morire di fame".



Il proprio corpo diventa l'altare su cui sacrificare l'altro. E' l'uccisione dell'altro che interessa l'anoressica, delitto perpetrato nella assolutezza di un "noli me tangere" che già Freud vedeva di origine sessuale.

Il corpo è mitizzato in quanto è assorto a "ente comunicante" la sua stessa assoluta indisponibilità. E' attraverso il corpo che la anoressica comunica la sua assoluta autosufficienza (dal desiderio dell'altro). Nella realtà questo corpo è un corpo in via di dissoluzione; il corpo l'anoressica lo perde per davvero, ma altra strada non esiste per comunicare che dal corpo non c'è dipendenza. E' negata la dipendenza dal corpo pulsionale, ed è negata in quanto... "vedete? lo stesso mio corpo non c'è!"

Se alcune anoressiche sono diventate sante lo sono diventate come mito dell'inaccessibile.

S. Chiara, S. Caterina, S. Orsola e decine d'altre si sono schierate contro il mondo professando la fede del corpo inaccessibile ad altri. Corpo inaccessibile in quanto nessun essere normale e normato lo tratterebbe a quel modo; inaccessibile in quanto disprezzo dell'altro che il suo corpo lo tratta con amore.



L'anoressica fa del proprio corpo il proprio linguaggio, sacrifica dialettica e articolazione della comunicazione della voce, non le serve. Presenta il corpo come cosa (das Ding) con la quale l'altro non può avere comunicazione. Non esiste mediazione ma solo impatto. E come si diceva prima questo corpo, non il pensiero, ma il corpo stesso, nega il desiderio. Il corpo si pone, nella anoressia, come ostensorio di una reliquia, il corpo stesso è reliquia, restante della soppressione della pulsione. E con essa soppressione della legge, quella di sottostare alla legge di necessità.

Vanagloria allora per l'anoressica. Purtroppo, in alcune occasioni storiche, gloria e basta.

Guido Savio

Myway 21-09-2011 10:18

Re: Anoressia e vanagloria. La (santa) anoressia.
 
Non è che i Santi o le Sante fossero anoressici...non avevano bisogno di mangiare quasi niente..è diverso, ma l'energia che avevano se la sognano molte persone in piena salute.


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