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Tutti sono complessati
E' da anni che lo penso, è da tanto che lo scrivo, ma stamattina ho avuto la conferma che mi serviva. Forse il cerchio si è chiuso.
Ho capito che bisogna leggere e sapere. Quote:
http://www.legaintroversi.it/2008/01/29/introversione-e-interazione-sociale/ Che ne pensate del pezzo quotato? Io credo che abbiamo tutti bisogno di queste notizie per capire gli altri. E' difficile da soli ridimensionare gli estroversi nella maniera giusta. Non vogliamo (soggetto: introversi e estroversi) essere trattati in maniera impersonale; ci avete mai pensato? |
Re: Tutti sono complessati
Quoto dal documento linkato:
Certo, entrambi le possibili soluzioni del problema interattivo urtano contro la stessa obiezione. Perché mai l’introverso dovrebbe sforzarsi lui solo per rendere il mondo sociale più tollerabile o, addirittura per migliorarlo, laddove gli altri possono tranquillamente continuare a vivere così come gli viene? La risposta è univoca: semplicemente perché gli conviene e gli consente di vivere un po’ meglio nel mondo così com’è. Credo sia riduttivo nei confronti degli altri citati nel brano. Credo che molti non estroversi non vivano come gli viene ma che spesso, proprio in ragione di una certa obiettività delle regole sociali di interazione, debbano anche loro infliggersi una loro dose di repressione. |
Re: Tutti sono complessati
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Re: Tutti sono complessati
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Re: Tutti sono complessati
Interessantissimo documento WLM !
Riporto per intero la parte finale : "....l’interazione sociale è un aspetto continuo dell’esperienza soggettiva, e l’avvertire, più o meno consapevolmente, da parte degli introversi, un’antipatia di fondo che sottende gran parte dei rapporti quotidiani contribuisce ad incrementare l’immagine interna negativa che hanno di se stessi e/o ad alimentare un’avversione nei confronti del mondo per la sua superficialità e la sua “irrazionalità”. Ciò non significa che l’introverso debba fare violenza a se stesso e accettare supinamente le regole interattive vigenti nella nostra società. Si danno però a riguardo due possibili modi di rapportarsi al sociale che limitano o scongiurano quelle conseguenze. Il primo, più ovvio ma anche più immediatamente realizzabile, è prendere atto che esistono, nel nostro contesto sociale, regole interattive implicite che possono essere violate. In tal caso, però, le reazioni degli altri, in quanto comprensibili, vanno accettate e tollerate, mettendo da parte il riferimento al fatto che esse siano o meno giuste in assoluto. Si può prendere atto, insomma, che la correttezza formale induce negli altri un’ambivalenza. Essa viene riconosciuta come un valore (in riferimento alla compitezza), ma, nello stesso tempo, genera una reazione avversativa di antipatia. Il secondo modo è più complesso e richiede un livello elevato di integrazione della personalità. Esso si fonda sul fatto che l’altro con cui si realizza un’interazione ricorrente o quotidiana, per quanto possano darsi differenze sul piano dell’affinità tali per cui stabilire un’autentica familiarità è impossibile o semplicemente non desiderato, è pur sempre, al di là del suo ruolo, una persona bisognosa di essere riconosciuta come tale. Questo modo si riconduce alla pietas, vale a dire alla considerazione che gli esseri umani, al di là delle distorsioni che subiscono in rapporto ai condizionamenti culturali, hanno delle intrinseche “debolezze” di cui non si può non tenere conto. Essi, infatti, hanno bisogno di sentirsi confermati nella loro identità personale per sfuggire all’angoscia della loro insignificanza ontologica. Nulla più dell’essere costantemente investiti da un comportamento corretto ma impersonale promuove, nel corso del tempo, una reazione di avversione e rigetto. Certo, entrambi le possibili soluzioni del problema interattivo urtano contro la stessa obiezione. Perché mai l’introverso dovrebbe sforzarsi lui solo per rendere il mondo sociale più tollerabile o, addirittura per migliorarlo, laddove gli altri possono tranquillamente continuare a vivere così come gli viene? La risposta è univoca: semplicemente perché gli conviene e gli consente di vivere un po’ meglio nel mondo così com’è.[/B] " Sono d'accordo |
Re: Tutti sono complessati
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sono d'accordo sul fatto che la seconda modalità di comportamento (quella che ho quotato) è sicuramente l'unica praticabile, per chi come il protagonista della vicenda è costretto a vivere tutti i giorni in un luogo di socializzazione forzata quale è ad esempio il luogo di lavoro. E' il comportamento migliore nel suo interesse, come dice l'articolo. Oltre alle difficoltà di metterlo in pratica messe in luce dall'articolo, io però ho riscontrato che non sempre dà buoni risultati, perchè spesso la gente si accorge che fingiamo, che fingiamo di interessarci a loro ma che in realtà non ce ne frega niente. In realtà non sono sicuro che fingiamo e non ce ne importa niente di loro, fatto sta che è questa che l'impressione che diamo, ed è questo purtroppo ciò che conta. Quindi alcune persone oltre a prenderci per riservati e tutte le altre cose messe in luce dall'articolo, ci prendono pure per falsi. Comunque mi piace come filosofia: interessati agli altri, e gli altri si interesseranno a te :thumbup: cercherò di metterlo in pratica. |
Re: Tutti sono complessati
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Re: Tutti sono complessati
........:cursing:......
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Re: Tutti sono complessati
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Riguardo la loro sensazione di artificiosità, io non credo che un comportamento non impersonale possa essere considerato falso, perché se faccio un passo, goffo o disinvolto, verso di te, sarà sempre un passo verso di te, e tu in teoria dovresti apprezzarlo. Probabilmente tu intendi dire che il nostro interlocutore potrebbe leggere doppi fini, ma questo dovrebbe essere scongiurato se ci si sintonizza sulle stesse tempistiche e si modula la confidenza nella giusta quantità. Per esempio, il fare avance non c'entra con questo discorso, perché è un avvicinamento straordinario; infatti qui si sta parlando della confidenza minima, al di sotto della quale, l'interlocutore prova fastidio. |
Re: Tutti sono complessati
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Finalmente qualcuno autorevole riesce a scrivere qualcosa di veramente equilibrato, dicendo che il sentimento dei nostri interlocutori (che ripeto, non c'è scritto che debbano essere per forza estroversi) di fronte al nostro comportamento impersonale è ingiusto. Uno che ci dice "quello che subisci non è giusto", senza darmi del senza palle, non s'incontra tutti i giorni. |
Re: Tutti sono complessati
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