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la conoscenza che allontana
Da tempo immemorabile ho sviluppato una spiccata capacità introspettiva - acuita e perfezionata progressivamente - e allo stesso tempo riesco a cogliere le dinamiche naturali che caratterizzano il comportamento dell'uomo, e ancora più in generale mi ritrovo ad avere una prensione globale - anche se non dettagliata - della realtà.
L'uomo è un animale dotato di un sistema nervoso particolarmente sviluppato, non ha nulla di speciale, è un libro aperto scritto con caratteri comprensibi, per chi indossa un certo tipo di occhiali. I suoi bisogni, i suoi desideri possono essere facilmente analizzati, si può risalire alla loro origine, e una volta raggiunta tutta la *meraviglia* è destinata a spegnersi. Anche l'amore, che viene unanimemente ammantato di scintillanti corollari e sentimentalismi, non ha proprio alcunché di speciale. E neppure le credenze più o meno articolate... Se si passa dalla constatazione dell'esistenza di X e poi si risale fino all'origine di X, X verrà relativizzato, in un certo senso sminuito, verrà accluso tra gli oggetti di cui si ha consapevolezza e da cui sono stati sfilati gli "abiti" che nella fase di pre-consapevolezza li vestivano. La nostra fobia sociale e la ricerca di reinserimento in micro e/o macrogruppi rispondono a certe logiche inscritte nella nostra natura animale, non c'è niente di *elevato* e *speciale* in tutto ciò. Si discute di libero arbitrio quando le nostre scelte "più proprie" - apparentemente frutto di autodeterminazione razionale - rispondono in nuce e esigenze istintuali, naturali, in un certo senso meccaniche, ma che razionalmente - e intendo una razionalità priva di consapevolezza - non cogliamo nella loro effettiva estensione e genesi, mentre qualora si cominciasse a indirizzare la nostra ragione in direzione della conoscenza e della consapevolezza potremmo effettivamente incamminarci verso un'ermeneutica lucida e critica di ciò che siamo, e più in generale di ciò che è. Però questa *conoscenza consapevole* finisce con l'allontanarmi psicologicamente dalla realtà, ma non ontologicamente. In altri termini io continuo a far parte di una realtà che sono portato a osservare sotto un vetrino. Sono parte della realtà che indago e mi propongo di conoscere. Per farvi un esempio pensate all'etologo che studia il comportamento di un animale... Io mi sento così... però nei confronti di tutto ciò che mi circonda. Questo è un atteggiamento che allo stesso tempo mi allontana da ciò che indago, lo sento estraneo. Qualsiasi cosa, una volta raggiunta dai tentacoli della consapevolezza, si fa più vicina e allo stesso tempo più lontana. Io ti conosco, siamo parte della stessa realtà, ma ti sento estraneo. Così come conosco me stesso e in un certo senso sono portato alle volte a estraniarmi pure da me stesso. C'è una conoscenza che allontana. |
ank'io a volte mi sento così
anche se ora mi sento più calato nel personaggio, più a contatto col mondo... comunque fare tali pensieri non è cosa da stupidi... l'importante è stabilire con contatto col mondo ti faccio tanti auguri |
Ogni acquisizione di conoscenza presupone due soggetti: colui che osserva e l'oggetto dell'osservazione stessa.
Nel momento in cui io cerco di conoscere qualcosa devo per forza separarmi da essa. L'essere immersi nella realtà che si vuole conoscere influenzerebbe negativametnte il processo stesso, rendendolo non obiettivo e perciò imperfetto. Il voler analizzare una realtà che suscita timore e paura, dalla quale ci si sente rifiutati porta con sè un altro rischio. Quello di evidenziare in maniera involontaria proprio quegli elementi che spaventano, sentendosi irrimediabilmente diversi e incompatibili con questa realtà. Infine l'aver acquisito maggiori conoscenze appaga un certo sentimento di superiorità ed egocentrismo, in contrasto con una realtà che invece pare non dare importanza alla conoscenza. Che fare dunque? Ricercare continuamente nuova conoscenza separandosi sempre più dalla società oppure rinunciarvi per entrare a far parte del "gregge"? Credo che solo riconoscendo la profonda ambiguità dell'essere umano potremmo trovare un punto di equilibrio, seppur instabile. L'uomo è spirito, idee, ma anche corpo ed istinto. Queste dimensioni esistono e coesistono nell'uomo e credo che si debba dare ad entrambe importanza, perchè il tentativo di frustrare una parte del nostro essere non porta ad altro se non alla mortificazione del grande dono dell'uomo, la coscienza di sè. |
Re: la conoscenza che allontana
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Re: la conoscenza che allontana
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io non c'ho capito un cazzo. :lol:
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Re: la conoscenza che allontana
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E' poi è vero che si vedono le cose in maniera diversa a seconda del tipo di occhiali che si usa...ma ci sono tanti di quei modelli! Affermare che l'amore non ha alcunchè di speciale...merita una spiegazione sul punto di vista dal quale vedi la cosa. Io non mi occupo di filosofia, il tuo discorso l'ho capito ma fino ad un certo punto; ma mi sento di affermare la cosa opposta, cioè che l'amore è molto speciale, al di là di qualunque altra questione che ci può stare dietro. |
Re: la conoscenza che allontana
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Io il sasso nel laghetto l'ho gettato, ora fatevi avanti hehe :wink: |
Re: la conoscenza che allontana
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Già i nomi la dicono lunga! |
Re: la conoscenza che allontana
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Per pisendav: il nick non fa il monaco...anzi, il filosofo :D :D :D
Per Lilith: Perché questo fortissimo bisogno di oggettività? Una soggettività critica è più che sufficiente ai nostri scopi :wink: |
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L'amore è la condizione che il nostro sistema evolutivo ha creato per permetterci di realizzare quello che è il fine - più o meno consapevole - della vita: la perpetuazione della specie. La nostra elevata razionalità paradossalmente innesca il bisogno di irrazionalità, che si dispiega in varie forme, tra le quali quella di dare un certo tipo di interpretazione all'amore, un'interpretazione alla quale non sono in grado di dare un'etichetta. L'innamoramento, l'instaurazione di una relazione sono mezzi che volgono verso un fine, ma noi non abbiamo consapevolezza di questo. Se ce l'avessimo l'amore perderebbe tutta la meraviglia, che svanirebbe o verrebbe riconvertita in meraviglia per questo meccanismo complesso, che è ambivalente: ha una dimensione effettiva e una apparente, ma i più conoscono o vogliono conoscere solo quella apparente. Spero sia chiaro. Qua non c'è nessuno che vuole fare lo SBORONE (sic!), il borioso (doppio sic!) o il presuntuoso (triplo sic!), c'è gente che vuole mettere alla prova il proprio raziocinio, che lo vuole indirizzare verso la comprensione di ciò che siamo e di ciò che ci sta intorno, senza fermarsi alla all'involucro bensì penetrando al suo interno. |
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Ma vorrei andare oltre. L'istinto sessuale, almeno negli animali più complessi è altresì funzionale al mutuo sostentamento della coppia oltre che all'allevamento dei piccoli. Nell'uomo l'istinto e l'attività sessuale può essere usato in diversi modi: oltre alla già ricordata trasmissione del patrimonio genetico, può svolgere le funzioni più disparate, dalla ricerca del piacere, alla riduzione delle sofferenze, alla ricerca di consenso tra gli altri uomini. La tendenza alla formazione di coppie o gruppi più o meno stabili è altresì funzionale al mantenimento della società stessa. Oltre a questo non capisco dove tu voglia arrivare. Se parte delle persone negano che sotteso al desiderio di avere un'altra persona accanto vi sia un'istinto biologico, non credo che sia poi così grave e scandaloso. Ognuno è libero di credere in ciò che più lo consola. Ma vorrei farti una domanda, se posso. Avere coscienza di tutto ciò, ti ha reso più soddisfatto di te? |
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Già il titolo "La conoscenza che allontana", esprime un forte coinvolgimento. Conoscere vuol dire interpretare mediante modelli la realtà. L'esigenza che esprimeva Lilith di oggettività, è condivisibile, il rischio è quello di inquinare la ricerca del vero. Il modello finale è tanto migliore quanto più è coerente con la realtà (meravigliosa perfezione irraggiungibile). Ora il mio parere è che il modello che ti sei creato di interpretazione dell'amore sia un po' carente di alcuni aspetti. Ad esempio quando affermi che "La nostra elevata razionalità paradossalmente innesca il bisogno di irrazionalità", probabilmente non poni attenzione al fatto che l'uomo è corpo e anima, materia e spirito, e l'irrazionalità non è innescata dalla razionalità, ma vive di vita propria.
Posso sicuramente non essere condiviso, ma anche solo le conclusioni a cui sei giunto ("Io per esempio non sento più questo grande bisogno di avere la ragazza..."), indicano che non ti sei avvicinato alla realtà (quella che volevi interpretare) piuttosto ti sei allontanato: anche tu fai parte della realtà e il bisogno di avere una ragazza è normale, soffrire per mancanza d'amore è normale. Mi pare che questa affermazione sia un sottilissimo autoinganno, di quelli che quotidianamente inventiamo per riuscire ad andare avanti evitando così le situazioni che temiamo. |
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Filosofo, quindi per quanto tu cerchi di razionalizzare i sentimenti, a parer mio è solo per trovare un'escàmotage..e nn serve a molto tutto ciò.. perchè se realmente guardi con gli occhi del tuo cuore (e sò ke in fondo lo fai)..e non con gli occhi della razionalità o della filosofia, saprai meglio di me che chunque ha bisogno di essere amato..sarebbe inumano nn ammettere tale cosa..no? Siamo appunto degli animali.dei mammiferi..abbiamo degli istinti, delle sensazioni, dei sentmenti che nemmeno il cervello umano può bloccare, e nn è quindi possibile andare contro la nostra natura, anke se apparentemente si trovano "rimedi" come la filosofia, o la religione, per sanare questi vuoti..ma l'uomo è nato per stare in coppia..poi anke i single incalliti..purkè nn l'ammettano, han sempre bisogno di una compagna/o..è la vita..e per fortuna ke sia così..sennò saremmo stati solo ragione, o solo istinto..l'uomo è la creatura ad immagine e somiglianza di Dio..pur coi suoi limiti ovviamente :D però nn parliamo di credere o meno..sennò poi sollevo un vespasian... ops...un vespaio..ahauahauahaua :P |
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