Graziepapi |
17-03-2006 14:22 |
Articolo di oggi su:"La Stampa"
ECONOMIA
PER NON RISCHIARE POLEMICHE POLITICHE EVITATO IL CONFRONTO TRA I CINQUE ANNI DEL CENTROSINISTRA E IL GOVERNO DELLA CDL
Monito Bankitalia: sale il debito e l'industria ristagna
Dati allarmanti sull'economia: il debito torna a salire dopo dieci anni, la produzione è ferma. Giovani, un posto su quattro è precario
17/3/2006
Stefano Lepri
Per la prima volta da 10 anni il debito pubblico torna a crescere, per la prima volta da 10 anni l’occupazione cala; l’industria è ferma; la ripresa economica che si annuncia è fiacca «rispetto agli stessi grandi Paesi dell’area dell’euro, pure attardati nel confronto internazionale».
In Banca d’Italia ce l’avevano messa tutta per evitare che il loro Bollettino economico semestrale desse spunto a forzature politiche; ma questi e non altri sono i dati. L’analisi che ne discende è cruda. Soprattutto evitare confronti tra i quinquenni, è stata la parola d’ordine: tra il 1996-2000 del centro-sinistra e il 2001-2005 del centro-destra. Il testo del primo Bollettino dell’era Draghi è più breve, più asciutto, di quelli che si pubblicavano sotto Antonio Fazio; il giudizio sulla manovra economica per l’anno in corso è ridotto al minimo, al contrario di quanto volle Fazio nella campagna elettorale per le politiche del 2001.
Impossibile nascondere però che «lo sviluppo economico del Paese nell’ultimo decennio ha rallentato fino ad arrestarsi». Un numero tutto nuovo è quello sul debito pubblico, che la Banca d’Italia ha ricalcolato sui nuovi dati Istat: 106,4% del prodotto lordo, 2,6 punti in più rispetto all’anno precedente, con una inversione di tendenza dopo 10 anni di risanamento. Solo grazie alla tendenza discendente del debito l’Italia era stata ammessa nell’euro. Nel bilancio delle amministrazioni pubbliche il saldo positivo al netto degli interessi sul debito, ridotto ad appena +0,5% del prodotto lordo, annulla i progressi di quasi un quindicennio; riporta alla situazione degli anni prima di Tangentopoli.
Non c’è nemmeno da illudersi che conti dello Stato in deficit rianimino produzione e occupazione, avverte la Banca d’Italia, nel dopo-Fazio tornata in armonia dottrinaria con la Banca centrale europea. Senza risanamento della finanza pubblica non si riuscirà a «trarre l’economia italiana dal ristagno»; anzi «i due obiettivi sono complementari». Da qui in poi saranno «necessari interventi capaci di incidere in maniera permanente sui comportamenti di spesa degli enti pubblici» si legge nel capitolo sulle prospettive, l’unico che Mario Draghi abbia voluto rivedere di persona.
Non c’è da entusiasmarsi per la crescita «di poco superiore all’1%» verso cui l’economia italiana si avvia quest’anno, dopo il «ristagno» del 2005. Gli attuali «segnali di ripresa congiunturale non delineano ancora un superamento del divario di crescita» di cui l’Italia soffre; e nei primi mesi dell’anno la produzione industriale appare ancora stazionaria. Non esistono ricette-miracolo, «occorrono azioni di lunga lena volte a modificare incisivamente la struttura produttiva e l’ambiente regolamentare e di mercato in cui essa opera».
La nostra crisi è soprattutto industriale. Un grafico impressionante disegnato dagli economisti del Servizio studi mostra che nei settori industriali esportatori (quelli che realizzano all’estero più del 40% del fatturato) dal 2000 ad oggi la produzione è diminuita dell’8%, e l’utilizzo degli impianti scende giù verso livelli pericolosi per i posti di lavoro; i settori che non esportano sono stati toccati molto meno, e stanno anzi ritornando al livello del 2000. Il saldo mercantile dei nostri conti con l’estero, per anni in ampio attivo, è ormai quasi a zero. Non è colpa di qualcun altro: né dei nuovi Paesi che emergono, né di altri fattori internazionali. A fermare lo sviluppo italiano «sono stati i nodi strutturali che riducono la capacità del nostro sistema produttivo di trarre beneficio dalle opportunità insite dei nuovi assetti del commercio internazionale e dalle tecnologie innovative affermatesi nel mondo».
Un confronto significativo è con la Germania, che pure ha attraversato lunghi anni di bassa crescita ma dove tra ristrutturazioni delle imprese e sacrifici condivisi dai lavoratori la produttività è salita (nell’industria in senso stretto +4,4% l’anno scorso, contro - 0,7% da noi). Nel cuore della nostra industria, la metalmeccanica, la Banca d’Italia valuta però positivamente il rinnovo del contratto, perché gli aumenti salariali sono «in linea con l’inflazione» e la flessibilità cresce
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