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Alcune cose che ho capito...
In realtà è più un post per me stesso, un tentativo di riassumere questi ultimi mesi, ricchi per me di scoperte e movimenti interni, alla luce della psicoterapia che ho iniziato e delle tante discussioni e confronti avuti con talune delle persone che popolano questo forum. Alcune di queste cose che ho capito sono in fondo banali, altre sono difficili da spiegare, di altre ancora non ho la certezza e le sto ancora elaborando, certe le intuisco solamente.
AUTOSTIMA. La base. Il dilemma che non riuscivo a chiarire. Ho sempre dichiarato di non avere una bassa autostima, di avere una buonissima opinione di me e di avere fiducia nelle mie capacità, la storia del pavone ecc. Eppure finisco sempre con lo scontrarmi col limite della paura di esporre queste capacità e questa mia percezione di me stesso e a non tradurre in azione queste convinzioni che ho dentro. Se mi reputo una bellissima persona, piena di qualità e lati che penso possano piacere agli altri, perché non li tiro fuori? Inizialmente pensavo fosse una questione di paura di non venire accettati, ma questo cozza con l'autostima e anche con le esperienze che ho avuto quando ho provato a lasciarmi andare. Ho capito che la mia non è semplicemente paura del rifiuto, ma paura di venire deluso dalle persone verso cui mi lascio andare. Paura di affidare me stesso, senza difese, ad un'altra persona e di venire tradito e fatto a pezzi. Per ovviare a questo ho sempre inconsciamente creato una maschera che mi nascondesse e fungesse da pupazzo dei crash test per gli altri. Una maschera di rabbia generica, indifferenza, sicurezza e autosufficienza alla quale probabilmente in molti non hanno mai creduto. Se fossi stato deluso dall'altro, in realtà quello che si era esposto non ero io, era la maschera. Questo spiega il fatto che leghi più facilmente con le ragazze che coi ragazzi: il fatto che l'altra persona appartenga ad un mondo intrinsecamente diverso dal mio, fa si che la colpa per un'eventuale insuccesso del rapporto possa essere spostata sulla diversità di fondo e sulla differenza di linguaggio e di pensiero fra uomini e donne. Venire delusi da qualcuno che in teoria dovrebbe essere più simile a te, come qualcuno del tuo stesso sesso, ti investe molto di più sul piano personale. La scommessa è maggiore. Quindi in definitiva, cos'è mai questa autostima che possiedo? E' realmente divisa, sdoppiata, schizofrenica in maniera tale da farmi credere di accettarmi quando in realtà non è così? La risposta sta nell'essenza del rapporto con gli altri... PARTI DI SE'. A lungo ho creduto di conoscere perfettamente me stesso, di poter risolvere tutto con la sola forza della ragione e di poter migliorare me stesso esclusivamente tramite l'autoperfezionamento. Credevo in pratica che gli altri fossero in parte un banco di prova per me stesso e per il resto i rapporti fossero un mutuo scambio di affetto, bene e tutto quello che veniva. Poi ho capito che in realtà gli altri ci fanno conoscere parti di noi che da soli non riusciremmo mai a scoprire e che queste parti sono grandi e per niente marginali. Noi abbiamo bisogno degli altri non solo per ricevere o dare cose, o per colmare dei presunti vuoti affettivi, ma soprattutto per conoscere noi stessi e ciò che siamo veramente. E qui mi si è svelato l'arcano: io amo la parte di me che conosco, che è quella alla quale riesco a giungere solo con la forza della mia mente e con le poche esperienze che ho avuto nella vita. Di tutto il resto non so nulla, potrei arrivare a conoscere parti di me che non mi piacciono, alcuni lati li sto scoprendo ora, pian piano, e devo ancora elaborarli. L'autostima è basata sulla conoscenza di sé stessi e quella che ho io è semplicemente incompleta. Scoprire parti di me difficili da accettare è la sfida successiva... INSICUREZZA. in + sed + cura => non senza preoccupazione (di sé). Ma la cura può essere intesa anche, come avviene in molti dialetti, come una preoccupazione positiva, un'OSSERVAZIONE di sé stessi ("Ti curo" in certe zone d'Italia significa "Ti osservo, ti tengo d'occhio"). In questo senso l'insicurezza è desiderio di conoscersi e paura di scoprire parti di noi anche sgradevoli. Il grande passo è l'accettazione della propria umanità, l'approccio quasi "buddista" di rinuncia, non ai bisogni in generale, ma al bisogno di essere perfetti. Siamo ciò che siamo, parti brutte comprese, rifiutare gli altri significa non voler conoscere queste nostre parti e non accettare il confronto con esse. Non temiamo il giudizio degli altri, il loro pensiero su di noi, abbiamo invece paura che gli altri ci facciano scoprire parti di noi che inficino il giudizio che noi abbiamo di noi stessi. Il focus ritorna sempre sull'accettazione di noi stessi e dei nostri limiti. Questo limitare la conoscenza di me stesso alla parte che la mia ragione è in grado di scandagliare ha fatto si che la valutazione dei miei comportamenti verso gli altri, soprattutto in questo periodo, venisse falsata... COMUNICAZIONE. In questo periodo mi rendo conto che il modo che utilizzo per trasmettere agli altri ciò che ho dentro, i miei sentimenti, i miei pensieri e le mie emozioni, è inefficace. Come se non conoscessi il linguaggio per esprimerle. Mi è capitato più volte di compiere gesti che pensavo esprimessero appieno il calore che volevo trasmettere e che dall'altra parte venissero recepiti invece come freddi, rigidi e non sinceri. Confondo il voltaggio interno che percepisco nell'esprimere l'affetto, dato dalla novità e mancanza di desensibilizzazione per queste cose, con la portata affettiva del gesto in sé. Le persone verso cui compio quei gesti non vivono queste cose col senso e l'eccitazione della novità, come faccio io, e quindi percepiscono solo il gesto in sé, e non l'emozione che io vivo nel trasmetterlo e nel sentire in me il cambiamento. E' difficile trovare persone che si fidino sulla parola dell'affetto che hai dentro, quando ciò che trasmetti è il contrario, ma purtroppo è l'unica possibilità di imparare, di desensibilizzarsi e di acquisire il linguaggio necessario. Imparare l'alfabeto che permette di esprimere il vero sé, che funge come porta non solo per conoscere l'altro, ma per stabilirci veramente un contatto profondo. E' solo provando che si acquisiscono gli strumenti necessari per riuscire... ESPERIENZA. Alla luce di tutto questo l'esperienza assume un significato diverso, non più solo spinta a vivere e a crearsi un bagaglio per sentirsi adatti e normali nel confronto con gli altri, ma unico strumento per conoscere sé stessi a un livello più profondo. E' quasi il contrario: l'esperienza non è più uno strumento per aumentare la propria autostima in proporzione al numero di cose fatte, di amici o di ragazze che si hanno, ma uno strumento per minarla, far risaltare la sua parzialità e metterla sotto processo, renderla più completa, obiettiva e in definitiva vera. Conoscere sé stessi è l'unico modo per vivere davvero. |
hai scoperto l'acqua calda
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P.S toglimi una curiosità, non è che per caso tu scrivi anche nel forum di ipsico col nick "ragazzo strano"? perchè scrivi alla stessa maniera con post molto lunghi e dettagliati.... secondo me siete la stessa persona eheheheheh |
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Mannagggia alla filosofia. Ora mi tocca cambia acqua e rimette a bollì tutto. :wink: |
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Riuscire ad avere un'amicizia profonda (superficiali ne ho anche avute) con una persona del mio sesso è per me più problematico, per questo lo desidero molto. |
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Re: Alcune cose che ho capito...
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Hai trascritto, nero su bianco, ciò che andavo intuendo da un po’ di tempo. Il timore di espormi mi frena dal rilassarmi in compagnia e mettere in risalto i miei pregi; è così che la mia mente, per non rimanere in balia di questo timore, produce una sorta di “facciata”, uno strato esterno di amabilità e battutine che serve a rendere le persone più o meno ben disposte nei miei confronti. In questo non-luogo virtuale, ne sto tuttora testando l’efficacia; però, nei contesti di vicinanza fisica io adotto più consapevolmente questa facciata – il pupazzo dei crash test, come tu lo hai definito – ottenendo paradossalmente risultati ben dissimili da quelli che speravo, proprio in quanto il timore che qualcuno possa approfittare della mia fiducia, di “venire fatto a pezzi”, prevale sulla spontaneità. Potrei dire che la paura del rifiuto coesiste o è compresa nella paura di subire, più che una delusione, un vero e proprio tradimento. Non c’è da stupirsi se all’esterno possa apparire come altezzosa o, all’opposto, un’imbranata irrecuperabile. Sarebbe utile per me sapere se questa elaborazione a posteriori coincida o no con l’impressione di terzi. Quote:
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Sono vagamente convinta che l’abitudine ad evitare l’esposizione di nitidi stati d’animo (e di vulnerabilità) sia legata alla scarsa conoscenza (in quanto novità) del linguaggio emotivo appropriato. E’ il linguaggio essenziale per trasmettere, nella loro intensità, gesti di stima, incoraggiamento, affetto, al di là delle semplici parole. E’ anche quello necessario a far si che vengano recepiti dagli altri in modo isomorfico a quello preventivato nelle nostre buone intenzioni. Alla luce delle tue riflessioni, ho fatto questo ragionamento, ma non so se valga anche per te. Quote:
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Già: tanta pratica! :wink:
Sai, anch'io trovo molta difficoltà a ''confortare'' qualcuno (e, in generale, ad 'avvicinarmi' al suo mondo emotivo), nonostante i miei sentimenti siano sinceri. Però io me ne rendo conto in anticipo che la frase che dirò, col tono di voce che mi verrà fuori, con l'espressione facciale che avrò, con la mimica non verbale che avrò, non verrà percepita come sincera o sicura, e quindi in genere taccio (ma le volte in cui invece mi riesce mi sento bene). Credo sia anche per questo che non sono mai stato considerato un ''confidente'' dalle persone: in genere (tranne poche misteriose eccezioni) le persone non aprono mai il loro animo a me, non sono considerato ''affidabile'' da questo punto di vista. Nessuno verrà mai a dirmi ''sai in questo periodo mi sento proprio giù perché (...), tu cosa ne pensi?'' o ''mi piace quella tipa, non faccio altro che pensare a lei, ma lei...'', ''sono stato lasciato dalla fidanzata...'' ecc. Giusto per fare un esempio leggero, sono sempre l' ultimo a sapere di broccolamenti e fidanzamenti e mollamenti vari. :) Penso che questa mia scarsa capacità di generare empatia non sia solo dovuta a ''mancanza di esperienza'', ma anche al fatto che io stesso ho paura a esternare le mie emozioni, anche quando consciamente lo desidererei fare, e questa ''contraddizione'' mi può far apparire non sincero. |
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Bardamu, ho intenzione, quando avrò tempo, di analizzare puntualmente l'intera tua argomentazione e darti le mie risposte.
Da una prima lettura (e le mie prime letture non sono superficiali) non sono stato persuaso da tutte le tue conclusioni, adesso procederò con la lettura analitica. |
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Re: Alcune cose che ho capito...
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Stai analizzando l’eziologia di una risposta del tuo organismo a una classe di stimoli, e hai fatto questa congettura. Quote:
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Sebbene io quel genere di enunciati come l’enunciato A (in parole povere, la maschera che hai descritto) non lo usi più da tempo, per motivi che poi ti spiegherò, capisco il meccanismo che hai descritto in cui incappavi. Quote:
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Comunque, questa tua svista non è importante, perché tanto te ne sei accorto successivamente, da come continui. Quote:
Che tu ne sia cosciente o meno, la ragione la applichi ogni volta che fai un’analisi, quindi sbagli a vederci un ostacolo per il tuo miglioramento. Se mai, l’ostacolo per il miglioramento può essere un’applicazione sbagliata o inopportuna della ragione, ad esempio la funzione “godelizzazione” applicata in modo maniacale, o la trascendenza meta-linguistica per avere un contatto indiretto con la realtà, ma se vuoi far credere a te stesso o a me che non stai usando la ragione per farti la psico-analisi io almeno sarei scettico. Quote:
Qualunque fenomeno scateni in noi degli stimoli ci aiuta a conoscere meglio noi stessi, perché gli stimoli causatici dagli altri vengono godelizzati e elaborati dal nostro simbolo del se’, fornendogli nuovi dati per poter analizzare il proprio sistema cognitivo. Quote:
Come gli altri ci forniscono stimoli per la nostra maturazione, così gli altri, attraverso di noi, si arricchiscono, quindi non abbiamo solo l’impegno etico di “decodificare” gli stimoli prodotti dagli altri, ma anche di far decodificare agli altri i nostri, almeno questa è la mia etica. Quote:
E’ chiaro perché parlo di presunzione? Perché la paura di scoprire parti di se’ che non si accettano può essere legata alla spiacevole sensazione di essere presuntuosi, io non ho questa sensazione, sebbene gli altri spesso me la proiettano addosso. Quote:
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Gli altri sono una parte di noi stessi? Bene: allora io combatto quella parte di me stesso, il risultato non cambia. Gli altri potrebbero essere anche una proiezione di me stesso in un ipotetico spazio vettoriale della coscienza… sempre persone che sbagliano sono: da correggere. Quote:
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Se intendi dire che staresti più a tuo agio se usassi quel linguaggio standard allora sono d’accordo, ma ti assicuro che gran parte di quel disagio è causato dallo sciovinismo del linguaggio standard meta-verbale. Dobbiamo fare in modo che le persone prendano coscienza del linguaggio meta-verbale per non esserne succubi, e finchè ci autopuniremo dicendo che siamo NOI a sbagliare perché non abbiamo il linguaggio standard, gli daremo solo l’alibi per diffondere questa regola. E’ come se ti mancasse il linguaggio necessario… e allora? Dove sta scritto che bisogna avere il linguaggio necessario? Ricordo le risposte che mi davano quando dissi che, in una situazione ansiogena, io non mi facevo problemi a dire “il mio cervello non ha appreso i comportamenti socialmente normali, ma non per questo dovete pensare che io sia strano”: mi hanno risposto tutti dicendo che, in questo modo, sarei stato preso per pazzo sempre, e avrei complicato la mia situazione… lo vedi quanto è ipocrita l’essere umano? Quanto peso da’ all’apparenza? Quando invece sappiamo benissimo che l’arbitrarietà della semiotica dei linguaggi rende non necessario un linguaggio standard. E noi che abbiamo questa consapevolezza, invece di correggere la società che facciamo? Correggiamo noi stessi? Questa non è la mia etica. In questo aspetto non sento nessuna appartenenza (leggasi affinità) con il genere umano. Quote:
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Ma tu sei realmente convinto di riuscire ad essere felice in questo modo? O semplicemente non ti interessa esserlo? Non sono ironico, semplicemente mi viene il dubbio su quanta importanza abbia la felicità personale per te. E’ chiaro che tu identifichi in maniera totale la verità con la felicità, quindi desideri essere felice, mi rispondo da solo, ma mi domando cosa ti abbia portato nella tua vita a fare questa identificazione. All’inizio pensavo fosse un meccanismo più o meno conscio di difesa, ora mi rendo conto che la tua è una scelta ben precisa e cosciente, che ha comunque come effetto collaterale quello di difenderti. Quote:
All’inizio volevo provare a litigare con te senza risponderti a tono, per cercare di capire come sei a tutto tondo e vedere un po’ il tuo istinto, ma forse è meglio così, per la mia parte razionale sei comunque una persona molto stimolante e preferisco non rinunciare a questo per il momento. |
siete triviali
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In pratica, l'individuo "è" la realtà matematica, la sua percezione "è" il sistema formale che non riesce a rappresentarla in modo completo. O forse tu pensi che anche la stessa percezione non sia un sistema formale? Quote:
Il teorema di godel non dice che non esiste una logica oltre l'autoreferenzialità, dice solo che non si può uscire da un sistema autoreferenziale. L'ipotesi che si possa uscire è la trascendenza, che deve essere postulata (tu gli stai dando il nome di "senso di irrazionalità"), ottenendo un nuovo sistema rappresentazionale con il nuovo postulato della trascendenza. Ma essendo questo sistema formalizzabile, posso riottenere la formula G di Godel e mi ritrovo ancora ingabbiato in una logica autoreferenziale, allora aggiungo il postulato della meta-trascendenza. Percezione+trascendenza+meta-trascendenza= nuovo sistema rappresentazionale più completo... lo posso godelizzare? sì, allora è ancora incompleto. Dove sta questo senso dell'irrazionalità? Questo senso dell'irrazionalità non sarà, più che altro, un prodotto della pulsione psichica di voler trascendere una logica autoreferenziale dal suo interno? Questa pulsione è utile, perchè, fin quando non abbiamo preso coscienza dei teoremi di limitazione, la sua assenza rischierebbe di far cadere nel positivismo e nei suoi errori: era necessario all'uomo avere la pulsione di poter trascendere l'autoreferenza, perchè altrimenti avrebbe divinizzato la ragione e si sarebbe illuso di avere la verità. Ma una volta che l'uomo, con la logica, arriva a dimostrare l'incompletezza della sua logica, non ha più bisogno di alimentare quella pulsione irrazionale, non rischia più di cadere nell'errore della presunzione, anzi, quella pulsione rischia di fargli commettere azioni sbagliate, diffondere memi sbagliati, etc... Io non penso che l'essenza dell'uomo sia un sistema formale, penso solo che le mie categorie mentali siano teoremi di un sistema formale che è la percezione, quindi non posso andare oltre questo limite, non posso conoscere la mia essenza fin tanto che la mia coscienza si manifesterà come processo formale percezioni. Quote:
Io questa dinamica la vedo e in questo punto non sono io a dover scendere a un compromesso: il mio sacrificio è già imposto da quella dinamica sociale. Il compromesso lo deve accettare l'altro. Quote:
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Io seguo la seconda strada, perchè non mi piacciono i giochi scorretti... la vittoria di un gioco scorretto non ha sapore, la sento come una falsa vittoria (falsa felicità). Quote:
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E non mi criticare dicendo che sono soggettivi, perchè voler avere un'accoglienza sociale dignitosa, senza equivoci e pregiudizi, è una cosa che tutti cercano (almeno per se stessi, per gli altri di meno). Se percepisco che un gioco è sleale non esiste per me una soddisfazione senza provare a modificarlo. La mia esperienza mi ha aiutato a accrescere questa pulsione, a scuola per esempio ogni volta che c'era una gita scolastica è finita che non mi hanno fatto partecipare a causa del diabete, e del non volere la responsabilità, a me scandalizzava il fatto di quanta indifferenza ci fosse di fronte alla mia informazione della discriminazione, ma non tanto per la voglia di fare le gite in se', ma per il non scandalizzarsi di un'ingiustizia fatta sotto i loro occhi. L'ingiustizia mi fa veramente schifo, ma ancora più schifo mi fanno le reazioni umane alle ingiustizie (il non essere interessati a correggerle). |
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bardamu, HurryUp...mi fate un sesso quando vi scontrate a livello intellettuale!!!!!!!! :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: |
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Il tuo schema Percezione+trascendenza ecc non è godelizzabile per la semplice ragione che applichi delle leggi formali a qualcosa di non formalizzato. Se ammetti che l’individuo non è un sistema formale allora non è possibile fare ciò. Percezione+trascendenza è una tua formalizzazione…è percezione+”percezione formalizzata della trascendenza”. Io non ti sto dicendo di formalizzare la tua essenza oltre le tue categorie mentali, è assurdo, sto solo dicendo che tu ritieni di poter controllare (o percepire di essere controllato da) solo la ragione, o per lo meno di volerti limitare a quella. Quote:
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bardamu VS hurry up..... chi l'ha spunterà????? :D :D http://digilander.libero.it/jonathah...e/image002.jpg |
Rispondo alla prima parte
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Io cerco di non cadere in questo dualismo, lo so che la percezione sfugge alla formalizzazione, ma penso che questa sfumatura possa essere causata non dal fatto che la percezione venga da una dimensione irrazionale, ma dal fatto che la nostra parte cosciente non conosce la semantica della percezione, probabilmente è questa non possibilità di conoscenza completa a 360 gradi che genera la sensazione che la percezione sia sempre “agli antipodi”, forse è tutto un gioco di specchi sovrapposti che generano l’illusione del regresso all’infinito, del dualismo semantica/sintassi, e di questo gioco di specchi noi percepiamo solo un punto di vista incompleto, ma abbiamo comunque la ragione che ci permette di intuire la logica di fondo, di intuire che questi specchi non sono abbastanza potenti da farci trascendere l’autoreferenza, questa intuizione mi porta alla stessa tua conclusione, cioè che la ragione non ci permette di avere la verità , perché nessun sistema formale può rappresentare il concetto di verità senza cadere in contraddizione (teorema di Tarsky). A questo punto posso procedere solo in due modi: o mi fermo a questo punto, senza poter andare oltre, osservando i miei limiti, oppure “disinnesco” il simbolo dell’io che genera questo sistema rappresentazionale incompleto, non avvertendo così la frustrante sensazione di essere incompleto (è la cosiddetta spontaneità). Questa seconda strada magari mi permette di avvicinarmi alla mia essenza? Non lo so, non posso cercare una risposta, perché nel momento che lo facessi riattiverei il simbolo dell’io e non sarei più nello stato mentale della spontaneità. In ogni caso, se ipotizzassi induttivamente che la spontaneità mi porterebbe alla trascendenza… non posso essere “io” a trascendermi, dato che l’io è limitato, ma allora chi è il soggetto? L’universo? Dio? Io non lo so, so solo che l’io non può trascendersi, non può alzarsi reggendosi ai tiranti dei propri stivali. Quote:
Inoltre se fossero irrazionali ci sarebbe l’effetto collaterale che si potrebbe dimostrare tutto e il contrario di tutto: quella parte irrazionale contaminerebbe anche la parte razionale formalizzabile della coscienza, diventerebbe tutto irrazionale, mi sembra assurdo. Quote:
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A questo punto tiri in ballo l'io, ma qui è molto facile fraintendersi...parli di io in senso psicologico o filosofico? Che cosa intendi per io? L'autocoscienza? La parte puramente logica della nostra mente? Se intendi questo sono d'accordo, trascenderlo è impossibile. Ma per ipotesi potrei anche allargare il concetto di io a ciò che mi circonda, a qualcosa di apparentemente scollegato dalla mia fisicità, secondo una visione più cosmica e panteistica e meno individualistica. E a questo punto la trascendenza può riguardare anche un sasso. Ma ancora una volta stai correndo dritto sparato verso la verità, e mi sa che vogliamo andare in due posti diversi. Quote:
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Non so quanto questa discussione abbia ancora un'utilità, specialmente in questo contesto. Nel profondo abbiamo due visioni inconciliabili, ed entrambi saremo sempre convinti che l'altro sbaglia, almeno nel breve periodo. Magari dovremmo limitarci a discutere di cose più pragmatiche, su cui siamo d'accordo, e utilizzare meglio le nostre energie. Sinceramente vivere questa cosa come una sfida sarebbe una cretinata, e ho paura che stia diventando solo questo. |
Quando avrai tempo e voglia magari te la leggi, non temere, non voglio trattenerti in questa discussione!
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A meno che tu non creda in una forza animista che anima gli esseri viventi non puoi negare che l’uomo funzioni come una macchina di Turing, quindi l’intuizione è rappresentabile come un programma del cervello che decodifica l’informazione in modo logico, attraverso passaggi logici che sfuggono all’io cosciente, ma sempre in modo meccanico, seguendo rigorosi passaggi formali, di cui l’io cosciente percepisce l’eco sottoforma di idee, immagini mentali, etc… Io quindi non faccio la scelta di credere a qualche suggestione mentale acriticamente, la scelta di cui parli è data dall’analisi di queste intuizioni, e vista la complicatezza dell’interpretazione dell’intuito devo fare attenzione a farla in modo analitico, facendo attenzione a tutti i passaggi. E’ differente dal lavoro che fai tu, che non osservi con lo stesso occhio analitico i messaggi del tuo intuito (li osservi con un metodo che non è completamente analitico, mi riferisco al tuo dualismo razionale/irrazionale). Tu dici che questa differenza tra noi è data dal fatto che vogliamo andare in due direzioni diverse, io verso la verità, tu verso la serenità… io non credo che sia il modo giusto di inquadrare la situazione, spiego più avanti il perché. Quote:
Questo non vuol dire che il simbolo del se’ conosce tutto il sistema Bardamu, così come il simbolo che rappresenta uno stato (l’insieme delle persone che hanno il potere esecutivo) non conosce tutta la realtà sociale dello stato che rappresenta… spero che sia chiaro cosa intendo per “io”. Quote:
Il simbolo del “se’” si opporrà sempre a questo simbolo, quindi l’intenzione non mi aiuta a raggiungere la coscienza cosmica, perché l’intenzione è mediata dal simbolo del se’, che non ammetterà mai di innescare la coscienza cosmica: l’unico modo per farlo è auto-plagiare il simbolo del se’, facendogli “realizzare” l’intenzione di attivare la coscienza cosmica mascherando questa intenzione in modo che non venga riconosciuta dall’io, ma il solo impegnarsi ad architettare questo auto-plagio viene rilevato dall’io, che subito vanifica quella intenzione. Ti convince questa argomentazione del plagio fatto all’io per potersi trascendere? Se ti convince, allora, nel momento stesso in cui ammetti di non essere intenzionato ad andare verso la verità dovresti avere la sensazione di starti plagiando! Quote:
Forse nella tua mente tu hai l’idea che l’inconscio possa, nella sua essenza più profonda, ammettere la proprietà A e nonA, e da questa immagine mentale segue la tua sensazione che l’inconscio, nella sua essenza, non segue una logica. Ma questa immagine mentale che hai non mi porta a questa sensazione, perché io la risolvo visualizzandomi una logica in cui A e nonA non sono in contraddizione (una “meta-logica” che io non posso cogliere), e non trovo questa idea riduttiva, l’impressione di “limitare” mi viene solo se proietto la MIA logica autoreferenziale all’essenza dell’inconscio. Quote:
Anche se l’io non può raggiungere la completezza, quindi, si ha la sensazione che oltre questo limite autoreferenziale ci sia una logica, questa logica io la percepisco, emotivamente, come quella cosa che “giustifica” questo strano anello autoreferenziale che è la mia rappresentazione della realtà. Se la vuoi vedere come una paura teleologica, non c’è problema, perché io la vedo come ciò da cui dipende il fondamento ontologico della realtà: tolto quello rimane il nichilismo, e sarebbero cavoli amari (per fortuna è solo una proiezione mentale assurda). Quote:
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Nella prossima puntata.....
Goedel vs Magneto http://i.timeinc.net/time/time100/images/main_godel.jpg http://media.teamxbox.com/dailyposts/magneto_mid.jpg[/img] |
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Viceversa, ho disaccordi locali su certi passaggi logici che sviluppi. Quote:
Anch'io ho trovato la necessità di cambiare posizione: l'io non lo devo considerare la negazione del tutto (posso sostituire il tutto con il termine "coscienza assoluta", se infatti vedo il tutto come la totalità dell'informazione possibile, io non cado nell'incoerenza, dato che è una definizione incompleta, e come sai, se rinuncio alla completezza salvo la coerenza). In particolare, adesso, il rapporto che c'è tra io e il tutto, lo vedo come un rapporto non simmetrico: dal sistema dell'io è una negazione, mentre dal punto di vista del tutto è un'inclusione (inclusione talmente radicale da annullare l'io, ma non nel senso di negare le sue proprietà formali, ma di "fonderle" in una simultaneità assoluta con il suo complemento: come quando osservi un'immagine con i due occhi: le immagini monoculari elaborate diversamente dai due occhi non vengono annullate, ma fuse). Non giungo però alla tua conclusione che, per raggiungere lo stato di illuminazione necessiti di una rinuncia all'analisi formale (delle categorie) dell'io. O meglio, penso che sia possibile, ma non necessario, proprio a causa della non simmetricità della negazione IO-tutto. Quote:
Mi rendo conto che il teorema di Godel non implica una verità trascendente, ma implica una sovrapposizione di verità trascendenti. Quindi, ovviamente, non è giusto il postulato che ci sia una verità unica fuori dagli assiomi, però è necessario postulare che ci sia una sovrapposizione di verità (come la sovrapposizione di stati quantistici), e considerando questa sovrapposizione come un'entità unica, allora il postulato "platonista" è innegabilmente vero. Il Tutto io non lo posso godelizzare, ma visto che, dal sistema di riferimento dell'io, il tutto è definibile in modo incompleto come la negazione dell'io, grazie alla non simmetricità della relazione di negazione io-tutto, posso simboleggiare, dal piano relativo, il tutto, e non cadere nel relativismo e nello scetticismo assoluto. |
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- Godelizzazione! http://i.timeinc.net/time/time100/images/main_godel.jpg |
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