Re: Forum Cafè
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Originariamente inviata da _Diana_
(Messaggio 1636526)
Interessante puntata di " Lo stato dell'arte" su rai5 sugli animali.
Peccato che non trovo lo streaming, mentre per le strunzate ce ne sono a pacchi...
Ospiti: Francesco Viola e Leonardo Caffo, autore di Il maiale non fa la rivoluzione (tranne quello di Orwell :sarcastico: ).
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Caffo non piace molto agli altri antispecisti italiani X) Perc la pone su un piano di lotta contro l'uomo e non di lotta per il bene di tutti gli animali, uomini o cani che sieno.
Tre passi avanti e due indietro. Una risposta a Caffo
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Ma l’antispecismo politico è “politico” proprio perché pensa che la soluzione ai problemi posti dall’oppressione animale siano politici, cioè sociali, cioè storici! Dunque non si può immaginare che la soluzione sia che dall’oggi al domani la società attuale diventi una società senza sfruttamento animale. Ragionare così significa ancora ragionare in termini etici e non politici, limitandosi a proiettare sull’agire sociale le caratteristiche dell’azione individuale. Solo gli individui e non le società, infatti, agiscono dall’oggi dal domani: gli atti sociali sono “processi” e, come tali, non sono né istantanei né unilineari. Questo fa cadere tutte le “evidenze” proposte da Caffo, poiché è del tutto ovvio che un cambiamento sociale avviene perché è possibile e si tratta, appunto, di favorire gli sviluppi sociali (culturali, economici, scientifici e tecnologici) che lo rendono possibile.
Certo, questo potrebbe far sorgere il sospetto che la soluzione politica all’antispecismo, non auspicando una liberazione animale immediata sia “specista” che (anche se con argomenti diversi) è ciò che Caffo sostiene. Ma a torto. Infatti, anche la liberazione degli schiavi e delle donne non è avvenuta “in un colpo solo”, benché la loro liberazione integrale sia stata proclamata ben prima delle leggi che ne sancivano l’avvenuta liberazione; anzi, proprio la sua teorizzazione radicale ha permesso di applicare, seppure in forma non immediata e totale, un principio di uguaglianza politica “allargato”. Se il cambiamento politico di liberazione animale dovesse svilupparsi per fasi storiche progressive come accaduto anche per gli umani, questo sicuramente non potrebbe essere considerato “specista”.
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In sostanza Caffo vorrebbe salvare “capra e cavoli”, come si dice, cioè comprendere e combattere la logica del sistema economico-politico senza rinunciare alla condanna morale del carnivorismo dei singoli. Ma questo non si può fare o meglio non si può fare contestualmente. L’antispecismo politico, infatti, non vieta a chi vuole di fare propaganda per il veganismo, semplicemente esige che oltre a questo (che di per sé non è sufficiente e, anzi, se perseguito in modo isolato e moralistico va in direzione opposta ad una vera liberazione dal dominio per umani e non umani), si conduca una lotta per colpire le strutture sociali che sono le vere portatrici dello sfruttamento. Si ricordi: gli individui specisti muoiono, ma il sistema specista si perpetua. E come si perpetua? Proprio attraverso ciò che Caffo in questo esempio nega: ovvero che tra la consapevolezza che il singolo può avere in un dato momento della sua vita (ad esempio, quando vede un video in cui si mostrano atrocità commesse o quando qualcuno gliene parla) e la sua coscienza quotidiana non c’è identità. La stragrande maggioranza degli atti che compiamo in quanto esseri sociali avvengono in modo prevalentemente “automatico” e non “consapevole”. Questo è un dato di fatto e chi non comprende questo non sta parlando di esseri umani reali ma di automi cartesiani. È la cultura che ci garantisce l’efficienza e la correttezza del nostro agire quotidiano, poiché la normalità è la norma; il motivo per cui idee nuove vengono solitamente avversate e le idee morali nuove suscitano reazioni di scherno o di paura non sta nella “devianza” morale dei singoli, bensì nel fatto che i singoli pensano e agiscono, per lo più, in termini di condizionamento sociale. L’ethos non è l’etica, poiché è una forma di vita collettiva che ha leggi variabili.
L’esempio del negozio di saponette umane è, come tutti gli esperimenti mentali costruiti ad hoc dall’etica formale, completamente anti-storico e quindi inutile per comprendere il comportamento umano (e quindi anche per giudicarlo in termini assoluti come vorrebbe Caffo). Come se oggi chiunque compri prodotti basati sullo sfruttamento umano non stia comprando di fatto il frutto del consumo di “nervi, sangue e cervello umani” (Marx). Questo consumo non è “metaforico”, è reale, basta chiedere agli operai che si consumano alla catena di montaggio (per tacere dei morti sul lavoro che non sono “accidenti” ma fanno parte della stessa “essenza” del lavoro capitalistico). Senza considerare poi l’oppressione psichica e fisica che sta alla base di molte merci provenienti da paesi dittatoriali in cui la tortura e la morte degli oppositori, anche qui non metaforiche ma reali, è un prezzo da pagare per pagare un prezzo scontato al momento dell’acquisto. Dunque tutto questo accade oggi e accade agli umani, eppure…eppure noi continuiamo a vivere e ad agire come se niente fosse. Esattamente come accade per gli animali. In effetti c’è una differenza tra il modo in cui i soggetti reagiscono all’oppressione umana e a quella animale, ma tale differenza va esattamente contro l’argomento di Caffo. La differenza infatti qual è? Che in teoria per gli umani dovrebbero indignarsi tutti e subito visto che, almeno “formalmente”, questa strage di umani è in contraddizione con gli imperativi morali di una cultura universalmente condivisa. Al contrario, proprio perché la sofferenza animale non è contemplata tra gli imperativi morali della nostra cultura ed è anzi per di più nascosta e rimossa dallo sguardo, nessuno si sente chiamato direttamente in causa da essa. Essendo noi animali culturali la nostra percezione e sensibilità al dolore è sempre condizionata dal nostro ambiente e in una società come la nostra in cui i rapporti (tra umani e tra umani e non umani) sono sempre più mediati dalla tecnica e dunque sempre meno visibili e agibili direttamente, il rapporto tra i nostri atti e le loro conseguenze diventa labile e invisibile, sparisce nella trama complessa dei rapporti sociali.
Ritenere che questa “indifferenza” generale al dolore (di uomini e animali) accada per “devianza” morale dei singoli significa considerare l’umanità intera una specie immorale tranne pochi individui illuminati.
Si dirà: ma se far entrare gli animali nella considerazione culturale non li salverà, visto che non salva nemmeno gli umani, cosa dobbiamo fare? Ecco la risposta la dà l’antispecismo politico: finché penseremo in termini etici e individuali saremo solo in grado di definire obiettivi “culturali” (carte dei diritti, dibattiti bioetici, educazione) e il raggio d’azione sarà sempre limitato a ciò che esperiamo direttamente (boicottaggio delle merci “insanguinate”). Ragionare in termini politici significa invece puntare ad una modifica sociale di quei rapporti, al cambiamento delle strutture produttive, delle modalità di gestione del potere e di assunzione delle decisioni. Solo su questo versante dell’azione (non più individuale ma collettiva) possiamo sperare di porre fine anche all’asservimento umano non nel “mondo dei valori” ma in quello dei rapporti reali.
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Purini, già sono tre gatti XD
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