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Re: Il Commediaforum
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Quindi mi armo di 'In piccioletta barca' Se il canto VII è finito e se a Pluto è finita la voce.. nel canto VIII il demonio Flegias traghetta Dante e guida, quando all'improvviso arriva l'iroso Filippo Argenti che fa il dispettoso con Dante e lo umilia. Poi se ne va, Dante e Virgilio svoltano per Dite, ma la polizia non fa passare Dante, perché è appunto irosa, anch'essa. |
Re: Il Commediaforum
e pensare che quando (se non sbaglio in terza superiore) dovevo imparare a memoria buona parte del primo canto beh mi piaciucchiava..:sisi: sopratutto riguardo la parte della.selva oscura, che la diritta via mi era smarrita
non ti curar di loro ma guarda e passa |
Re: Il Commediaforum
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Ma prima avrei ancora un paio di cose da dire sul VII canto... Quote:
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Re: Il Commediaforum
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Re: Il Commediaforum
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Re: Il Commediaforum
Sarebbe bello ma in 'sto periodo ho voglia di vedere solo Hobbit, Signore degli anelli, Star Wars e robe leggere così*, per cui temo che rovinerei la mia reputazione di cinefilo snob :ridacchiare:, oltre a non riuscire di sicuro a tenere il passo. :ridacchiare:
Ah, ma tu dici andando anche alle calende greche e commentandoceli anche da soli noi due eventualmente? :mrgreen: *Matrix no però :ridacchiare: |
Re: Il Commediaforum
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E infatti Matrix non è una roba leggera :occhiali: |
Re: Il Commediaforum
Vero, il film più (inutilmente) palloso di tutti i tempi :D
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Re: Il Commediaforum
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Re: Il Commediaforum
Beh dicono Bela Tarr :ridacchiare:
2001 non è palloso :mrgreen: |
Re: Il Commediaforum
Recentemente ho letto questo canto e poi sentito il grandissimo Gassman,mi interessa molto il Paradiso:)
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Re: Il Commediaforum
IL paradiso è molto più mistico e metafisico come canto, più difficile capirlo ...
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Re: Il Commediaforum
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Re: Il Commediaforum
Con questi ritmi, il Paradiso lo tratteremo soltanto per esperienza diretta! :mrgreen:
In ogni caso a breve riprenderemo il cammino interrotto, grazie a berserk per il contributo video :bene: |
Re: Il Commediaforum
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La sera del Venerdì Santo, che è quella in cui inizia il Viaggio, è quella ottimale per riprendere la retta via. Come sempre, la Grande Letteratura mi viene in soccorso nei momenti di maggiore sconforto. Io ci sono, se qualcun altro vuole unirsi mi fa piacere. Sabato prossimo ricomincia la discussione. |
Re: Il Commediaforum
Che bellooooooooooo
:yawn: |
Re: Il Commediaforum
Prima della scadenza prefissata per il canto VIII aggiungo ancora qualcosa in margine al canto VII.
Un ulteriore cambiamento di stile accompagna il passaggio al cerchio quinto, quello degli iracondi (e di qualcun altro, come sarà specificato). Si ritorna cioè, dopo le rime "aspre" dedicate alle cerchie etterne di avari e prodighi e dopo lo stile elegante e "dottrinale" della trattazione sulla Fortuna, a uno stile mediamente "comico" e più "prosaico", come si conviene alla palude Stigia che viene descritta. Le rime in -ige, -ummo, -egra, -ozza, -ézzo sono un chiaro segnale in questo senso, come anche ad esempio l'espressione popolaresca si gorgoglian nella strozza. Di notevole credo ci sia soprattutto, dopo la consueta descrizione della genesi della palude e della particolare tonalità di colore che qui predomina (acqua buia assai più che persa, onde bige, piagge grige), il fatto che prima si individuano gli iracondi intenti a percuotersi nel fango in un corpo a corpo senza esclusione di colpi e subito dopo, per bocca di Virgilio, si passi invece alquanto inaspettatamente alla descrizione di un particolare sottogruppo di dannati. La loro condizione in pratica chiude il canto e resta impressa nella pausa narrativa che ne consegue. Chi siano, è materia dibattuta. (continua) |
Re: Il Commediaforum
Sostanzialmente le scuole di pensiero in merito sono due: iracondi "amari" o accidiosi.
In pratica si tratterebbe o di persone che hanno trattenuto la rabbia nell'animo, senza esprimerla in parole o gesti violenti, e che l'hanno incancrenita nel risentimento e nell'esasperazione della tetraggine anche con quanto di poco o tanto bello può offrire la vita (il bellissimo verso dell'aere dolce che dal sol s'allegra), e che giustamente allora mantengono il loro atteggiamento in un luogo più consono, nel fango (or ci attristiam ne la belletta negra). Oppure si tratterebbe, di accidiosi, di pigri veri e propri con in più una sfumatura di malinconia o, si direbbe oggi di depressione (tristi fummo, portando dentro accidïoso fummo: notevole la rima equivoca) che li ha portati a sprezzare la vita nel mondo e a crogiolarsi nell'inazione, così come incompiuto è il loro inno che viene "gorgogliato" sotto la superficie del pantano, nella strozza (parola volutamente "volgare") e si manifesta all'esterno solo come bolle, senza che venga espresso con parola integra. In entrambi i casi comunque un Partito del Rancore Eterno ante litteram, insomma :sisi:, punito con un contrappasso "per analogia" col peccato consumato. Personalmente sarei portato a propendere per la prima ipotesi, in quanto l'accidia vera e propria non è una sottospecie dell'ira anche "chiusa", sebbene tristitia ne sia un sinonimo in alcuni testi di padri della Chiesa e sebbene ci siano fonti letterarie, come ad esempio il maestro stesso di Dante, Brunetto Latini, che ritengano l'accidia un frutto dell'ira e del rancore coltivati senza poter essere soddisfatti. Resta però il fatto che l'accidia di norma è la lentezza nell'operare il bene, un non volersi sforzare troppo per perseguirlo, e così sarà presentata da Dante nel Purgatorio, quando i sette peccati capitali (tra i quali ci sono appunto ira e accidia) si incontreranno tutti, come predisposizioni generiche da purificare e non peccati singoli da espiare. Nell'Inferno invece la ripartizione è incontinenza-violenza-frode, e i peccati capitali non rientrano tutti necessariamente nella prima categoria (superbia e invidia infatti sono alla base dell'intera modalità di azione del Male, rimandano al primo peccato di Lucifero e come tali sono presenti in pratica ovunque nell'Inferno). Di conseguenza l'accidia "classica" non mi pare potersi ritrovare nel comportamento delle anime sotto la palude, che presentano al più un tratto accidioso (il fummo) nel tenersi dentro il proprio rancore senza esplicarlo in azione. Né Dante sembra necessariamente voler presentare un peccato riconducibile per intero a una delle caratterizzazioni tradizionali, mentre l'accento è soprattutto sulla tristezza ostinata e sul rifiuto quasi sprezzante di quanto di buono può esserci nella vita. Anche qui può trattarsi di atteggiamenti che l'esule Dante ha vissuto come malinconia e rancore e superato come ingratitudine verso Dio, e che ha contrastato con l'opera politica e culturale. E c'è da dire che l'eventuale risvolto psicologico/psichiatrico che oggi potremmo associare ad alcuni stati depressivi e monomaniaci era allora purtroppo da escludere, viste le conoscenze in merito. Dal punto di vista poetico resta comunque quest'aria di tristezza che come una cappa grava sul finale di canto, in perfetto accordo con l'etimologia greca del nome Stige, benché i suoi inquilini più famosi siano gli iracondi "espliciti" come si vedrà nel canto VIII. E resta il dato che ai peccatori in qualche modo colpevoli di "inazione", chiusi nel loro guscio, Dante riserva una trattazione rapida e non priva di accenti sprezzanti, com'è successo per gli ignavi. Nessuno di costoro viene poi nominato, come accade anche per gli avari e i prodighi (questi a causa del loro oggettificarsi dando eccessiva importanza alle ricchezze e ai beni materiali), per i traditori dei benefattori dell'ultima zona di Cocito (per ovvi motivi) e per nessun'altra categoria di dannati. La fama, i riconoscimenti e probabilmente anche la salvezza, sembra voler dire Dante, non sono destinati a chi resta rannicchiato su se stesso, per convenienza o per risentimento: non a caso su questi canti mi sono sempre soffermato amaramente... (continua) |
Re: Il Commediaforum
Nota a margine: per la prima volta si interrompe qui lo schema "un canto-un cerchio" adottato finora, e si comincia a parlare del cerchio successivo prima ancora che sia finito il canto dedicato a quello precedente. Si può trattare semplicemente di un'esigenza di variatio, di varietà stilistica per evitare la monotonia e per dare più impulso al racconto, ma alcuni come il Boccaccio trassero dalla pausa tra VII e VIII canto, con l'interruzione della narrazione dell'arrivo sulla riva dello Stige e la ripresa da un momento di poco anteriore, motivo per provare la leggenda dei primi sette canti già composti a Firenze prima dell'esilio e fatti ritrovare a Dante in esilio presso i Malaspina (dai quali venne esortato a proseguire nell'opera che aveva avuto un così alto principio). Non ci sono elementi che provino questa teoria, che tra l'altro mi pare quasi speculare a quella del ritrovamento degli ultimi tredici canti del Paradiso post mortem di Dante (apparso in sogno al figlio per rivelargli dove erano stati riposti i manoscritti): chiaro segno della natura provvidenziale, in tutti i sensi, da attribuire al poema sacro, che trova il suo compimento anche contro le avverse vicende della storia e le misere contingenze umane. Non sarà vero, ma è bellissimo crederlo (almeno per me).
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Re: Il Commediaforum
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Re: Il Commediaforum
E allora cominciamo (comincio :sisi:).
In primis, come dicevo riguardo alla chiusura del VII canto, si pone subito in apertura dell'VIII la questione della possibile stesura pre-esilio dei canti precedenti, ipotesi avvalorata secondo alcuni (in particolare il Boccaccio) dall'attacco Io dico, seguitando, che farebbe pensare a una ripresa della narrazione dopo una pausa non meglio determinata (anche se si tratta di un'espressione non totalmente assente nel resto della produzione dantesca). La narrazione riprende poi non dal punto esatto in cui era terminato il canto VII (arrivo ai piedi di una torre sulla riva dello Stige), bensì da assai prima di quel momento, quando Dante e Virgilio vedono due fiammette accese sulla torre e un'altra più lontana accesa in risposta. Si tratta di due segnali in stile militare, il primo avviso di guardia di una fortificazione che presenterà un ostacolo formidabile al cammino, ben più resistente di quelli incontrati finora e dal pesante valore simbolico e allegorico. Notevole IMO poi che questo leggero flashback si risolva in un immediato fast-forward con la proiezione dell'attenzione del lettore nell'attesa di quanto preannunciato dai segnali luminosi: Virgilio non lo spiega ma invita Dante a guardare cosa sta arrivando dalla palude, e nel breve giro di una terzina appena la novità viene esplicitata con l'arrivo di Flegias. Tornando alla questione della stesura in due tempi distinti dell'opera, altre argomentazioni a sostegno della scrittura dei primi canti prima dell'esilio sono la mancata citazione dell'esilio di Dante nella profezia di Ciacco riguardante la presa del potere dei Neri a Firenze (VI canto) e la progressiva maturazione stilistica rispetto all'inizio del poema. Quest'ultima però può essere semplicemente dovuta alla novità della materia trattata per Dante, che col procedere della narrazione viene padroneggiata sempre meglio e offre maggiori occasioni per dare spazio alla creatività e all'originalità dell'ispirazione. Mentre per quanto riguarda la mancata citazione dell'esilio di Dante, non necessariamente le considerazioni sulle condizioni e sul destino di Firenze fatte nel poema (sotto forma di profezia o meno) si accompagnano a prefigurazioni dell'esilio di Dante, anche in canti scritti sicuramente dopo di esso. Mi viene in mente ad esempio il monito dell'inizio del XXVI canto, dove si dice che il nome di Firenze si spande per tutto l'Inferno, in cui però Dante non accenna per nulla al proprio bando. La stessa profezia del VI canto di Ciacco, poi, richiederebbe: - o di essere stata scritta dopo gli eventi (quindi dopo il 1301 e il colpo di mano dei Neri) - o di essere una profezia vera e propria, messa su carta da Dante prima dell'evento (una preveggenza che avrebbe davvero del paranormale: e perché non prendere opportune contromisure, allora?) - o di essere un'interpolazione successiva, aggiunta al resto del canto scritto prima dell'esilio (e perché non aggiungervi anche riferimenti a quest'ultimo?) e tra le tre alternative la più praticabile credo appunto sia la prima. |
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Io comunque vi batto tutti, sono già in paradiso :^) |
Re: Il Commediaforum
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Re: Il Commediaforum
Continuiamo (continuo :sisi: ) con l'arrivo di Flegias: una meraviglia!
Mentre ci chiediamo, con Dante, cosa mai vogliano dire quegli strani segnali sulla torre*, veniamo sorpresi quasi a tradimento dall'arrivo di colui che è stato richiamato da quei segni (si vedrà poi che la rapidità del gesto è una delle sue caratteristiche), nel breve giro di neanche due terzine. Non si compie neanche la similitudine descritta tra la freccia scoccata snella, veloce, e la barca, che già si sente la voce di Flegiàs che esulta per l'arrivo di nuovi dannati. La tecnica è moderna, ci porta a identificarci con la freccia nella sua traiettoria e a sovrapporre questa a quella della barca, e quasi contemporaneamente a vederci davanti il galeoto, il rematore che urla. Tutta la rapidità della scena rende l'impazienza, l'impulsività e l'irruenza di colui che non sa frenare la propria ira, anche quando, come in questo caso, va incontro a cocenti delusioni e scornamenti. *Nota a margine: il fatto che siano stati accesi proprio due fuochi da alcuni è stato interpretato come non casuale e in linea con le usanze militari del tempo, essendo in arrivo due sconosciuti come Dante e Virgilio (una fiamma per ogni persona). Inoltre la risposta in lontananza, dall'altro lato dello Stige, è indeterminata e proveniente da un luogo non ben identificabile (sarà chiarito solo in seguito che si tratta delle mura della città di Dite) a causa della distanza e della nebbia che avvolge la palude. Per questo risulta ancora più temibile e arricchisce di originalità e suspance la scena. |
Re: Il Commediaforum
Flegias è posto come guardiano degli iracondi in quanto Dante coglie in lui, come in altri casi, un aspetto particolarmente caratterizzante che lo fa restare impresso nella memoria per secoli.
Il mito antico raccontava che aveva incendiato il tempio di Apollo per vendicarsi del fatto che il dio aveva sedotto sua figlia. E nella stessa Eneide è presentato nel Tartaro (la sede dei malvagi nell'aldilà pagano) come un empio sacrilego. Invece Dante dà soprattutto importanza alla sua indole impulsiva e facile alla collera, che lo ha portato a un'azione sproporzionata alla presunta offesa e temeraria. E' insomma uno che si "accende" facilmente, per un nonnulla (e a partire dalla radice greca del suo nome e dall'atto per cui fu dannato, il fuoco sarà uno dei protagonisti del canto, in maniera quasi ossessiva). Arriva sparato con la sua barchetta che neanche si sono spenti i fuochi (ancora...) di segnalazione, e dà subito per scontato che Dante (e Virgilio?) sia un dannato. Alcuni pensano che si rivolga solo a Dante, in quanto vivo, ma secondo me l'epiteto di anima fella equivale quasi "tecnicamente" ad "anima dannata" e può essere rivolto indifferentemente a entrambi (saranno scambiati entrambi per dannati anche in altre circostanze). Credo che tanta sia la foga e la brama di tuffare qualcuno nello Stige, che non stia neanche a guardare se sono uno o due... e giustamente tale foga viene punita con la piana e semplice osservazione di Virgilio ("non ci avrai in tua custodia che solo per il tempo necessario ad attraversare la palude") che provoca subito un amaro disinganno e un'ira accolta (simile a quella di coloro che sono stati descritti al termine del canto precedente? un'ira tenuta dentro, macerata nel rancore, nella disillusione, nell'umor nero? in modo tale da far sì che Flegias presenti le caratteristiche di entrambe le categorie di peccatori punite nello Stige? le sparo così :sisi: ). Nota a margine: la maggiore varietà dell'impostazione di questi canti rispetto ai precedenti si vede anche da "dettagli" come quello per cui qui Virgilio non mette a tacere il guardiano del cerchio con la solita formula, più o meno riveduta, del Vuolsi così colà ecc., ma con un'osservazione più consona alla situazione e dettata dal fatto che qui l'opposizione non deriva dal cercare di impedire il viaggio di Dante, in quanto vivo, ma addirittura dal considerarlo come un dannato. |
Re: Il Commediaforum
La funzione di Flegias pare abbastanza indiscutibile (guardiano del cerchio degli iracondi, di cui presenta tutti i tratti sia espressivi che dello stato d'animo).
Pure una minoranza di studiosi lo ha associato alla città di Dite, in maniera meno peregrina di quanto potrebbe sembrare a prima vista (anche se secondo me comunque errata): da dove viene infatti la barchetta di Flegias? se risponde alle segnalazioni luminose arrivando sulla sponda dove si trovano Dante e Virgilio è da pensare che si trovi dall'altro lato dello Stige e che la barca sia "ormeggiata" sotto le mura di Dite, magari sotto la torre che rispondeva ai fuochi fatti da quella sotto cui si trovavano i poeti? Entrare troppo in certi dettagli può essere inutile quando si ha a che fare con opere di poesia, quindi alcune risposte non saranno mai date o mai certe (e anche questo è il bello). In ogni caso quando si dice della barca e sol quand’io fui dentro parve carca e soprattutto che segando se ne va l’antica prora / de l’acqua più che non suol con altrui pare lecito pensare che solitamente essa serva da mezzo di trasporto per anime, presumibilmente da attuffare nella palude. Non siamo quindi in presenza di un traghettatore come Caronte che va incessantemente avanti e indietro (e infatti in riva all'Acheronte c'era una sterminata moltitudine di anime in attesa di passare, qui nessuno) ma di qualcuno che "prende in consegna" solo le anime di sua stretta competenza, se pure esse non vengono direttamente spedite dove si meritano immediatamente dopo il giudizio di Minosse (dicono e odono e poi son giù volte, si diceva nel canto V, e in altre occasioni nel parlare dell'arrivo all'Inferno di altri dannati non si farà cenno a traversate dello Stige). Quindi magari Flegias vaga senza troppa fretta perlustrando la palude, per poi "triggerarsi" se vede qualcuno da acciuffare come "preda", specie se gli viene segnalato dalla torre. |
Re: Il Commediaforum
L'affinità di Flegias con la città di Dite (anche se sicuramente la sua funzione è con ogni probabilità solo quella di custode del quinto cerchio) si riscontra anche e soprattutto a livello di "clima".
La stizza, il rancore covato e pronto a esplodere per un nonnulla sono infatti una costante nel modo di presentarsi e di agire di tutti i personaggi del canto, compreso lo stesso Dante nell'incontro con Filippo Argenti. E questa atteggiamento unisce sia Flegias sia i diavoli sulle mura di Dite (che apostrofano Dante e Virgilio, appunto stizzosamente). Questo leitmotiv dà un tono unitario al canto nonostante la diversità dei contesti trattati, ed è anche in questo e per questi che la tecnica poetica dell'Eccelso comincia a ingranare marce sempre più alte rispetto ai modelli precedenti, in termini di varietà narrativa, tensione drammatica e realismo dell'interazione dei personaggi. Del resto è nell'ordine delle cose che, quanto più ci si avvicina all'heart of dakness, al cuore di tenebra conradiano del male assoluto insito nel cuore dell'universo e nel cuore dell'individuo, le resistenze all'esplorazione, alla canoscenza salvifica, debbano diventare più forti, fino a presentare un'opposizione a prima vista insormontabile anche per il Virgilio-razionalità che aveva salvato l'uomo qualunque Dante dalle tre fiere. Flegias è quindi, oltre al resto, anche l'ultimo scoglio dell'incontinenza che la ragione può illudersi di avere tenuto a bada in scioltezza o quasi, fino al moto di orgoglio con cui viene ributtata nello Stige l'arroganza dell'Argenti. Riepilogando le figure dei custodi infernali incontrati finora, Caronte e Minosse sono quasi "paternalistici" nell'indicare a Dante altre strade da seguire e nell'esortarlo a diffidare di quella che ha scelto, Cerbero e Pluto sono dei "cani" (presentati di fatto con tratti affini, metà uomini e metà bestie) che abbaiano ma non mordono, e Flegias appunto da un lato esprime un'ostilità particolare (è il primo che scambia Dante per un dannato) che richiede un intervento un po' meno convenzionale da parte di Virgilio per essere messa a tacere (solo esteriormente, come indicano l'ira accolta e lo sguaiato grido con cui fa scendere i due poeti dalla barca al termine della traversata) e dall'altro prelude a un'opposizione altrettanto stizzosa e rancorosa ma ben più determinata nel male, quella dei diavoli di Dite, che di lì a poco richiederà ben altro intervento per essere superata. |
Re: Il Commediaforum
Corda non pinse mai da sé saetta
che sì corresse via per l’aere snella, pinse mai da sé Saetta, s-s-s-, swisshhhh... sì corresse snella, ss-swonnn.... Pare quasi di sentire la freccia sibilare nell'aria. com’io vidi una nave piccioletta venir per l’acqua verso noi in quella La nave non è piccola, ma piccoletta (è una barca, non una nave, e magari appare ancora più piccola per la distanza), ma già sta venendo verso l'osservatore in quella (proprio in quel momento). Quindi nel mentre si dice che è lontana la si sta già rappresentando come presente. sotto ’l governo d’un sol galeoto, In maniera apparentemente incidentale viene presentato il protagonista della scena, che la occupa in meno di due versi (la barca non è ancora arrivata per come stiamo assistendo alla scena). che gridava: "Or se' giunta, anima fella!". Flegias è solo grida impulsive e intempestive, in questo caso addirittura con verbo al passato. Che è successo? La barca non stava venendo verso noi solo due versi fa? Il galeoto che la governava non stava gridando (a distanza) in questo stesso verso? E adesso invece non solo la barca è già arrivata ma l'ansia di catturare una nuova preda gli fa dire che questa è stata già giunta, raggiunta, presa (altri intendono "sei arrivata, anima dannata", ma la risposta immediata di Virgilio "Più non ci avrai" è più pertinente alla prima interpretazione). Si sente quasi il tump della prua della barca contro la sponda nel mentre la si sta ancora osservando a distanza, con un piano americano che diventa rapidissimamente, quasi a sorpresa, un primo piano. Anche quando Guido da Montefeltro (canto XXVII) parlerà del momento in cui un demonio ha preso la sua anima ci sarà lo stessa sensazione di scuotimento improvviso, nel suo caso il risveglio da un'illusione. Un grande regista avrebbe di che sbizzarrirsi con questa scena. |
Re: Il Commediaforum
Sto leggendo "Inferno" di Dan Brown. Un romanzo che fa riferimento spesso alla Divina Commedia e alla vita di Dante. Molto appassionante.
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Re: Il Commediaforum
Almeno a giudicare dal film, mi pare che citi la DC in maniera un po' posticcia.
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Re: Il Commediaforum
Lo duca mio discese ne la barca,
e poi mi fece intrare appresso lui; e sol quand’io fui dentro parve carca. Tosto che ’l duca e io nel legno fui, segando se ne va l’antica prora de l’acqua più che non suol con altrui. Mentre noi corravam la morta gora, dinanzi mi si fece un pien di fango, e disse: "Chi se’ tu che vieni anzi ora?". Con due tocchi si crea lo sfondo per l'episodio con la maggiore tensione drammatica del canto, e dell'intero poema fino a questo momento. Appena dato il tempo di notare che solo con Dante dentro la barca di Flegias sembrava davvero carica (da notare che come in ogni momento di particolare rischio o criticità Virgilio precede il discepolo per assicurargli la via) e avviata la traversata della palude stagnante, o con espressione ormai proverbiale morta gora, con una linea di galleggiamento insolitamente più bassa (sembra di sentire, non dico lo sciabordìo perché non ci sono onde, ma il plof del remo nell'acqua melmosa dello Stige), ecco che si fa avanti un pien di fango. La posizione dell'un nel verso è rilevante e tipica dei momenti in cui Dante vuol creare l'effetto sorpresa e richiamare la massima attenzione del lettore. Il dannato irrompe sulla scena quasi apparendo dal nulla e il suo farsi avanti ricorda quello di Ciacco, ma con ben altro atteggiamento. Il caratterizzarlo come pien di fango denota la volontà di non identificarlo tra gli altri: la sua condizione disumana deve dire già tutto di lui, mentre per Ciacco e Francesca il momento del colloquio con Dante era stata un'occasione di ripresa dalla propria umanità e individualità, ottenebrate dalla bufera e dalla pioggia che li annullavano in una massa indistinta e priva di volontà autonoma. Il personaggio di questo canto sarà identificato invece solo alla fine dell'episodio, in maniera "accidentale" (dato che ha tutto l'interesse a non presentarsi da solo, a differenza degli altri due), e perciò ancora più notevole. Qui comincia davvero la guerra del cammino (canto II) di Dante, qui c'è il primo vero e proprio scontro, addirittura anche fisico, con un dannato, e con parole e toni stilistici che saranno propri solo dei cerchi dove sono punite le colpe più vergognose. |
Re: Il Commediaforum
In questi giorni, 720 anni fa, aveva inizio il Viaggio per eccellenza. E di questi tempi pare opportuno più che mai riprenderlo. Ho anche aggiornato la data del primo post, se a qualcuno interessasse partecipare alla discussione.
__________ Dunque, seguitando (cit.), dicevo che lo scontro tra Dante e Filippo Argenti si sostanzia di uno scambio serratissimo di terzine in cui l'Eccelso ricorre al repertorio collaudato della tenzone poetica con scambio di motti e insulti (nei precedenti letterari in chiave semiseria, qui invece con un tono fortemente sarcastico e spregiativo). L'architrave del dialogo direi sia senza dubbio la continua e variegata ripresa da parte di ognuno dei due contendenti delle parole dell'altro, per controbattervi e volgerle a proprio favore/danno dell'altro. Inizia l'Argenti, con la boria che gli è propria, facendosi dinanzi a Dante quasi come per ostacolarlo fisicamente nel suo cammino, atteggiamento finora non registrato in nessun dannato. "Chi se’ tu che vieni anzi ora?" Non posso fare a meno di pensare a una particolare interpretazione di queste parole, ovvero non solo e non tanto "Chi sei tu che vieni qui prima che sia suonata la tua ora? (in quanto vivo)", ma proprio "Chi sei tu che vieni qui prima del tempo? (in quanto alla tua morte sarai destinato qui)". Sebbene infatti il viaggio di Dante sia provvidenziale, non mancano nell'Inferno esempi di dannati e diavoli che ne mettono in dubbio le, diciamo, "credenziali". Ha già cominciato Minosse nel V canto mettendo addirittura in dubbio l'autorevolezza di Virgilio (Guarda di cui tu ti fide), e proseguiranno altri mettendo in dubbio sia la garanzia divina delle finalità del viaggio sia lo stesso esito positivo. In questo caso vedersi implicitamente associato alla dannazione eterna, a un peccato presentato in maniera così spregevole e da parte di un diretto avversario personale, scatena in Dante una reazione, verbale e non, come non si era mai vista l'eguale (alcuni commentatori hanno parlato di "ferocia medioevale", comunque sarà da tornarci sopra in maggior dettaglio). La risposta è: E io a lui: "S’i’ vegno, non rimango; ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?" Riprende quindi il "vieni anzi ora" di Filippo Argenti, ma mettendo subito in chiaro le cose: vengo sì, ma non certo per rimanervi (sottinteso: a differenza tua). E rincara la dose ribaltando l'attenzione in negativo sull'avversario: e tu invece chi sei, che sei ridotto in maniera così squallida (alla lordura fisica del fango fa ovviamente da contraltare quella morale del personaggio così come ce lo presenta Dante)? A questo punto è da notare come l'Argenti preferisca non rispondere direttamente all'ultima domanda, confondendosi nella folla anonima dei dannati, una cosa sola col fango: Rispuose: "Vedi che son un che piango" "Piango" nel senso di "piango i miei peccati, espio la mia pena": è quasi una definizione di default per tutti gli abitanti dell'Inferno. Allo stesso tempo è come se gli avesse detto "e chi vuoi che sia? sono un dannato, non vedi?", e al contempo si presenta come uno dei tanti, quasi in maniera non dico pietosa ma atta a smorzare eventuali acredini personali: sto espiando la mia pena, non c'è altro da dire. A questo punto è da notare come Argenti sembri momentaneamente "abbassare la cresta" (la reazione rapida e a tono di Dante può averlo colto in contropiede?), e inoltre c'è da dire che, se lui pare aver riconosciuto Dante ("vieni anzi ora", ti conosco iracondo come me), non ci sono evidenze che sia accaduto il contrario, visto che l'Eccelso gli chiede chi sia. La tensione della scena si scioglie però improvvisamente con l'ultima risposta di Dante, dove svela di avere in realtà riconosciuto il dannato: E io a lui: "Con piangere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani; ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto" Riprende inizialmente, come già fatto, il piango dell'Argenti per ribaltarglielo contro: pianto e dolore te li tieni (sottinteso: perché te li meriti). Si passa all'invettiva diretta (spirito maladetto) e alla stoccata finale: per quanto tu ti faccia passare per un dannato come gli altri, io ti conosco (culmine drammatico della terzina). A questo punto tutte le residue difese dell'Argenti crollano, la prospettiva di essere riconosciuti come colpevoli di un peccato così spregevole e di avere il proprio nome associato per l'eternità a una simile infamia è forse più difficile da sopportare della stessa dannazione. Non ci sono più parole per ribattere a una tale onta, non è più tempo di ripicche e dissimulazioni, e si passa senz'altro all'azione, seguita da una violentissima replica di Virgilio, sia sul piano fisico che su quello verbale. Allor distese al legno ambo le mani; per che ’l maestro accorto lo sospinse, dicendo: "Via costà con li altri cani!". E' da pensare che il maestro accorto stesse all'erta durante il rapido scambio di battute, conoscendo con che razza di gente avesse a che fare. Da qui il pronto intervento per contrastare il tentativo di Argenti di rovesciare la barca. Buttarlo in acqua e scacciarlo come un cane sono gesti di violenza finora inaudita, specie considerando anche il vero e proprio inno di lode di sapore biblico che sarà rivolto a Dante. |
Re: Il Commediaforum
Il canto XXXI del Paradiso è uno dei miei preferiti, se non quello che amo di più
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Re: Il Commediaforum
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Re: Il Commediaforum
Ma ho una domanda stupida. Perché si dice "Dante" e non "Alighieri"?
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Re: Il Commediaforum
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Ad es. qualche tempo fa avevo seguito un corso universitario su Aldo Manuzio, e il professore diceva sempre "Aldo". Oppure mi viene in mente anche Leonardo da Vinci. Non so però il motivo preciso... |
Re: Il Commediaforum
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Re: Il Commediaforum
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Però a volte ho letto anche "l'Alighieri". |
Re: Il Commediaforum
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