Re: Lo scarafaggio
Racconto troppo lungo per un solo post.
Quote:
“Klane ha una teoria che forse troverai interessante” insisté Hunt. “Direbbe che la parentela biologica, reale o immaginaria, non ha nulla a che fare con il tuo ‘rispetto per la vita’. In realtà a te non piace uccidere solo perché l’animale si oppone alla morte: urla, lotta o ha l’aria triste, insomma ti implora di non distruggerlo. Ed è la tua mente, tra l’altro, non il tuo corpo biologico, che sente le implorazioni dell’animale”.
Lei lo guardava poco convinta.
Hunte mise del denaro sul tavolo e spinse indietro la sedia. “Vieni con me”.
Mezz’ora più tardi Dirksen entrava nella casa di Klane in compagnia dell’avvocato di costui. Il cancello d’entrata era scivolato automaticamente da parte per far passare la macchina di Hunt, e al suo tocco un servomeccanismo aveva spalancato la porta d’ingresso priva di chiave.
Hunt la condusse nel laboratorio sotterraneo dove si trovavano numerose vetrine; ne aprì una e ne estrasse qualcosa che aveva l’aspetto di un grosso scarabeo di alluminio, la cui superficie levigata era munita di piccoli segnalatori colorati e di alcune protuberanze meccaniche. Hunt lo capovolse e Dirksen vide nella parte inferiore tre ruote gomma. Sul fondo del piatto di metallo erano stampigliate le parole ANIMALE MODELLO III.
Hunt appoggiò l’arnese sulle piastrelle del pavimento e allo stesso tempo azionò un minuscolo interruttore posto sotto la pancia. Con un lieve ronzio il giocattolo cominciò a muoversi qua e là sul pavimento come se cercasse qualcosa. Si fermò un momento, poi si diresse verso una presa di corrente presso la base di un grande telaio. Si fermò davanti all’attacco, fece uscire due sottili sporgenze da un’apertura del suo corpo metallico, tastò la sorgente di energia e vi si inserì. Sul corpo, alcuni segnalatori cominciarono a risplendere di luce verde e dall’interno giunse una vibrazione sonora, come di un gatto che fa le fusa.
Dirksen guardava il congegno con interesse. “Un animale meccanico. Grazioso… ma perché tutto questo?”.
Hunt prese un martello che era sul banco lì vicino e glielo porte. “Ora, per favore, uccidilo”.
“Ma che stai dicendo?” disse Dirksen un po’ allarmata. “Perché dovrei uccidere… rompere quella… macchina?”. Arretrò, rifiutandosi di prendere l’arma.
“Solo a titolo di esperimento” rispose Hunt. “Anch’io ho provato qualche anno fa, per ordine di Klane, e l’ho trovato istruttivo”.
“Che cos’hai imparato?”
“Qualcosa sul significato della vita e della morte”.
Dirksen fissò Hunt con sospetto.
“La ‘bestia’ non ha armi di difesa che ti possano far del male” la rassicurò lui. “Sta’ solo attenta a non andare a sbattere contro qualcosa mentre la insegui”. Le porse il martello.
Esitando, essa fece un passo in avanti, prese l’arma, guardò di sottecchi la strana macchina che ronfava sonoramente mentre succhiava la corrente elettrica. Le andò vicino, si chinò e sollevò il martello. “Ma… sta mangiando” disse rivolgendosi verso Hunt.
Hunt scoppiò a ridere. Infuriata, lei afferrò il martello con entrambe le mani, lo sollevò e lo calò con forza.
Con uno stridio acuto, simile a un grido di paura, al bestia ritirò le mandibole dalla presa e arretrò di colpo. Il martello ricadde con violenza sul pavimento, colpendo una piastrella che fino a un istante prima era stata nascosta dal corpo della macchina. La piastrella era tutta scheggiata e incrinata.
Dirksen sollevò lo sguardo. Hunt rideva. La macchina si era allontanata di un paio di metri, si era fermata, e la teneva d’occhio. No, si disse Dirksen, non stava tenendola d’occhio. Irritata con se stessa, impugnò l’arma e avanzò con cautela. La macchina indietreggiò, mentre due luci rosse sul davanti aumentavano e diminuivano d’intensità con approssimativamente la stessa frequenza delle onde alfa del cervello umano. Dirksen si slanciò in avanti, vibrò il martello e mancò il colpo…
Dieci minuti dopo, rossa e ansimante, tornò da Hunt. Il corpo le doleva in parecchi punti, perché aveva sbattuto più volte contro gli spigoli dei macchinari; la testa le faceva male dove aveva preso una zuccata contro il piano del bancone. “È come cercar di acchiappare un grosso topo! Quand’è che si scaricano quelle stupide batterie?”.
Hunt consultò l’orologio. ”Direi che ne ha ancora per mezz’ora, purché tu la faccia correre”. Puntò il dito sotto il bancone, dove la bestia aveva trovato un’altra presa di corrente. “Ma c’è una maniera più facile per catturarla”.
“Quale?”.
“Metti giù il martello e prendila”.
“Prenderla… così?”.
“Sì. Riconosce solo i pericoli che possono derivarle da cose simili a lei, in questo caso la testa d’acciaio del martello. È programmata in modo da fidarsi del protoplasma disarmato”.
Dirksen posò il martello su un bancone e si diresse lentamente verso la macchina. Questa non si mosse. Le fusa erano cessate; pallide luci arancione brillavano dolcemente. Dirksen si chinò e la toccò cautamente; sentì un lieve fremito. La raccolse guardinga con entrambe le mani. Le luci diventarono di un verde limpido e attraverso il gradevole calore dell’epidermide metallica essa sentì la vibrazione tranquilla del meccanismo interno.
“E adesso che devo farne di questa roba?” chiese con un certo nervosismo.
“Mettilo a pancia in su sopra il bancone. In quella posizione non potrà far nulla e tu potrai colpirlo come ti pare”.
“Non ho bisogno di antropomorfismi” borbottò Dirksen e seguì il consiglio di Hunt: era decisa ad arrivare fino in fondo.
Come capovolse la macchina e la posò, le luci ridiventarono rosse. Le ruote girarono per un momento, poi si arrestarono. Dirksen afferrò di nuovo il martello, lo sollevò in fretta e lo calò con forza, ma la mira era sbagliata: il martello colpì la macchina indifesa di lato danneggiandone una ruota e facendola balzare di nuovo a pancia in giù. Dalla ruota colpita uscì un cigolio metallico e la bestia si mise a girare descrivendo un cerchio irregolare. Da sotto il ventre si udì uno schianto: con un mesto ammiccare di luci la macchina si arrestò.
Dirksen strinse forte le labbra e alzò il martello per il colpo di grazia. Ma mentre cominciava a calarlo, dall’interno della bestia uscì un suono, un debole gemito lacrimoso che si alzava e si abbassava come il piagnucolio di un bambino.
Dirksen lasciò cadere il martello e arretrò, gli occhi fissi sulla pozza rosso sangue di lubrificante che si allargava sul tavolo sotto la creatura. Guardò Hunt con orrore. “È… è…”.
“È solo una macchina” disse Hunt, di nuovo serio. “Come queste, che l’hanno preceduta nella sua storia evolutiva”. Indicò con un gesto la schiera di macchine del laboratorio, osservatori muti e minacciosi. “Ma questa, a differenza delle altre, è in grado di accorgersi del proprio fato e di gridare per chiedere aiuto”,
“Spegnila” disse lei seccamente.
Hunt andò al tavolo e tentò di far scattare il minuscolo interruttore. “Temo che tu l’abbia inceppato”. Raccolse il martello che era caduto sul pavimento. “Vuoi darle il colpo di grazia?”.
Lei arretrò scuotendo la testa; Hunt sollevò il martello. “Non potresti aggiustare…”. Ci fu un breve scricchiolio metallico. Lei sussultò e girò il capo. Il lamento era cessato: risalirono le scale in silenzio.
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