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XL 30-05-2022 17:46

Re: Una vita significativa
 
Quote:

Originariamente inviata da Angus (Messaggio 2712954)
Ovvero una vita in cui, quale che sia il disturbo o il motivo causante, non ci sentiamo le persone che siamo. Non sappiamo ridere, piangere, rispettarci, prendere i giudizi altrui per quello che sono (altrui), parlare, cantare, usare il cervello, avere ed esprimere passioni (passioni, non hobby e distrazioni, porco Shiva). Non sappiamo stare in relazione. Abbiamo iniziato presto a non avere relazioni, e non abbiamo mai smesso. Se era bello da bambini, quando liberi lo eravamo molto meno, figurati da adulti! Ma le evitiamo, tranne pochi molto testardi, perché sappiamo bene come andrebbe: uno schifo.
Non sappiamo goderci il tempo che abbiamo. Siamo persone meccaniche, spente, prive di autenticità, incapaci di affermarci e opporci, rispettare la nostra vita e quella altrui. Al massimo, riusciamo a seguire una qualche etica astratta, sia essa orientata alla gentilezza e al rispetto, al farsi strada nella vita con spregiudicatezza, al considerarsi malati che devono migliorare, alla razionalità, al buon senso, ecc.. I nostri bisogni sono impulsi incolti. Siamo selvaggi, e di un tipo particolare: di quelli che non se lo possono permettere. Cresciuti senza padre e madre, non abbiamo mai pianto il lutto, non ci siamo mai impegnati per rimediare e nemmeno ci rendiamo conto di quanto sia necessario per vivere una vita non "sana", non per forza felice, ma nostra. La felicità tra l'altro sarebbe anche possibile, molto più di adesso, anche se andrebbe di pari passo con una maggiore infelicità: oggi rifiutiamo di sentire sia l'una che l'altra.

Più di tutto, credo che il sintomo peggiore sia il non saperci sostenere con tutti i nostri limiti. Questo impedisce tutto, ci spinge a mentire continuamente sia agli altri che a noi stessi. Un incontro autentico è l'eccezione e non la regola, as time goes by.

Ma se con quello di cui disponiamo non fossimo stati capaci di sostenerci saremmo già morti, com'è che siamo ancora vivi e vegeti? :interrogativo:
io la mia vita non è che la sento non mia, sento che non mi piace, ma non ho trovato ancora soluzioni adatte a me (e forse non le troverò proprio).

Non sento come pressante il problema dell'autenticità, non sono un prodotto da taroccato, per questo non ti seguo né riesco a capire e seguire chi fa discorsi analoghi del tipo "esser veri", "essere autentici", ma rispetto a cosa? :interrogativo:

Io ti posso dire che vorrei delle relazioni, è vero, però d'altra parte ci sono delle rotture di scatole che mal sopporto e non riesco ad avere un valore sociale sufficiente per poter frequentare chi mi piace davvero, per acquisirlo si pongono altre difficoltà che io non so gestire volentieri.

Non percepisco questi problemi come un "là c'è un me autentico non devo fare altro che scoprirlo", io sono io anche adesso, può essere che mi convinco a far certe cose e magari poi starò meglio, ma che c'entra questo con l'autenticità?

Anche il fatto che uno non sappia cantare, non capisco cosa c'entri con l'autenticità, prima di imparare, autenticamente magari uno è stonato.

Se ho mal di schiena e prendo un antidolorifico rifiutandomi di voler sentire un certo dolore, non risulterei autentico? Non riesco a capire dove si vuole andare a parare.

Ma ammettiamo anche che uno non sia capace di autosostenersi e muore, che dobbiamo dedurre da questo?
Che le persone che non riescono a sopravvivere in certe condizioni non sarebbero autentiche?
Io deduco solo che non avevano le risorse motivazionali e materiali per sopravvivere conseguentemente sono morte.

Io vorrei vivere in certi modi e non riesco, soprattutto vorrei vivere in certi modi senza troppa fatica, è soprattutto qua che fallisco e la cosa mi crea frustrazione, per me è problematica la frustrazione e il non poter vivere come davvero mi aggrada, non il fatto che sento la mia vita mia o non mia (che la vita poi in qualsiasi modo la conduco mia è, mica di qualcun altro), quando mi sono detto che è mia (cosa tra l'altro ovvia) e faccio comunque una vita di merda (dal mio punto di vista) questo attributo cosa conta? Niente per me, sono cose praticamente tautologiche dirsi "io sono io", o "questa è la mia vita".

Non è tautologico invece affermare "la mia vita mi piace", ma qua si ha a che fare con un giudizio di valore e non con un giudizio relativo a qualcosa di vero o non vero.
Io mi sono fatto l'idea che ho molti molti bisogni e desideri ma ho in dotazione delle capacità piuttosto limitate (in confronto a questi bisogni e desideri) e non sono mai riuscito a quadrare questo cerchio, ma non sento la mia inettitudine e incapacità come non autentica.

Io mi rendo conto che certe cose mi infastidiscono, di questo mi rendo conto, poi se un altro vuole stabilire cosa va a me e cosa non va a me, e impormi che per essere felice devo fare certe cose (quando poi la volontà e la buona disposizione a farle e sopportarle sono mie, non sue), non andiamo più d'accordo.

Con le risorse di cui dispongo a sostenermi purtroppo ci riesco, vivo una mezza schifezza, ma a sopravvivere purtroppo ci riesco :mrgreen:.

Angus 30-05-2022 18:27

Re: Una vita significativa
 
Quote:

Originariamente inviata da Franz86 (Messaggio 2712987)
Questa mi sembra però una prospettiva estremamente giudicante.
Può darsi che alcuni "disturbati" trarrebbero beneficio dal vivere insieme (se è questo che intendevi per fare "fronte comune", altrimenti non colgo proprio), come anche no. Tra l'altro due che l'hanno fatto davvero mi vengono pure in mente :D quindi non è che sia una soluzione finora impensata e nemmeno taumaturgica direi.

Beh, dipende da cosa intendi per "vivere insieme". Se significa incastrare assieme due repertori di nevrosi e tic, senza una qualche prospettiva più ariosa, hai ragione. Ma ci sono anche altre vie. Senza offesa, e non prenderla come un'osservazione da saputello, ma davvero ho l'impressione che tu sia ancora troppo ancorato a un'idea di normalità che è un po' riduttiva rispetto alle potenzialità personali.

Quote:

Originariamente inviata da Franz86 (Messaggio 2712987)
Riguardo il resto, boh: penso si possa trovare ciò che fanno gli altri sbagliato, inefficace, sciocco etc. ma dopotutto gli altri hanno i loro motivi (che non necessariamente corrispondono ai nostri) per agire come agiscono, e in ogni caso stanno agendo sulla loro vita, non sulla nostra. Quindi riflettere, discutere è ok, ma in fin dei conti tutti questi giudizi lasciano il tempo che trovano, e penso sia necessario riconoscerlo.
Spingersi addirittura a definire scelte altrui come "disgustose", finché non danneggiano nessuno a parte eventualmente loro stessi (ammesso e non concesso la nostra valutazione -pur sempre "disturbata"- sia corretta!), mi pare assolutamente esagerato e in quanto tale forse anche "sintomo" di qualcos'altro.

Ci sto pensando su. Il modo in cui si comporta un blackpillato è o no disgustoso? Se tieni conto delle sue motivazioni, forse no, ma se si valuta solo il comportamento in sé... secondo me non è fuori misura dirlo.

Così, l'autolesionismo (autosvalutazione inclusa) è comprensibile e umano se si tiene conto di cos'è che spinge a praticarlo, ma è orribile in senso assoluto.

In ogni caso, io una certa indole critica e "correttiva" ce l'ho, su questo non hai tutti i torti.

Un'ultima nota su: gli altri stanno agendo sulla loro vita e non sulla nostra. Questo non è proprio vero, e se sei in grado di prendere con filosofia i danni collaterali (in senso molto ampio) dei comportamenti "poveri" altrui, o sei una persona estremamente matura, oppure una... di grande virtù, diciamo :mrgreen:. Io, né l'una né l'altra cosa (anche se ho frequentato la seconda), e provo una rabbia molto concreta.

XL 30-05-2022 18:38

Re: Una vita significativa
 
Comunque se hai capito come vivere bene (in modo autentico come dici), vivi così, a me non è chiaro, anzi direi che è più probabile che vivrò male perché una buona soluzione per me non c'è.
I modelli che hai in mente tu e altri mi sembra che mal si adattano alla mia situazione, ma altri abbordabili io non ne vedo.

Angus 30-05-2022 18:50

Re: Una vita significativa
 
Quote:

Originariamente inviata da XL (Messaggio 2713063)
Ma se con quello di cui disponiamo non fossimo stati capaci di sostenerci saremmo già morti, com'è che siamo ancora vivi e vegeti? :interrogativo:
io la mia vita non è che la sento non mia, sento che non mi piace, ma non ho trovato ancora soluzioni adatte a me (e forse non le troverò proprio).

Non sento come pressante il problema dell'autenticità, non sono un prodotto da taroccato, per questo non ti seguo né riesco a capire e seguire chi fa discorsi analoghi del tipo "esser veri", "essere autentici", ma rispetto a cosa? :interrogativo:

Io ti posso dire che vorrei delle relazioni, è vero, però d'altra parte ci sono delle rotture di scatole che mal sopporto e non riesco ad avere un valore sociale sufficiente per poter frequentare chi mi piace davvero, per acquisirlo si pongono altre difficoltà che io non so gestire volentieri.

Non percepisco questi problemi come un "là c'è un me autentico non devo fare altro che scoprirlo", io sono io anche adesso, può essere che mi convinco a far certe cose e magari poi starò meglio, ma che c'entra questo con l'autenticità?

Anche il fatto che uno non sappia cantare, non capisco cosa c'entri con l'autenticità, prima di imparare, autenticamente magari uno è stonato.

Se ho mal di schiena e prendo un antidolorifico rifiutandomi di voler sentire un certo dolore, non risulterei autentico? Non riesco a capire dove si vuole andare a parare.

Ma ammettiamo anche che uno non sia capace di autosostenersi e muore, che dobbiamo dedurre da questo?
Che le persone che non riescono a sopravvivere in certe condizioni non sarebbero autentiche?
Io deduco solo che non avevano le risorse motivazionali e materiali per sopravvivere conseguentemente sono morte.

Io vorrei vivere in certi modi e non riesco, soprattutto vorrei vivere in certi modi senza troppa fatica, è soprattutto qua che fallisco e la cosa mi crea frustrazione, per me è problematica la frustrazione e il non poter vivere come davvero mi aggrada, non il fatto che sento la mia vita mia o non mia (che la vita poi in qualsiasi modo la conduco mia è, mica di qualcun altro), quando mi sono detto che è mia (cosa tra l'altro ovvia) e faccio comunque una vita di merda (dal mio punto di vista) questo attributo cosa conta? Niente per me, sono cose praticamente tautologiche dirsi "io sono io", o "questa è la mia vita".

Non è tautologico invece affermare "la mia vita mi piace", ma qua si ha a che fare con un giudizio di valore e non con un giudizio relativo a qualcosa di vero o non vero.
Io mi sono fatto l'idea che ho molti molti bisogni e desideri ma ho in dotazione delle capacità piuttosto limitate (in confronto a questi bisogni e desideri) e non sono mai riuscito a quadrare questo cerchio, ma non sento la mia inettitudine e incapacità come non autentica.

Io mi rendo conto che certe cose mi infastidiscono, di questo mi rendo conto, poi se un altro vuole stabilire cosa va a me e cosa non va a me, e impormi che per essere felice devo fare certe cose (quando poi la volontà e la buona disposizione a farle e sopportarle sono mie, non sue), non andiamo più d'accordo.

Con le risorse di cui dispongo a sostenermi purtroppo ci riesco, vivo una mezza schifezza, ma a sopravvivere purtroppo ci riesco :mrgreen:.

Tu applichi una logica molto "quadrata", e dal tuo punto di vista hai ragione, ma solo dal tuo punto di vista.
Sostieni che chiunque è sempre autentico, in quanto è sempre se stesso. Beh certo, se la metti così anche la copia scadente di una borsa di marca è autentica: un'autentica imitazione!
Quando si parla di autenticità si parla però di altro, anche se non mi è facile da spiegare. Ha a che fare col "sostenersi", che non significa "non morire di fame e stenti" come l'hai intesa tu, con "l'amarsi", che a sua volta non significa adottare un egoismo etico. E' in primis la mancanza di questo che, secondo me, spiega la scarsa voglia di vivere di molti qui.

Franz86 30-05-2022 20:06

Re: Una vita significativa
 
Quote:

Originariamente inviata da Angus (Messaggio 2713077)
Beh, dipende da cosa intendi per "vivere insieme". Se significa incastrare assieme due repertori di nevrosi e tic, senza una qualche prospettiva più ariosa, hai ragione. Ma ci sono anche altre vie. Senza offesa, e non prenderla come un'osservazione da saputello, ma davvero ho l'impressione che tu sia ancora troppo ancorato a un'idea di normalità che è un po' riduttiva rispetto alle potenzialità personali.

Beh, per vivere insieme intendo vivere insieme, nel senso di stessa residenza, stesso tetto sopra la testa, stesso bagno e stessa cucina a meno di dimore sontuose etc.
Quali sarebbero le altre vie?

Quanto alla normalità non sono affatto offeso, anche perché io non ci sono affatto ancorato. A me non interessa la normalità di per sè, ma mi interessa mantenerci un contatto per avere dei riferimenti intellettuali ed esistenziali (anche in negativo), perché i voli pindarici estetizzanti che non portano a nulla non piacciono.
Quote:

Ci sto pensando su. Il modo in cui si comporta un blackpillato è o no disgustoso? Se tieni conto delle sue motivazioni, forse no, ma se si valuta solo il comportamento in sé... secondo me non è fuori misura dirlo.

Così, l'autolesionismo (autosvalutazione inclusa) è comprensibile e umano se si tiene conto di cos'è che spinge a praticarlo, ma è orribile in senso assoluto.

In ogni caso, io una certa indole critica e "correttiva" ce l'ho, su questo non hai tutti i torti.
Il primo esempio è un po' fallace perché in questo caso si tratta di un'ideologia che un'azione sugli altri la vorrebbe portare avanti eccome, e anche di tipo coercitivo, per cui manca la condizione del non recare danno a terzi; anche quando non scaturisce danno concreto ciò accade solo per mancanza di mezzi, ma la volontà esplicitata da chi abbraccia il credo sarebbe all'opposto.

Ma prendiamo il modo in cui si comporta uno che si cambia le mutande solo a capodanno perché a lui va bene così. :D
Verrebbe da dire che è "disgustoso" perché ci si forma subito una rappresentazione sensoriale delle sue azioni :D ma se costui non incontra nessuno e perciò non impone a nessuno i suoi olezzi?
Pur con un esempio idiota del genere, concepito per suscitare un disgusto spontaneo, a me verrebbe da dire però che in fin dei conti sono fatti suoi.

Per tornare al punto di prima, invece essere "ancorati alla normalità" per me consisterebbe nel sostenere che comunque dovrebbe cambiarsi, perché "si deve" in base a un'etica improntata al dovere conformista.
Mentre la perdita di contatto con il criterio di normalità si verifichebbe se il nostro amico puzzone si convincesse che, siccome lui vive bene anche così, allora può ignorare il fatto che gli altri usano diversamente, si mettesse tranquillamente a girare per strade e piazze affollate e reclamasse poi il diritto di indignarsi se la gente lo guarda disgustata.

E orribile =/= disgustoso
Quote:

Un'ultima nota su: gli altri stanno agendo sulla loro vita e non sulla nostra. Questo non è proprio vero, e se sei in grado di prendere con filosofia i danni collaterali (in senso molto ampio) dei comportamenti "poveri" altrui, o sei una persona estremamente matura, oppure una... di grande virtù, diciamo :mrgreen:. Io, né l'una né l'altra cosa (anche se ho frequentato la seconda), e provo una rabbia molto concreta.
Certo, se vogliamo dire che viviamo tutti sullo stesso pianeta, quindi le azioni di tutti in qualche modo influenzano tutti ci può stare; ma il livello di influenza può essere talmente blando da sconfinare nel non percettibile. Se il tizio di cui sopra decidesse finalmente di bruciare le sue mutande un certo inquinamento nell'aria che respiro lo creerebbe, ma a un livello così infinitesimale che non me ne accorgerei nemmeno. :D

Angus 30-05-2022 22:50

Re: Una vita significativa
 
Quote:

Originariamente inviata da Franz86 (Messaggio 2713132)
Beh, per vivere insieme intendo vivere insieme, nel senso di stessa residenza, stesso tetto sopra la testa, stesso bagno e stessa cucina a meno di dimore sontuose etc.
Quali sarebbero le altre vie?

A questo non ti rispondo nel dettaglio, ma oltre alla condivisione degli spazi ci sono molti altri modi di vivere insieme. E non sono tutti voli pindarici estetizzanti o hippierìe del tempo che fu. Penso sia vero che chi come noi ha vissuto deprivazioni relazionali e affettive forti abbia bisogno di rapporti molto buoni e attenti, diversi da quelli "normali", in cui il punto di partenza di ognuno è più appagato e avanzato.

Questo stentiamo parecchio a riconoscerlo. Certi bisogni basilari, a cui altri non cercano appagamento in quanto già li hanno soddisfatti, noi li viviamo fobicamente, negandoli, vergognandocene o "buttandoli" addosso a chi ci circonda in modo distorto. Quando li osserviamo in qualcun altro, tendiamo a scappare a gambe levate.

Una discreta ossessione per la normalità (nei termini di cui sopra) c'è, e c'è anche un effetto sistemico di "contagio" che fa un bel po' di danni. Quando una persona che ha vissuto male si guarda attorno vede: persone che hanno vissuto bene, e non hanno bisogno di un certo tipo di relazione (è più difficile dunque che ci sia reciprocità, con tutte le conseguenze del caso); persone che hanno vissuto male, e non hanno alcuna intenzione di ammetterlo e cercare di vivere meglio partendo dalla situazione in cui sono. Il che ha un effetto a catena.

Quote:

Originariamente inviata da Franz86 (Messaggio 2713132)

Ma prendiamo il modo in cui si comporta uno che si cambia le mutande solo a capodanno perché a lui va bene così. :D
Verrebbe da dire che è "disgustoso" perché ci si forma subito una rappresentazione sensoriale delle sue azioni :D ma se costui non incontra nessuno e perciò non impone a nessuno i suoi olezzi?
Pur con un esempio idiota del genere, concepito per suscitare un disgusto spontaneo, a me verrebbe da dire però che in fin dei conti sono fatti suoi.

Sacrosanto, ma perché non possiamo provare disgusto verso qualcuno anche se ciò che fa sono fatti suoi? Il disgusto non è un atto violento o irrispettoso.

Se si parla di rabbia, hai di nuovo ragione: le azioni di ognuno sono fatti suoi, entro certi limiti. Però un conto è dirlo, un altro è metterlo in pratica. Farlo in modo "etico" è facile, realizzarlo davvero ben più impegnativo, soprattutto quando si hanno pochi mezzi e si è molto vulnerabili alle azioni altrui. Per un ragazzino solo, è molto dura accettare senza battere ciglio l'emarginazione, in quanto è dolorosissima. E' comprensibile che cerchi di difendersi arrabbiandosi, anche se la compagnia non è un diritto (en passant, per i bambini/ragazzini dovrebbe esserlo).

Inner_Beauty89 05-06-2022 11:49

Re: Una vita significativa
 
Bel topic, Angus.

Il concetto di vita significativa è molto personale e dipende da vari fattori, ambiente in cui si cresce e matura in primis, soprattutto per quanto riguarda le esperienze.
Il mio più grosso problema è legato agli anni di bullismo delle superiori che mi hanno lasciato strascichi dal punto di vista psicologico; questo perché il tipo di soprusi che ho subìto in quel periodo a scuola era perlopiù verbale, non fisico.

Un effetto su tutti è il disturbo paranoide di tipo persecutorio: va a periodi.
Quando sto molto giù di umore e mi sento in difficoltà, ho la percezione che le persone intorno, anche perfetti sconosciuti, ridano di me.
Ovviamente è un ipotesi irreale: le persone si fanno gli affari loro e non perdono certo tempo a denigrare un individuo che non conoscono.
Si divertono tra loro.

L'altro aspetto fondamentale è il terrore di non essere abbastanza per una partner ed essere abbandonato, ed è forse il motivo per cui, nonostante di per sé non abbia problemi gravi di fobia sociale nell'intrattenere conversazioni con le ragazze e scambiare contatti od uscirci anche solo al bar, mi preoccupo di un possibile approfondimento del futuribile rapporto e finisco per far passare un idea sbagliata alla persona e rovinare tutto.
Questo problema deriva sempre dallo stesso Liceo in cui venivo bullizzato, dove subii un fenomeno di "ghosting" da parte di una ragazza più grande che avevo iniziato a frequentare per caso lì.
L'impatto emotivo di questo evento, fu talmente forte che rimossi questa persona dalla mia mente cosciente e la condannai all'oblio del subconscio, fino al 2021.

Questa ragazza di 18 anni ( io ne avevo 16 all'epoca), la incontrai per caso alla festa dell'ultimo giorno di scuola al terzo anno di Liceo, tra lanci di uova, ortaggi, farina ed acqua.
Andai alla fermata del bus per tornare a casa e la incontrai lì; mi vide cosparso di ortaggi e mi salutò presentandosi, ed io feci lo stesso.
Di ritorno dalle vacanze, a scuola, mi si presentò in classe con un semplice saluto: io ero solo al banco, un po' emarginato.
Quando se ne andò dalla porta, il banco si riempì di persone che mi chiesero chi fosse quella biondina e come l'avessi conosciuta; mi guardarono sorridenti.

Fu la prima persona della scuola a trattarmi come uno normale; iniziai a pensare che non fossi sbagliato e che semplicemente avrei dovuto accettarmi ed amarmi per quello che ero, senza sforzarmi per scimmiottare gli altri.
Fino ad un giorno in cui sparì misteriosamente, senza un ciao, un addio, un arrivederci, una litigata.
La cosa che più mi fa disperare è che, dal punto di vista comportamentale, so che non ho nulla da recriminare nei confronti di questa ragazza: non ricordo una sola volta in cui mi trattò male.
Ho paura dell'abbandono e di non essere all'altezza delle persone che mi fanno del bene.

Per vita significativa, quindi intendo, avere la possibilità di rivivere un evento simile con un esperienza più piena, di avere quel sentore di appartenenza, a qualcosa od a qualcuno, in una realtà lavorativa in cui poter esprimere tutta la mia sensibilità, oltre ad avere qualche amico in più con cui confidarmi.


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