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Re: Viaggiare come convenzione sociale
Amo viaggiare e ho visitato parecchi posti in vita mia.
Di alcuni mi son innamorata e spero di tornarci. A distanza di oltre 20 anni, ricordo ancora perfettamente alcuni odori per le strade. Alcuni colori, suoni. E' tutto impresso nella memoria. Amo visitare posti totalmente diversi dal mio, scoprire usanze nuove. Provare gusti sconosciuti, o fatti diversamente da come immaginavo. Ci sarà pure chi viaggia per moda, ma non saprei. Io quando vado all'estero, se trovo l'hard rock cafè ci vado. Non per la magliettina, ma perchè fanno uno dei miei hamburger preferiti e un dolce che adoro:mrgreen: |
Re: Viaggiare come convenzione sociale
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Re: Viaggiare come convenzione sociale
Ecco qua, questa è il blocco che mi pesa di più.. non ho mai viaggiato, se non qualche breve viaggetto sempre in Italia, ho perso volutamente qualsiasi possibilità di recarmi all'estero che mi si sia presentata fin' ora.
Il solo pensiero di mettermi a organizzare un viaggio mi crea un livello di ansia che è nettamente superiore al beneficio del viaggio stesso, dunque per ora non c'è possibilità di cambiamento e non so nemmeno cosa dovrebbe cambiare nella mia testa perchè qualcosa si sblocchi.. La cosa mi fa stare molto male ma non ho ancora capito se avrei veramente voglia di viaggiare o se mi lascio condizionare appunto dalla convenzione sociale. Credo sia la seconda. |
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Re: Viaggiare come convenzione sociale
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Può accadere che si facciano delle cose sulla spinta del bisogno di comunanza. Cose che non fanno magari ribrezzo ma che neanche appassionano strenuamente, e che quindi da soli non si avrebbe un grande incentivo a fare. Di conseguenza risulta decisiva la spinta del collettivo. In questo senso credo abbia ragione claire quando diceva che quello che fanno tutti influenza (o può influenzare) il singolo. |
Re: Viaggiare come convenzione sociale
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Re: Viaggiare come convenzione sociale
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Re: Viaggiare come convenzione sociale
Ho conosciuto molte persone che amano spostarsi, ma nessuna che ami veramente viaggiare, perché viaggiare significa partire senza essere sicuri di tornare, anzi a volte con la segreta speranza di non poter tornare, perché la vita che si vive nel luogo di partenza è diventata ripetitiva, triste, e tutta la noia e la ripetitività la rende insopportabile, tanto che a volte partire è l’unica alternativa alla morte, all’estinzione di se stessi, sebbene la segreta speranza che motiva il viaggiatore sia in fondo anche una speranza di estinzione, la fine del vecchio Io e la speranza della rinascita di un nuovo Io. Certamente chi prenota un volo il di andata per il venerdì sera ed il ritorno per la domenica sera per passare il cosiddetto week end in una cosiddetta capitale d’Europa non può pensare di stare viaggiando, ma, se fosse minimamente cosciente di quello che sta facendo, il che significa cosciente delle proprie scelte e del mondo che lo circonda, deve per forza pensare, affermare a se stesso ed agli altri, che quello che sta compiendo è uno spostamento fisico, ma sono tutti troppo ipocriti o inconsapevoli per fare una cosa del genere, ipocriti oppure inconsapevoli, e sinceramente non ho idea di cosa sia peggio. Ma forse peggiori sono i cosiddetti viaggi culturali, che, come è facile immaginare, non sono per nulla viaggi, perché la programmazione è quanto di più deleterio per il concetto di viaggio, e sono la morte della cultura, la sua negazione, qualunque cosa si intenda per cultura, perché si riducono a scorribande nei musei, a corse di gruppo nelle chiese, alla contemplazione di oggetti morti o moribondi, mentre la cultura se non è viva è assolutamente priva di senso, la cultura come tutti gli organismi viventi deve nutrirsi e nutrire, ha bisogno di tempo per assimilare, per far decantare, per espellere le sostanza nocive. Ma cosa si può pretendere da un cosiddetto viaggio culturale di una settimana in un paese che è lontano migliaia di chilometri dal proprio, con una storia ed una lingua che con la nostra lingua e storia non hanno nulla in comune? La cultura dello spostamento è stata in fondo creata ad arte dalle compagnie aeree, che in questo modo vendono più biglietti ad un prezzo minore, dalle agenzie di viaggio, che in questo modo giustificano economicamente la loro esistenza, con tutta la retorica che cerca di nascondere la realtà con frasi ad effetto e fotografie di finti paradisi terrestri. La realtà è che i viaggi hanno dei momenti belli, entusiasmanti, in cui ci si illude che il vecchio noiosi Io, che volevamo lasciare a casa, sia effettivamente rimasto a casa, e momenti noiosi, ripetitivi, a volte anche disgustosi e spiacevoli, cosa d’altra parte lapalissiana, visto che a viaggiare sono sempre gli esseri umani, che sono fatti di tutte queste cose.
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Re: Viaggiare come convenzione sociale
Avessi la mente libera da complessi piacerebbe anche a me viaggiare, ma ora come ora è solo uno strazio (così come semplicemente girare per la propria citta)
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Re: Viaggiare come convenzione sociale
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E in tutti i fenomeni di massa c'è una componente di moda (non per forza totalitaria). |
Re: Viaggiare come convenzione sociale
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"A me non piace viaggiare, non viaggio mai!" quindi ecco il coro: "Dovresti invece, apre la mente, eppoi stacchi la spina!" "Prima o poi vedrai che ti convinci e giro tutto il mondo!" "Ma dai, vuoi mettere? Mykonos è troppo bella!" "Dovresti non pensarci troppo: prendi un low cost e scappi via!" ...e via andare: chiaro che uno inizia a pensare: perché lo stile di vita altrui - il mio - li indispone (li ferisce?) così tanto? Perché fare tutta questa pressione? Forse perché dannazione, "se questa cosa la facciamo tutti e la troviamo tutti divertente, come si permette lui di non seguire questa linea?" |
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Ma una volta arrivati alla vostra meta, che cosa fate in pratica? Che cosa vedete, che cosa vivete?
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Re: Viaggiare come convenzione sociale
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Ho visto persone ricevere obiezioni continue su hobby, stili di vita, abitudini e pssioni e andare avanti nonostante tutto indisturbati. Dovresti domandarti perchè sei così permeabile alle obiezioni altrui, fintantochè sei sicuro delle tue posizioni. Se io decido di aderire ad un credo politico, ma resto continuamente ferito e perplesso alle obiezioni della fazione opposta che mi critica per la mia presa di posizione, significa che tanto sicuro di quella posizione non sono. Secondo me è proprio su questo che bisogna lavorare: la fermezza di idee e intenti, anche perchè se voglio affermare identità in disaccordo con la maggioranza e magari far pure riflettere la gente (se non addirittura fargli cambiare idea) devo essere sicuro di ciò che penso e dico. |
Re: Viaggiare come convenzione sociale
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Re: Viaggiare come convenzione sociale
Anche a me suona un po' ridondante questo fatto del dimostrare a tutti i costi che si sta viaggiando, ma da quello che ricordo, fin da quando ero piccola, e i social network non esistevano, alcuni viaggiatori (o turisti) ci tenevano a far conoscere le loro mirabolanti avventure agli altri.
Ricordo di parenti che a Gennaio, tornati al paesello, facevano notare orgogliosi l'abbronzatura africana, distribuivano souvenir e per tutto il mese successivo portavano in tasca le foto per mostrarle a chiunque...inutile parlare dell'effetto dei social su questa ostentazione. Per quanto mi riguarda però, avendo avuto la fortuna di viaggiare da piccola al momento mi è rimasto un bellissimo ricordo praticamente di tutto, e appena me lo potrò permettere prenoterò aereo e albergo per qualche posto non troppo lontano...posti come Canada, nord Europa e Oriente dovranno aspettare e pur visitandoli, momenti piacevoli e personali come quelli di un viaggio preferisco tenerli per me piuttosto che darli in pasto a curiosi contatti facebook. |
Re: Viaggiare come convenzione sociale
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Generazione di fenomeni...:mrgreen: |
Re: Viaggiare come convenzione sociale
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Se la persona si arrabbia se viene contradetta, il motivo può essere perché non viene capita e si senta sola e frustrata, non c'entra niente con l'essere insicura delle proprie idee oppure con l'incertezza dell'identità. |
Re: Viaggiare come convenzione sociale
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Re: Viaggiare come convenzione sociale
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