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Originariamente inviata da bardamu
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Originariamente inviata da clizia
Ma infatti, caro Bardamu, sia la famigerata Heidi che la meno nota e spigolosa Annette (quanto mi piaceva il suo caratteraccio!) non si negano un’esperienza formativa in città; fuoriescono dal guscio protettivo del villaggio (che rappresenta il noto) per conoscere spazi, dimensioni e modi di pensare a loro sconosciuti.
In realtà, a guardare bene, in Heidi la città assume semplicemente la funzione ideologica atta a riconfermare la superiorità indiscussa della natura sul mondo cittadino, utile soltanto a riportare la nostra eroina a una ri-conferma delle sue precedenti sicurezze. Insomma, quello con la dimensione urbana non si trasforma in incontro realmente destabilizzante, come avrebbe potuto invece essere!
Questa crociata a favore della natura, però, nasconde un retrogusto – seppur apparentemente “europeizzato” – di derivazione nipponica, ed è proprio in ciò che Heidi rivela la sua anima fortemente scintoista (parla con gli alberi, o sbaglio??).
In Annette, invece, il discorso è più sfumato: la città è anche il luogo dove si spalancano quelle possibilità che il piccolo centro non può offrire. La guarigione del fratellino di Annette può avvenire solo in città, dove la medicina e il progresso offrono ciò che le piccole realtà, pur apparentemente idilliache, (anche se non prive di minacce),non possiedono ancora.
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Si certo, sono cartoni animati che portano avanti il discorso della natura benigna contrapposta all'urbanizzazione maligna, tutto molto Rousseau. Ed in effetti l'immagine che mi sono fatto di te per quello che leggo qua è quella di una ragazza che ha una visione fortemente romantica della vita, ottocentesca direi. :D
Io dal canto mio sono molto più novecentesco nel considerare la dimensione sociale e tecnologica dell'uomo, non irrinunciabile, ma necessaria alla comprensione, per poter poi essere messa da parte con coscienza. Conoscere per poter dimenticare. Non riuscirei a vivere con la sensazione di non comprendere il mio tempo e di volermene proiettare al di fuori, mi sembrerebbe una rinuncia, un abbandono. Non escludo in futuro di poter avere il tuo stesso desiderio di una vita ritirata in mezzo alla natura (il mio mito De André se ne andò in Gallura), ma il mio fine è la comprensione di me stesso tramite il tutto e se la natura può insegnarmi qualcosa deve farlo necessariamente in relazione alla città. Sarà che sono cresciuto in campagna, e quindi la capisco meglio della città, ma dalla mia visione della natura cerco di togliere tutte le strutture mentali che siamo soliti applicarvi, siano esse benigne alla Rousseau o maligne alla Leopardi, e di vederla per ciò che è, per quanto possibile. La vita nei campi è faticosa e logorante, è il non-pensiero, o la semplificazione di esso, per quanto la vita dell'uomo urbanizzato è fatta di pensiero abnorme, stratificato, spesso eccessivo. Vorrei trovare un punto di equilibrio fra queste due forme, ma quello che lo sarebbe dal punto di vista geografico, la periferia, come hai giustamente fatto notare tu, in realtà non corrisponde né alla natura né ad una stimolante società.
A me di cartoni animati "da fanciulle" piaceva -E' quasi magia Johnny- (che ho scoperto poi essere stato tagliuzzato e censurato ampiamente nella versione italiana) :)
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Hai colto nel segno…in me è radicato uno spirito fortemente ‘800esco….sarà che mi hanno rovinato troppo le letture dell’infanzia e dell’adolescenza, assieme ai cartoni animati e a certi film che hanno corroborato in me e nel mio spirito introverso un certo immaginario “perverso”; tra film come Sissi o via col vento, cartoni come Anna dai capelli rossi e letture come “Cime tempestose”, et similia, potrai capire quale sia il bagaglio che io mi porto dietro….
C’è stato un periodo in cui alcune persone (un po’ particolari, a dire la verità!) mi fermavano per strada dicendomi addirittura che ricordavo loro certi personaggi letterari e scrittrici del secolo scorso (non dico però quali!!)…e il capello lunghissimo faceva sicuramente la sua parte! E così ho deciso di tagliarlo, quasi un rito iniziatico a segnalare l’addio ai sogni figli di un’identità liquida, acerba..
Scherzi a parte…la matrice idealistica ottocentesca l’assumo su me stessa consapevolmente, quasi a proseguire un gioco iniziato per caso da ragazzina tra me e me, per cui dovevo rendere speciale ai miei stessi occhi – TRAVESTENDOLO - tutto ciò che dentro me vivevo come segno di una diversità profonda che mi allontanava dagli altri…lo so, questo discorso ha qualcosa di megalomane (forse di tipicamente adolescenziale), ma mi ha aiutato in passato a difendere la mia identità - sempre sotto attacco dai tentativi di “assimilazionismo” che provenivano dall’esterno - al fine di rendere unica e personale quella diversità subita e ritagliatami addosso da certe scelte genitoriali e dall’ostilità altrui.
Ma non credere, la mia anima è bifronte. Alberga in me anche uno spirito 900esco, quello che vive il dubbio fino in fondo e che condivide un paradigma esistenziale non così rassicurante come credi. Vivo appieno tutti i dubbi dell’uomo moderno e subisco il fascino dei suoi pensatori e certo mi ritrovo più in un Montale che sceglie di scendere “senza viltà” per una via di città, anzichè nel panismo nostalgico di un D’Annunzio, forse, in questo senso, ancora pre-moderno.
Sono cresciuta a Roma e quindi mi sento strettamente cittadina, l’urbanità e il caos della metropoli mi sono nel sangue, così come il percepirmi “separata e anonima” nei confronti degli altri; allo stesos tempo non credo in facili miti consolatori che predicano un perdersi felice e spensierato nella natura…se un giorno sceglierò questa strada lo farò con la consapevolezza di chi sceglie veramente e non di chi fugge…anche se la tentazione – a volte – è dietro l’angolo…
Ps: No, Jhonny no! Lo odiavo!! Mi sembrava il tipico cartone per teenager, con tutti 'sti tira e molla amorosi!! :wink:
Allora i migliori erano dopotutto Anna, lady oscar, Lucy may, candy...e concordo con il Conan di Miyazaky citato da Muttley
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