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Re: Dare un nome al proprio disturbo
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Detto questo ignori che l'approccio medico nel campo psichiatrico e psicopatologico ha una differenza sostanziale: Nella malattia mendica il paziente ha un sintomo che è un segnale prodotto dall'organo in questione a causa di un malfunzionamento. Il segnale, dal paziente, viene trasmesso al medico che lo decodifica riconducendolo ad una precisa malattia. Nel caso della mente però si urta con lo scoglio, come dicevo, della coscienza: l'inconscio emette un segnale di urgenza, di pericolo (i sintomi) che però deve essere interpretato. E' qui che arriva il punto critico. Questi sintomi appaiono a chi li sperimenta assurdi e irrazionali perché non vengono compresi o mal interpretati dalla coscienza. L'aiuto terapeutico (dovrebbe) aiuta a fornire gli strumenti necessari a comprendere. La psichiatria sforza etichette tenta di ridurre il "male" ad una serie di caratteristiche prestabilite, dimostrando di non capire che quello che si vede in superficie non è quello sembra. Quote:
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
L'ho trovato il nome del mio disturbo, senza scomodare medici, si chiama prepotenza e maleducazione e la cura è un treno in faccia. :bene:
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
:(
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
Mi è servito ed ero anche curiosa dopo un caso di malattia piuttosto grave, per il resto ho notato che molti psichiatri fanno diagnosi in 10 minuti, pretendendo poi di fare psicoterapia senza riuscirci...( Addirittura una mi fece notare che ero spettinata, in modo anche rude, definendomi poi "pensante" a mo`di consolazione).
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
Credo che identificarsi in un disturbo sia un'arma a doppio taglio... Gli psichiatri ed i medici in generale lo fanno a scopo di catalogazione, in modo da prendere provvedimenti standard, rielaborati poi in base al singolo caso. Farsi diagnosi da soli può aiutare a comprendere il proprio malessere, così come può portare qualcuno a nascondercisi dietro per paura di tirare fuori la propria personalità e correre il rischio di combattere.
Che poi, nel mio caso, spesso in base alla struttura di riabilitazione veniva tirata fuori una 'sentenza' differente, ergo non c'hanno capito quasi nulla nemmeno i professionisti. Il cervello umano è troppo vasto per pretendere che un parametro stabilito sia definitivo ed uguale per tutti. Secondo me le diagnosi cliniche non andrebbero prese in cosiderazione in maniera eccessiva, da parte delle persone 'affette'. Potrebbero finire per sfociare anche in autoinfluenzamento e somatizzazione (una sorta di effetto placebo deviato). Siamo sette miliardi e passa di persone su questa terra. Ognuna è unica e singolare, ed ha i suoi vissuti e la sua personalità. 'Affibbiare/affibbiarsi' un disturbo, per quanto riscontro uno ci trovi, è come dire che si aderisce ad un modello comportamentale/razionale standard. Piuttosto limitata e limitante, come considerazione, nonché poco funzionale. |
Re: Dare un nome al proprio disturbo
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Un disturbo non inizia e finisce con una sola parola o definizione, bisogna guardare organizzazioni, tratti, schemi, possono essere diversi e tutti mischiati tra loro, proprio a seconda del vissuto personale di ognuno. Non è che un fobico, è 100% fobia sociale pura da manuale, non siamo libri, ma persone, e dietro la diagnosi di fobia sociale, ci possono essere mille altre dinamiche attive, ognuna la conseguenza dell'altra. |
Re: Dare un nome al proprio disturbo
alla fine nessuno è malato davvero è solo " vittima di questo mondo" cit.
però 70 e passa anni come vittime è na bella rottura di cazzi :sisi: |
Re: Dare un nome al proprio disturbo
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
Dare un nome a ciò di cui soffri ti aiuta a sperare di poterlo combattere.
Sapere di essere fobico sociale ti fa cercare informazioni su chi lo è, ti fa riflettere sui tuoi atteggiamenti, ti può far conoscere persone con i tuoi stessi problemi (meno inclini, in genere, ai giudizi), ti da la speranza di andare da uno psicoterapeuta e cercare di migliorare la situazione (perchè uno psicoterapeuta magari ha già assistito persone con i tuoi stessi problemi). Insomma non serve a niente, tranne a darti speranze che possono rivelarsi utili o meno in base al tuo impegno (e alla fortuna). P.S. Problematiche relative alla fobia sociale, come tutte le fobie e i disturbi psicologici, non possono identificarsi in un elenco di sintomi, ogni situazione e diversa, ma l'aspetto psicologico di un fobico sociale è sempre lo stesso: problematiche relative ad attacchi di ansia e rimuginio prima e dopo situazioni di immersione sociale. |
Re: Dare un nome al proprio disturbo
creamente disturbato
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
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Continuo a dire, che non è tanto il dare o no il nome ad un disturbo, ma se non so cos'ho, cosa curo? Se io ho l'influenza, la polmonite o un tumore, vorrei saperlo, non so voi. :pensando: Tra l'altro, se mi fanno una diagnosi sbagliata, e mi curano per una cosa che non è il mio problema (in 6 anni di csm ero bipolare con d.c.a., cosa assolutamente non vera) se permetti mi girano un pochino le palle e infatti guarda caso, in 6 anni non sono cambiata di una virgola, in 8 mesi con la diagnosi giusta e tutti i miei meccanismi spiegati per filo e per segno ho avuto grandi miglioramenti. Chissà come mai. :pensando: |
Re: Dare un nome al proprio disturbo
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
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Però mi conosco e so che nelle diagnosi ci inciampo... Forse perché conoscere la definizione di un problema mi dà l'illusione di avere sotto controllo quel tipo di falla e, di conseguenza, di poterci lavorare un po' su... Ma siamo da capo a dodici: Io, 'A', posso presentare un tratto caratteriale problematico che possiede anche 'B', ma chi lo dice che in entrambi questo disturbo sia stato causato dallo stesso fattore d'origine e provochi lo stesso identico tipo di disagio? Ci sono troppissime sfaccettature da analizzare, ci vorrebbero anni per valutare in maniera consapevole ogni caso clinico. Il concetto di diagnosi, così caro agli specialisti, come scopo ha quello di restringere una somma infinita di varianti e variabili ad un numero decisamente inferiore di possibilità, per facilitare la formulazione della terapia e del trattamento farmacologico, tenendo poi conto di altri parametri soggettivi. Le diagnosi smetteranno totalmente di essere standard dal momento che nel DSM figurerà il setting comportamentale e ambientale di ogni singolo individuo sulla terra, roba ovviamente impossibile. Ah, tocca tenere a mente che nel DSM V, il numero di disturbi catalogati è cresciuto del 300% rispetto a quelli presenti nel DSM originale (si parla di un arco temporale di 60 anni tra i due), il che è tutto dire :mrgreen: |
Re: Dare un nome al proprio disturbo
Non ha un nome..ha solo un peso.
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
Vi siete dimenticati di una cosa molto importante: la prognosi. Tutto giusto sul fatto che sapere il nome/i del disturbo serve per attuare la cura più adatta, ma serve anche per stabilire statisticamente la sua possibile evoluzione. Altrimenti si rischia di lottare a vita x una cosa che mai andrà via, provocando false illusioni e arrivando a credere ad un miracolo che alla fine mai verrà, portando ad ulteriore frustrazione invece di cercare di "compensare" il problema. Per quanto riguarda il discorso "etichette" nn capisco la mini-polemica: preferireste andare dal medico e vi dicesse che nn ha idea cosa avete perchè la psichiatria ha deciso di nn fare più diagnosi per nn influenzare il paziente? sarebbe come nn dire ad una persona che ha una metastasi per evitare che si suicidi...insomma l'uso della diagnosi che ne fa il paziente è un problema suo, ci sono quelli che per una periartrite di spalla cominceranno ad usare sempre meno il braccio perchè "hanno la periartrite" e altri che continueranno ad andare a giocare a tennis come nulla fosse. E nn è quest'ultimo ad aver ragione perchè se ne infischia, lo posso dire con certezza, e nemmeno la prima: la cosa giusta da fare, guarda caso, sta nel mezzo ed è la più logica...
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
Per me è fondamentale la diagnosi (sapere ci farà sentire meno in colpa e darà importanza al disagio, senza farlo sembrare così "leggero" e "facile") e non
è incasellare le persone in schemi o non dare singolarità a ciascuno, questo non c'entra niente, semplicemente in psichiatria le emozioni i sentimenti sono presi in considerazione in quanto non dipendenti dall'inconscio, ma semmai da problemi del "qui e ora", si pone attenzione soprattutto ai sentimenti e alle emozioni che dipendono da problemi biologici, ambientali e se ne ricerca la causa nella "vulnerabilità" di carattere. Fare la diagnosi è molto difficile e complicato ne sono consapevoli gli stessi psichiatri infatti ci sono teorie e metodi che vengono studiati e analizzati in continue ricerche. Ci sono ad esempio metodi di diagnostica categoriale o multiassiale dove i vari aspetti di personalità, di disagi, di malattie fisiche, di problemi sociali ecc vengono messi in assoluto rilievo. edit. Non mi mettere nella lista nera Joseph :) Ciao! |
Re: Dare un nome al proprio disturbo
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
Ma si che me ne frega tanto sempre bacata rimango
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Re: Dare un nome al proprio disturbo
In linea generale, secondo me c'è un continuum tra i vari disturbi. Non ci sono veri e propri confini. Le categorie di disturbi le vedo un pó come costrutti teorici artificiali per fini pragmatici.
Certo è che allo stesso tempo differenze sostanziali tra categorie di disturbi ci sono, credo. Non so, non è semplice la cosa :pensando: |
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Solo in questo modo possiamo riconoscere "la radice dei nostri mali". Come diceva Sun tsu "se conosci il nemico e te stesso, la vittoria è sicura". |
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