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Re: Essere gettati nel mondo
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Io faccio un esempio diverso. Mettiamo che si giochi alla lotteria, per poter vincere il premio ovviamente devi giocarti un biglietto, e nel momento in cui scommetti si apre lo scenario in cui è possibile perdere la somma spesa, questo per me risulta abbastanza evidente. Se qualcuno afferma che è insita nell'esistenza la possibilità di perdere alla lotteria afferma per me qualcosa di falso, perché non detto che sia necessario giocare alla lotteria per esistere e perciò la possibilità di perdere una certa somma alla lotteria la si può lasciare, per così dire, inattiva. Basta non giocare e scegliere di non giocare a questo tipo di giochi e la possibilità di perdere una certa somma non si attiva mai, ovviamente come hai fatto notare tu non si attiva nemmeno la possibilità di vincere, ma a noi interessa solo provare che non si attiva la possibilità di soffrire continuando ad essere vivi e vegeti. Per me il tuo esempio è molto simile a questo qua e per questo dico che esistere non implica affatto la possibilità di soffrire (di perdere alla lotteria e così via), queste possibilità potrebbe darsi che vengono attivate solo in certi casi e in modo opzionale. Se si può vivere senza guardare quadri, è vero o no che si esiste comunque e non si è esposti alla possibilità di questo tipo di dispiacere? Se è vera questa cosa qua allora non si sa per certo che l'esistenza implica la possibilità di provare dispiacere o soffrire (proprio perché si può scegliere di non esporsi in certi sensi). In linea di principio potrebbe esserci qualche sistema per evitarla di sana pianta la stessa possibilità di soffrire così come si può evitare a monte la possibilità di perdere una somma alla lotteria... Che non può esistere un sistema che permetta a qualcuno di continuare a vivere e fare una cosa del genere non lo sappiamo né io, né tu, né altri. E' come se si sostenesse che la malattia è insita nell'esistenza, ma com'è che poi delle malattie le si riesce a curare e si sono scoperti dei vaccini per non ammalarsi proprio? :nonso: Che non conosciamo dei vaccini o rimedi per tutto non implica mica che questi rimedi non possano esistere. |
Re: Essere gettati nel mondo
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Io posso tranquillamente dire e dirmi "non voglio una fidanzata, sto bene anche così" ma insomma, non funziona... Quote:
Andando oltre, l'autismo catatonico è un buon sistema. Ma anche il suicidio. |
Re: Essere gettati nel mondo
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Mi hai fatto pensare a questo... |
Re: Essere gettati nel mondo
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Quindi non si possono proprio fare delle scelte del genere così come le hai descritte. O c'è questo altro stato oltre ad infelice e felice o non c'è. Se c'è allora può funzionare e come far questo nel caso in cui una persona si trova davvero in questo stato qua (ragiono in modo ipotetico in base a quel che hai detto), se non c'è allora diviene vero (per chi è vivo e vegeto) che "non è possibile essere felici" risulta equivalente a "è necessario essere infelici". Per rinunciare effettivamente a vivere bisognerebbe essere morti, se si è ancora vivi e vegeti si esiste ancora e si può esistere comunque anche così, altrimenti non si dovrebbe essere ancora vivi. Quando qualcuno esclama... "Non si può vivere così!"... Bisognerebbe dirgli... Un po' di coerenza muia :mrgreen:. E' metaforica la cosa non è vera letteralmente, quel di cui ci si lamenta è che si vive male. Io poi ti faccio una domanda... Ma questa persona è esposta alla possibilità di essere infelice o no in queste situazioni in cui ha evitato di fidanzarsi o altro? Tu prima avevi detto che non si sarebbe verificata né la possibilità di essere infelice né quella di essere felice nel caso in cui il tipo misogino sceglie di non fidanzarsi, ma se ricade in uno stato in cui non funzionano le cose non può essere vero questo: se una persona non è infelice e non può diventarlo... Di cosa si dovrebbe preoccupare? :nonso: Se le cose non funzionano perché non funzionano? Qua la spiegazione poi manca. Per me la necessità della possibilità di soffrire rappresenta una conoscenza che è stata acquisita empiricamente che potrebbe essere anche falsa... E' simile alla conoscenza relativa alla necessità di morire. Tutte le persone fino ad ora sono sempre morte ma da queste osservazioni non si può dedurre in generale che sia necessario morire e che la morte è insita nell'esistenza e la definisce. E se la morte fosse una specie di malattia da cui con qualche sistema si può guarire? Lo si sa per certo che non è così? No... E allora in generale non si può far passare questa conoscenza qua come se fosse una specie di tautologia. Mi si può dire tranquillamente che sono matto, ma non cambio idea, prove definitive così convincenti non ne ho. |
Re: Essere gettati nel mondo
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Non funziona perché porta alla frustrazione, non ad un'infelicità "accolta". Il misogino non prova compassione per sé stesso, e nega il proprio soffrire. I bisogni negati non scompaiono, ma "premono" per essere soddisfatti. Questi sono i "sintomi" (fobie, sensazione di essere in gabbia, depressione, invidia, rabbia...). Il porsi fuori dal mondo, il rinunciare a "vivere" è un tentativo, una ricerca di una soluzione impossibile. Negare la possibilità di soffrire significa, se ci pensi, auspicare l'onnipotenza, nel tentativo di negare la propria finitezza. Ma la finitezza è ciò che ci permette di provare un qualche piacere. Un essere onnipotente non ha bisogni, e dunque non può essere né soddisfatto né insoddisfatto. |
Re: Essere gettati nel mondo
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E torniamo al discorso di partenza, non si vuol negare l'esistenza in generale ma solo certi aspetti di questa. E' sempre un'intenzione di negazione parziale che non è detto coinvolga ogni modo di esistere... Non si sa in quanti e quali modi si potrebbe continuare ad esistere... Io non lo so. E' vero che poi magari si fallisce, ma da questo fallimento, che è un fallimento parziale e confinato ad una situazione specifica, non si può dedurre una necessità di fallimento del tipo: queste cose non si possono negare altrimenti si nega l'esistenza stessa. Poi infelicità "accolta" non riesco ad afferrare cosa sia... :pensando:... Un'infelicità in cui non si è infelici? :nonso: Se il sentimento di infelicità lo si accoglie e non si è rivolti in modo avversativo verso di esso direi che allora il sentimento di cui si sta parlando non è di infelicità. |
Re: Essere gettati nel mondo
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Detto questo, ricambio il tuo consiglio invitandoti ad applicarlo anche su quello che scrivono gli altri. Quando ho detto che non tutti vanno in galera, infatti, "tra le righe", intendevo dire che mi pare possibile apprezzare la libertà anche senza essere stati in galera. Quindi, fuori di metafora, alla domanda "sofferenza?" che ti sei posto rispondo "no grazie, se possibile". Anche Cristo mi pare disse che l'amaro calice non gli piaceva più di tanto, e che lo avrebbe bevuto solo se proprio non era possibile evitarlo e per le finalità di una volontà superiore. E mi pare che in quanto a "crescita ed evoluzione" lui ne avesse da vendere a te e a me. |
Re: Essere gettati nel mondo
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Peccato che lo stesso Angus abbia scritto: Quote:
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Re: Essere gettati nel mondo
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Re: Essere gettati nel mondo
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Facciamo un esempio. Non è che un fiammifero prende fuoco allo sfregamento solo perché la sua capocchia contiene certi elementi chimici e il fiammifero è fatto in certi modi, prende fuoco anche perché c'è dell'aria attorno al fiammifero. Se ad un fiammifero togliamo la capocchia e lo sfreghiamo non prende più fuoco, ma non prende più fuoco anche se lo sfreghiamo sott'acqua lasciandolo così com'è. Il fiammifero continua ad essere fiammifero anche lì ma non produce più l'effetto indesiderato (o desiderato... :mrgreen:), perciò non è necessaria l'associazione (prender fuoco/fiammifero fatto così). Allo stesso modo non è detto che siano necessarie certe associazioni (sofferenza/essere fatti così), ed in casi del genere non abbiamo a che fare con vere e proprie malattie. Solo là dove queste associazioni sono necessarie in relazione all'organizzazione interna, cioé uno stato fisico del soggetto implica sofferenza in sé indipendentemente dal contesto, si potrebbero riconoscere come malattie oggettivamente definite. Quasi tutte le malattie mentali rappresentano malattie metaforiche: sono malattie che producono sofferenza a causa di effetti boomerang sociali (certi tipi di ambienti), non direi che si possono considerare perciò vere e proprie malattie. Anche avere la pelle nera poi si dovrebbe considerare una malattia qualora le persone attorno a noi sono razziste e magari sono in maggioranza bianche e noi abbiamo la pelle nera? Dovremmo convincerci a curarci a divenire un po' più bianchi come Michael Jackson in contesti del genere? E nel far questo è legittimo affermare che stiamo guarendo da una malattia e se non lo facciamo siamo a fortiori matti? :nonso: Per me no, anche se potrebbe essere preferibile per qualcuno far questo non è mica vero che si sta curando o sta guarendo da qualcosa. Se un soggetto sta male in ogni contesto possibile ed immaginabile, lasciando inalterata la sua organizzazione attuale (quando prova sofferenza) entro i limiti del suo corpo, allora abbiamo a che fare con una malattia oggettiva vera e propria, ma se non è così e si possono immaginare situazioni in cui la sofferenza non c'è e l'organizzazione che si suppone causa continua ad esserci, abbiamo a che fare con un disagio che potremmo anche non etichettare come malattia (anche se magari c'è bisogno di cure anche per questo disagio qua, nel caso in cui la persona ritenga opportuno usufruirne). Io per questo direi che non sono nemmeno vere e proprie malattie le malattie mentali, la balbuzie e cose del genere. La febbre invece si può riconoscere subito come una malattia vera e propria, dove lo si piazza lo si piazza il soggetto, lasciando inalterata la sua organizzazione interna attuale (cioé con l'agente patogeno dentro), questo continuerà a star male comunque. Viceversa se si lascia l'agente patogeno dentro, ossia l'inabilità nel parlare in certi modi, e si piazza il soggetto balbuziente altrove, in un ambito sociale in cui magari è apprezzato comunque, la sofferenza mentale che accusava il soggetto sparisce anche se quella stessa organizzazione interna è ancora in piedi. Quote:
Provano sofferenza secondo te anche le piante? In casi del genere è chiaro che non sono i limiti fisici a produrre l'effetto sofferenza nel vivente. Chi effettua queste generalizzazioni ha in mente solo pochi modi di essere ed esserci... Ma come ho detto prima ce ne sono molti, e noi non abbiamo nemmeno idea di quanti tipi di forme di vita possano esistere... In particolare non sappiamo nemmeno in quanti modi noi stessi potremmo continuare ad esistere. Poi secondo me è falso che il piacere è legato alla percezione del dolore. Esistono pochi casi di persone che non percepiscono i dolori fisici (proprio come il personaggio di Sam Raimi Darkman): vidi un documentario che raccoglieva certe testimonianze in cui questi bambini andavano in giro con caschi e protezioni varie per evitare di procurarsi danni, ma il piacere, che so, relativo al mangiare un pasto, lo avvertivano comunque. Finché non muoiono queste persone esistono e sono vive e vegete. Noi pensiamo a noi stessi e crediamo che il nostro modo di esistere attuale sia l'unico possibile ed immaginabile, soffriamo di certi dolori e crediamo che questa cosa sia insita nell'esistenza, poi però esistono controesempi che mostrano che magari non è poi così vero questo: che esistere implica la possibilità di provare dolori fisici ad esempio... Queste persone non li provano e non possono provarli dolori, ma esistono e come, e non direi che trovarsi in questi stati equivale all'esser morti. http://www.focus.it/scienza/scienze/...provano-dolore Perché non potrebbe essere vero questo anche per altri tipi di sofferenza? Siccome le piante rappresentano un controesempio (come farebbero ad essere esposte alla possibilità di provare sofferenza se non sono dotate nemmeno di sistema nervoso!? :nonso:), allora aggiungiamo che bisogna essere dotati anche di una qualche forma di coscienza. Essere coscienti e dotati di un corpo fisico limitato implica la possibilità di provare sofferenza? Ecco la domanda formulata così per me può rappresentare un problema ben definito. Io comunque dico di esser cauti, affermo di non sapere se è così o no. E' qualcosa di troppo generale e le prove sono controverse. Poi che sia giusto trovarsi all'interno di certe modalità esistenziali è un'altra questione, qua ci stiamo chiedendo solo se la possibilità della sofferenza è una necessità qualora si sia vivi e vegeti e dotati di coscienza. Secondo me in linea di principio potrebbe esser falso questo, ci potrebbero essere forme di coscienza non dotate di alcuna intenzione: come si potrebbe provare sofferenza psicologica o frustrazione se non si ha alcuna intenzione di produrre certi stati? Ci potrebbe essere ed esistere una rappresentazione del mondo ma non esserci alcuna intenzione di produrre stati specifici. Siccome il nostro essere nel mondo ha a che fare con la coscienza e si è visto che questa non è un blocco unico, si potrebbero in linea di principio disattivare delle funzioni e lasciarne attive altre. Può darsi che sia possibile lasciare in piedi la funzione "coscienza come capacità di rappresentare" ed eliminare del tutto la funzione "coscienza intenzionale" (intesa come volonta o preferenza nel produrre certi effetti e non produrne altri). Può essere che queste due funzioni non siano legate, una può esistere in un modo indipendente dall'altra, così come può esistere la percezione del piacere in modo indipendente dalla percezione del dolore. |
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