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Re: Che questa sia la chiave di tutto?
Perchè però dovrebbe cercare di negarlo?
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Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Logico che se il pensiero lo rivolgi alla scoperta degli astri nell'universo o alla fisica quantistica non ti deprimi, ma il "pensare" a cui si riveriva ThinkHappy non credo fosse quello. Ci son solo due modi per vivere "bene": - non pensare troppo ai temi esistenziali (e agire, fare cose, non fermarsi mai, pensare alla fisica quantistica o alla partita di calcio, ma non alla vita e alla morte); - forzarsi a credere ciecamente in qualcosa del tutto irreale (dio, l'amore, la reincarnazione, il buddha, la Forza, i supereroi, l'equilibrio dell'universo, la giustizia) |
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Restano le attività defatiganti e quelle di svago, però non è che possiamo passare la vita a correre o a forzarci a fare cose che normalmente non faremmo, solo per non pensare. |
Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Seppure sia difficile negare che riflettere sui temi esistenziali sia causa di inquietudine, che porti alla depressione o, in generale, ad un intenso malessere non è affatto necessario. I motivi per cui soffriamo sono altri, afferenti al dominio del pathos, e quindi dell'inconscio. Tendiamo, spesso, ad attribuire un ruolo eccessivamente importante alla componente razionale della nostra psiche. Quote:
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Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Secondo me il problema è quando si pensa troppo perchè si sta male. Non il pensare in sè;voglio dire che se il pensare troppo è una ricerca, consapevole o inconsapevole, del perchè stiamo male... ecco che rischiamo di peggiorare e di molto la situazione! |
Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Cerchi di rigirarla al meglio, ma questo meglio che riesci a trovare è la parola "inquietudine" (che non mi sembra proprio sinonimo di pace e tranquillità) Per di più se inizi ad essere "inquieto" e non riesci manco a costruirti quei "contrappesi" mimini (affetti, lavoro, riconoscimento sociale) tale inquietudine non può che sfociare, prima o poi, in un disagio psicologico di qualche tipo. Quote:
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Il problema è che non siamo liberi di impiegare il tempo come vogliamo, cioè, siamo pure liberi di rifiutare convenzioni sociali e quant'altro, ma ottenendo come risultato l'emarginazione assoluta, che di certo non è il preludio per una vita lieta o serena. Magari potessimo dare sfogo -come dici tu - alle nostre inclinazioni e ai nostri bisogni in piena libertà ed autonomia, senza scontrarci ogni volta contro il macigno rappresentato dalla volontà e dai bisogni degli altri. |
Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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quando stai male e non hai un tubo di buono o positivo a cui appigliarti è inevitabilmente più difficile sfuggire all'ovvia tragicità dell'esistenza umana. Tutto questo - ovviamente - senza tirare in ballo dei, filosofie e fedi varie, che sono delle specie di surrogati delle cose positive.. un tentativo di dare una sorta di ordine al caos nel quale - nostro malgrado - ci siamo ritrovati, perché questo universo senza senso di cui facciamo parte mette addosso MOLTA inquietudine. |
Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Io non sono sulle spalle di nessun gigante e non faccio riferimento a nessun milieu, quello che scrivo è frutto delle mie sole riflessioni (che partono però, ovviamente, dall'introiezione delle ideologie diffuse nel mondo in cui sono vissuto). Piuttosto che di morte, trovo più corretto parlare di "finitezza". E' la nostra finitezza, rapportata all'intuizione di un infinito ostile, a causare la nostra inquietudine. Il modo in cui gestiamo questo conflitto, rimuovendolo (è attuabile eccome), depotenziandone il portato emotivo (astrazione è un ottimo termine) o mistificando la nostra natura (negando la nostra finitezza, in uno dei molti modo possibili: religione, identificazione nel branco, aspirazione ad una irraggiungibile autosufficienza, ...), dipende *principalmente* da dinamiche inconsce, sì, questo è quello che credo. Quote:
La causa del malessere su cui dobbiamo focalizzarci non è la nostra vocazione alla riflessività, ma piuttosto... il mondo infernale in cui viviamo. O meglio, il mondo che percepiamo, che è spesso radicalmente peggiore di quello reale. Accettando questo, ed accettando che non possiamo cambiare la realtà se non marginalmente, piuttosto che bramare la lobotomia dobbiamo impegnarci a costruire un'isola di senso nel mare di insensatezza che ci attornia. Questo è possibile, anche se non sempre facile, così come lo è sviluppare le nostre inclinazioni e dar sfogo ai nostri bisogni senza entrare in rotta irreversibile con l'umanità (quello di farne parte non è peraltro a sua volta un bisogno?). |
Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Come ha detto qualcuno precedentemente, o si crede in qualcosa (non necessariamente in un Dio, ma anche nell'arte, nella musica, nella letteratura, nella famiglia, negli affetti...) o semplicemente si cerca di non pensare, di modo da allontanare la sensazione di vuoto e insensatezza che ne deriverebbe. |
Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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(10 car.) |
Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Per un depresso questa è una condanna a morte. |
Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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Eppure questo non dovrebbe impedirci di trovare in essa un senso soggettivo. Il punto che andrebbe compreso è che le verità fondamentali, quelle su cui si costruiscono (attraverso la ragione) tutte le altre, appartengono al dominio del pathos, dell'emozione. Il riconoscimento di un significato all'esistenza è, sono convinto, iscritto nel nostro dna. Basterebbe, dunque, accogliere i suggerimenti che provengono dal nostro inconscio e accettare i nostri desideri come degni di essere realizzati. Il problema è che, figli della nostra cultura e a causa dell'interazione con un ambiente quasi sempre ostile, molto spesso li ripudiamo anestetizzandoci, schermandoci dietro un razionalismo strumentale, quasi sempre, a raggiungere gli obiettivi indicati per noi, implicitamente o esplicitamente, dall'ambiente in cui siamo immersi (anch'esso figlio del nostro tempo): un lavoro fisso ben pagato, anche se noioso (che spesso richiede studi altrettanto noiosi), una normalità relazionale da famiglia del mulino bianco (quando va bene), che spesso preclude un reale coinvolgimento emotivo, un'idea di autosufficienza e indipendenza che, benché in concreto irrealizzabile, porta a disprezzare ogni forma di debolezza (dipendenza) in noi come negli altri, e quindi a rifiutare relazioni potenzialmente significative (en passant, è a quest'utopia/distopia che si deve la tendenza di molti a considerare l'amore un'illusione per babbalei). Quello che possiamo fare, in concreto, è... riflettere. Riconoscere che non è la vita in sé a non avere per noi senso, ma *questa* vita. Fare un lavoro di analisi su noi stessi recependo le indicazioni che il nostro incoscio ci dà attraverso l'emozionalità, cercare di capire quello che realmente desideriamo (individuare cioè il nostro senso soggettivo). E cercare di realizzarlo; non è sempre possibile e quasi mai facile, ma è davvero l'unica cosa che possiamo fare. La riflessività, dunque, per concludere, lungi dall'essere la causa del nostro malessere è piuttosto uno strumento necessario per poter sperare di affrancarcene. |
Re: Che questa sia la chiave di tutto?
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