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Re: si guarisce dal DEP?
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E causa ed effetto. Per fortuna non siamo dei burattini ma siamo dotati di una coscienza e potenzialmente di consapevolezza. E se riusciamo a divenire consapevoli che siamo stati vittime delle inconsapevolezze altrui, che a loro volta sono anch'esse delle vittime inconsapevoli, magari riusciremmo anche a capire che la colpa non é di nessuno così da smetterla di fare i carnefici con sé stessi e con gli altri. E questa la strada verso la redenzione. :figo: |
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Se io sono carnefice con l'altro perché non perdono a questo di essere inconsapevole, è proprio quando non perdono questa cosa a me stesso che sarò carnefice verso di me, non vale il contrario. Perché dovrei concedere all'altro di poter essere inconsapevole e poi diventare carnefice con me stesso rimproverandomi di non essere abbastanza comprensivo e consapevole? :nonso: Tu stai dando la colpa a me della mia sofferenza e poi dici a me di essere carnefice con me stesso in tal senso? Non mi sembra un discorso che fila tanto. Ma comunque il discorso della colpa effettivamente è inutile, tanto che mi si dica che sono carnefice di me stesso e poi io comunque non riesco a fare certe cose o adattarmi al mondo circostante, il problema si ripete uguale e resta in piedi. Non solo uno non riesce a fare certe cose, poi deve sorbirsi anche il discorso dell'altro, perché è comunque il solito discorso dell'altro questo, relativo al fatto che uno si autosabota. Solito discorso trito e ritrito che per me si può anche buttare via nel cestino. L'altro non si chiede minimamente del perché io faccio certe cose o meno. Ad esempio se non mi faccio una doccia un giorno non è che mi sto autosabotando per non piacere agli altri e puzzare, magari è perché non riesco, non ho energie, non ricavo abbastanza dal mio impegno nel tenermi pulito e così cedo perché la mia motivazione non è abbastanza forte, ma chiamare una cosa del genere autosabotaggio significa non capire una mazza per me di tutto quel che c'è dietro, e torno al discorso di partenza, le cose sono molto ma molto più intricate, complesse ed incistate in tutta l'esistenza, biologia e fisicità di una persona di quanto si voglia credere. Ad esempio quando la psicoterapeuta mi dice che "non mi voglio bene" andrebbe chiarita bene questa cosa, non volersi bene significa poi in pratica non curarsi abbastanza, ma curarsi consiste comunque nello svolgere certe azioni che hanno un costo mentale per essere messe in pratica, se questo costo io in certi momenti non ce la faccio a sostenerlo succederà sempre che mi si ripeterà che "non mi voglio bene", ma alla fine bisogna riuscire a sostenere questo costo che ora non riesco a sostenere, queste frasi non servono ad una mazza, non spiegano nulla per me. Trascuro certe cose perché non sono molto motivato, ora questa motivazione che non c'è non salta fuori da frasi come "tu non ti vuoi bene, devi iniziare a volertene", cosa c'entra questa cosa qua? Non si analizzano davvero a fondo le motivazioni così, si piazza questa motivazione fantoccio che va bene sempre ed in ogni caso alla bisogna e si lasciano le cose così come sono. |
Re: si guarisce dal DEP?
L'unica strada per la rendenzione è quella che porta al cappotto di legno 3 metri sottoterra.
I genitori sono i primi carnefici già per il fatto di averci imposto di venire al mondo. |
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perché non capiscono. almeno quelli che non hanno lo stesso problema, non riescono in nessun modo a capire. al massimo ti credono sulla fiducia. |
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Non tutti, certo. Ma l'importante è riconoscerselo. Aspettarsi il riconoscimento altrui quando per primi ci si ritiene delle merdacce , è un controsenso. Se sono una merdaccia pure gli altri devono ritenermi tale. |
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Un non vedente che riesce a fare un breve tragitto da solo, sarà soddisfatto per il proprio traguardo, ma sarà anche sempre frustrato di essere cieco. Le due cose coesistono e sono distinte. Ma non vedo perché non essere fieri di se stessi e non riconoscersi i meriti dovuti ( ammesso che ci siano, e non è scontato!). Poi che una persona che fa del proprio meglio con quello che ha, non sia stimata a livello sociale, non è sempre vero: in generale, siamo una società "abilista" che tende a misurare secondo canoni e modelli standard, e che guarda al risultato più che al percorso; ma non tutti i terrestri sono così. La sfida è trovarle, le persone in grado di dare valore a ciò che conta. |
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Non è che se uno decide di rifiutare delle cure perché gli creano un tale disagio che il gioco non vale più la candela non si vuole bene, non c'entra nulla il voler bene qualcuno o qualcosa con cose del genere, qua si ha a che fare sempre con qualcosa di pratico che non si riesce a sostenere, che poi possa esserci una sorta di sentimento per me è anche secondario. Non è che un medico o un infermiere per curare bene qualcuno deve volergli bene, cosa c'entra questa cosa? :nonso: I familiari di un tizio possono volergli bene ma essere del tutto incapaci di curarlo sia a livello motivazionale che effettivo, le due cose non c'entrano necessariamente l'una con l'altra, questa cosa non è difficile da capire. E la stessa cosa vale nei confronti di noi stessi. Voler bene qualcuno per me è un sentimento di benevolenza, che poi questo possa essere sostenuto dalla stessa persona da azioni effettive benevole e di cura è tutt'altro paio di maniche. Possono esserci azioni benevole in assenza di un sentimento del genere, e l'assenza di azioni del genere anche quando questo sentimento è forte. Inoltre non sono nemmeno sicuro se abbia senso parlare di cose del genere in modo riflessivo (che esiste un'espressione linguistica non assicura mica che abbia senso davvero quel costrutto), il nostro bene non è che dobbiamo volerlo, in genere lo sentiamo in prima persona insieme al male. Anche il masochista nel martoriarsi non è che cerca il proprio male, sotto certi aspetti si danneggia ma sotto altri va verso il proprio bene. Per questo io non direi che non si vuole bene, fa certe cose spinto proprio dalla ricerca di piacere, e il piacere è comunque un bene che si dà la persona. Poi è ovvio che se non faccio qualcosa è perché o non sono motivato a farla o non la so fare proprio o un po' e un po', ma si sgombri il campo da queste espressioni "non ti vuoi bene" per convincermi a prendermi cura in certi modi della mia salute e persona, perché alla fine sono cose che devo fare sempre io e costano fatica direttamente a me, quindi mi provocano un disagio, e se evito un disagio e ne provoco un altro a me stesso, non è che "non mi voglio bene", mi trovo solo a dover scegliere tra due disagi. Non mi voglio bene sia quando "mi prendo cura di me fisicamente e socialmente", che quando "non mi prendo cura di me fisicamente e socialmente", nel primo caso perché mi autoschiavizzo e mi costringo a fare una cosa che faccio malvolentieri (non è una cosa piacevole e la faccio per uno scopo, ma siccome quel che ottengo è piuttosto magro spesso non mi viene voglia di farlo), nell'altro perché provoco un piccolo danno sociale, in entrambi i casi faccio del male a me stesso. Una persona che mangia cibi saporiti non è che fa solo del male a sé stessa, visto che magari le piacciono quando li mangia fa anche del bene a se stessa, solo che questo aspetto qua è come se sparisse dai cervelli di certe persone, rimane solo il secondo pezzo e pare poi che a livello motivazionale sia evidentissimo che bisogna scivolare da quella parte altrimenti si ha la prova provata che non ci si vuol bene, ma cosa c'entra? Magari proprio perché uno si vuole bene non rinuncia ad un piacere che poi però provoca danni. Se esistono poi un mucchio di mestieri relativi alla cura della persona mi sembra evidente che non c'entra nulla il fatto di fare certe cose in prima persona col volersi o non volersi bene. Se un tizio ha molti soldi e ne paga un altro per radersi, altrimenti non lo farebbe... Si vuol bene o non si vuole bene? E poi l'altro per rasarlo adeguatamente deve volergli bene? :nonso: Con la psicoterapeuta ho provato ad affrontare questo discorso, ma sono già convinto di aver ragione, qua davvero non cerco conferme o disconferme, ho fatto solo 2 + 2 = 4, ma questa cosa ormai in questi ambienti è talmente radicata che qualsiasi argomento non riuscirebbe a scardinarla, quando affronto la cosa si altera e poi mi altero anche io, di conseguenza preferisco occuparmi di altro, visto che alla fine so che non se ne convincerà ed io già sono convinto che è scorretto parlare di "voler bene" confondendo questa cosa (in genere un sentimento, o al limite un certo tipo di relazione con altri) con l'essere capaci e volenterosi nello gestire le cure fisiche, sociali o di altro tipo. Insomma è anche inutile parlarne visto che le posizioni resteranno invariate. Posso fare diecimila esempi in cui queste cose non c'entrano e questo modo di esprimersi è confuso e retorico, cerca solo di provocare una reazione, reazione che dentro di me non scatta nemmeno perché non sento affatto come problematica questa cosa, per me è una cosa praticamente irrilevante. Faccio un esempio grossolano: se io mi vesto una merda e non riesco a curare bene l'aspetto con le mie risorse mentali ed economiche sommate alle capacità di cui dispongo, non è che devo iniziare a volermi bene e si aggiustano le cose, qua devo capire come cazzo fare per gestire la cosa in maniera tale che per me risulti soddisfacente nell'insieme. |
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Una volta lessi che i disturbi di personalità non si possono curare con gli psicofarmaci ma solo con la psicoterapia, ma non so quanto è attendibile questa affermazione. Magari se hai situazioni che ti creano ansia un farmaco che la riduca potrebbe esserti utile. Ma prima valuta quanto è forte quest'ansia, se è gestibile o meno, etc. Insomma se è realmente necessario l'aiuto di uno psichiatra. |
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Se si pensa che chi è debole "difettoso" eccetera deve morire, siamo all'eugenetica spiccia.
Un conto è stare male per le sofferenze della propria condizione e per come si viene trattati; un conto è pensare che abbiano ragione. Se hanno ragione loro, se per te chi ha problemi non è degno di vivere quanto uno più fortunato, allora non sei meglio di loro. |
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Il che non vuol dire per forza che chi è debole e difettoso deve morire (anche se io sono tra questi e lo vorrei con tutte le mie forze). Un dei tanti esempi può essere anche la possibilità di trattamento delle malattie ereditarie attraverso l'ingegneria genetica. Non vuol dire neanche dare ragione a loro. Se poi non sono meglio di loro o sono addirittura peggio (sono consapevole di esserlo), pazienza, non mi importa proprio niente. |
Re: si guarisce dal DEP?
Per me non deve morire nessuno, stavo parlando di me stesso e mi piacerebbe fosse ben chiaro.
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La tua autostima e blablabla sono tutti problemi che ti fai tu, fini a se stessi. Dipende tutto da come prendi la cosa. Ho conosciuto persone che erano dei casi umani, ma non si facevano tutti questi problemi. E raggiungevano risultati che io non ho mai raggiunto. |
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Ma riflettici allora: perché gli altri svantaggiati meritano di vivere e tu no? |
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In concreto dico. Cos'è questo valore, come si misura? In genere una persona si deprime perché non può accedere a certe risorse, o può accedervi facendo una fatica bestiale, che poi a parole altri le dicano che ha lo stesso valore che vuoi che gliene freghi. Ho lo stesso valore del tizio tal dei tali, sì poi in caso di carestie o cose del genere chi sarà la persona più facilmente sacrificabile, io o il tal dei tali? :interrogativo: A me infastidiscono proprio questi discorsi tanto scollati dalla realtà concreta, abbiamo tutti lo stesso valore, sì certo, e come mai veniamo poi gerarchizzati socialmente? Come si spiega poi questa cosa se abbiamo tutti lo stesso valore per gli altri? E' ovvio che per me stesso io sono la persona più importante e che se potessi sceglierei volentieri di essere servito e riverito come una divinità, ma in concreto ci sono persone trattate come semidei e persone trattate come sacchi dell'immondizia, io questo vedo, e quando mi dicono che ogni persona è importante penso che sia una delle solite frasi retoriche da pensiero positivo, questo può essere un ideale verso cui tendere ma non corrisponde affatto alla realtà sociale che ci circonda e nella quale siamo immeresi. Quote:
Bisogna osservare se statisticamente i casi umani riescono a raggiungere gli stessi risultati di altri, secondo me non è vero a livello statistico che i casi umani poi riescono come gli altri, è falso anche questo. Il non farsi problemi poi non si capisce bene se è un effetto del successo o la causa dell'insuccesso. Se un tizio è ammalato e ha la tosse, magari qualcuno potrebbe pensare che è la tosse a causare la malattia, e si potrebbe pensare (erroneamente) che se un tizio si sforzasse di non tossire magari guarirebbe. Ma magari il fatto che il primo non sia malato e non sviluppa questo sintomo dipende da altro, non è la tosse a causare il disturbo, anche se poi si osserverà che c'è insieme al disturbo. Stesso discorso per me potrebbe valere per la sicurezza, si osserva una persona sicura raggiungere certi risultati e si suppone che sia la sicurezza a produrli, mentre magari potrebbe essere vero anche il contrario, che sono i risultati raggiunti e l'accumulo di pochi fallimenti circoscritti lungo un percorso che producono questa sicurezza in un certo campo e la sicurezza è solo un sintomo simile alla tosse, la sviluppano persone che hanno avuto successo in certi campi riuscendo a sostenere le risorse da investire. A me sembra più vera questa impostazione qua perché tante persone cercano di avere successo, la parte che riesce diventa sempre più sicura in quell'ambito, quelli che falliscono poi diventano insicuri, però all'inizio non è detto che ci fosse una differenza di atteggiamento, è il percorso che poi può modificarlo questo atteggiamento. Se si può rendere un ratto che sta bene depresso tramite un esperimento, diventa chiaro che non è poi la depressione a causare l'insuccesso, può essere anche vero il contrario, che è l'insuccesso che può produrre stati depressivi. Poi se c'è un sistema economicamente sostenibile che dovrebbe portare i casi umani a riuscire come altri, lo si applichi e si dimostri che funziona, a me pare che non lo si possiede questo sistema, altrimenti si sarebbero risolti un mucchio di problemi sociali. Se un sistema funziona, funziona e basta, non si può poi cercare la solita scappatoia del "non vogliono", se "non vogliono" anche questa cosa fa parte del problema e il sistema dovrebbe risolverla. Anche qua nel forum è chiaro che non si è insicuri in qualsiasi campo, ci sono persone che lavorano, laureati, quindi non è che si è insicuri a 360 gradi, dipende dal campo e secondo me la cosa si spiega col fatto che in certi ambiti il percorso lo si è riuscito a sostenere, in altri si sono accumulati troppi fallimenti oppure il miglioramento è stato troppo lento. |
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Le uniche due cose che ho raggiunto nella mia vita e che posso perlomeno paragonarle un minimo agli altri sono il diploma di maturità e il lavoro.
Per il resto lasciamo perdere, perché gli altri che non hanno i problemi che ho io hanno raggiunto tutta una serie di cose che io non raggiungerò mai:relazioni, moglie, figli, amici, esperienze eccetera eccetera. |
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l'odio per me stesso. io non voglio essere come sono. anche perché essere come sono è molto doloroso. e sono certo di non poter cambiare, per questo vorrei morire. |
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E chi sono "gli altri"? La media? E poi fai decidere sul da farsi ai risultati statistici che "in media" ti dicono che i casi umani non ottengono le stesse cose degli "altri"? E come fai a capire se rientri in quella media oppure no? Per non sbagliare ti assegni i risultati peggiori? E blablabla...blabla...blablabla...bla. E' tutto un discorso senza senso razionalizzato all'inverosimile. Ci sono troppe variabili in gioco: passato, contesto ambientale, sociale, economico, etc. E alla fine dei conti tutto dipende molto anche da come tu prendi la tua situazione. Non è facile per nessuno, soprattutto qui. Però può cercare di fare quel che si può. Non preoccuparti che alla fine schiattiamo tutti. Ma proprio tutti. |
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E in ogni caso io sarei tra quegli individui deboli e difettosi. |
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Può essere che sbaglio, ma eugenetica era forse quella messa in pratica dal medico nazista karl Brandt che fu poi processato a Norimberga nel famoso processo ai dottori e poi impiccato?
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Io preferisco riconoscermi che non sono una brutta persona, che il mio valore non è inferiore, che ho dei meriti. Perché è così. Non si sta meglio, quindi magari non serve a niente acquisire questa consapevolezza e smettere consciamente di fare schifo a se stessi, ma io sento di doverlo a me stessa e non ne posso fare a meno. E poi penso che a qualcuno possa essere utile. |
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Comunque molte donne applicano già l'eugenetica senza neanche rendersene conto. |
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Se su 200 persone i casi umani sono 50 e tra queste 50, 10 sono diplomate, mentre sulle restanti 150, 50 sono diplomate già si ha un parametro, 1/3 dei casi restanti si diploma mentre solo 1/5 dei casi umani arriva al diploma. Non capisco che difficoltà ci sarebbero nel valutare cose del genere. Sto sparando numeri a testa di cavolo, è un esempio. C'è poi una correlazione tra valore sociale e livello di istruzione, perché poi magari si può osservare che le persone più istruite dispongono di più mezzi (economici e non) rispetto a quelle non istruite. Quote:
Ma secondo te se fossimo stati tutti allo stesso livello perché mai poi si è deciso di dare pensioni o un certo sostegno economico a certi tipi persone? Anche quelle disturbate mentalmente? Così per sfizio? :nonso: Se per valore si intende una cosa praticamente scollata dal resto, sì, va bene, abbiamo tutti lo stesso valore, ma alla fine è un parametro praticamente insignificante in senso concreto. Se per valore, si intende proprio il valore sociale che ci concede o accorda la comunità nella quale siamo inseriti, non è affatto vero che tutti hanno lo stesso valore, ossia che tutti vengono trattati in modo equo. Questo non capita nemmeno in una famiglia, figuriamoci se la cosa è vera nella comunità allargata. Direi che può essere un ideale verso cui cercare di tendere un mondo in cui hanno tutti lo stesso valore, ma non una realtà, un qualcosa che c è già. |
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Lo dico perché più di una volta ho letto di persone che dicono che se hai il lavoro riesci ad avere una vita sociale e di relazioni. Nel mio caso posso dire che non è così. Avere il lavoro non mi ha mai fatto risolvere il fatto di essere completamente fuori dal mondo, fuori da ogni discorso di relazioni, amici, vita sociale. Sul lavoro stesso vengo visto come un asociale strano sfigato, anche se direttamente in faccia non lo dicono. Non vado più da 2 anni in mensa con gli altri, me ne sto sempre per i fatti miei, non parlo con nessuno a meno di cause di forza maggiore. Per quanto riguarda me lo confermo. Avere il lavoro non mi ha mai risolto nulla dal punto di vista della fobia, dell'isolamento sociale. Nulla, assolutamente nulla. |
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Io ho scritto quello che davvero penso: lui ha valore esattamente come qualsiasi altra persona, non si deve sminuire solo perchè soffre di un disturbo psichico (cosa che sicuramente non è nemmeno da attribuire a lui, ma al contesto in cui è cresciuto, educazione, modelli di riferimento, traumi, genetica e tante altre variabili). Volevo solo rassicurare Gendo e dirgli che se vuole può affrontare il suo problema. Poi che ci siano delle ingiustizie nella vita è innegabile. Ti lascio alle tue elucubrazioni. |
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anche se a volte sono così feroce verso me stesso, quando divento razionale la vedo allo stesso modo. per la precisione, il valore di ognuno è dato dal semplice fatto che esiste, ed è giusto che se lo attribuisca senza delegare a nessuno questo compito. poi sì, c'è la realtà del sociale, ma la società è un mostro in costante cambiamento per il quale ciò che vale oggi domani sarà il contrario, io non affiderei questa importanza a questo "mostro" che può anche impedirci di vivere, ma non può cambiare le nostre idee. perlomeno non dobbiamo permetterglielo. non facilmente. |
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sono abbastanza immutabili, ci sbatto il grugno da quando avevo 16 anni, mo ne ho 32. boh. se non ci fossero altre persone legate a me tirerei volentieri una riga sulla mia esistenza. |
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Poi io non ho menzionato casi specifici o la tua esistenza, sei tu che vuoi leggere in questo modo quel che ho scritto. Se il senso che dai tu a "valore" è un altro poi non dovresti essere toccato in minima parte da quel che ho scritto, io ho cercato di chiarire cosa intendevo. Io non so niente di Gendo, non mi sentirei di rassicurarlo subito, visto che non lo conosco, non so in che situazione sta, che aspettative ha. Proprio perché non voglio sparare sentenze su situazioni specifiche che non conosco non direi come te che "se vuole può affrontare il suo problema" che in pratica significa "se vuole può risolverlo", poi se si vuol dire "se vuole può provare a risolverlo" non c'è nemmeno bisogno di dirlo, è una sorta di tautologia, cosa impedirebbe di provare a risolverlo anche quando le possibilità di risolverlo sono ignote o scarse? Questa cosa si può fare, chi lo nega. E' vero l'esatto contrario, non sono io a sparare sentenze riguardo a situazioni che non conosco. Se si vuole fare una stima generale della cosa pare sia vero che i disturbi di personalità siano i più ostici dal punto di vista clinico. |
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Ad esempio quando ti dicono "se ti vuoi bene impara a dire di no" poi non si sa perché in certe situazioni non vale piú la cosa e se un ragazzino si rifiuta di andare a scuola poi qua non è piú valida la cosa. Se dici di no ad una cura che secondo loro è buona e tu non sei affatto d accordo qua poi le cose cambiano e dire di no significa non volersi bene. Mi infastidiscono molto questi discorsi stereotipati che girano intorno all' espressione "volersi bene" forse farebbero bene a non usarla proprio, ma ci cadono sempre nella stessa retorica e io ci rinuncio a convincerli. In concreto loro soltanto ci sono a disposizione per parlare con qualcuno di quello che mi va (cose brutte, disturbanti e noiose che altri non ascolterebbero volentieri) e quindi mi adatto e cerco di non fare scivolare piú la conversazione in questi buchi neri di senso. Non contestualizzano bene le cose, se dici di no al lavorare ad esempio qua poi il "no" lo si contestualizza e se uno non ha mezzi per vivere bene poi non diventa cosí chiaro che magari si è capacissimi di farlo, di dire di no ma che questo no potrebbe avere anche ripercussioni negative che si vorrebbero evitare per questo poi si è forzati dalle circostanze a dire di sí anche a un lavoro di merda che toglie la salute fisica e mentale. Le cose sono piú complesse rispetto a questi discorsi stereotipati e superficiali. Mi sembra che è con tutta la categoria che vengono a crearsi queste cose qua, ma sono le uniche persone un po' piú accorte con cui poter parlare, io sento il bisogno di fare questa cosa e li uso, ma se si pensa che queste loro "tecniche" o "idee" siano utili, per me non lo sono, sarò un caso a parte, non lo so. Io non voglio dirlo apertamente ma a me sembrano proprio cretini nel non afferrare certe cose. Se io sto messo male in una situazione è ovvio che il mio dire sì è forzato, se uno mi punta una pistola e mi chiede i soldi sarei capacissimo di dire di no, il problema non è questo, il vero problema per me è che se mi comporto così rischio di essere impallinato non essendo capace di spaccargli la testa, vorrei evitare l'impallinamento e trovandomi in quella situazione dico di sì, ma è un sì forzato, non lo faccio volentieri. Il volersi o non volersi bene in dinamiche del genere per me non c'entra una cippa, al più può essere vero che io mi autovaluto male e magari sono capace di spaccare la testa al rapinatore e quindi potrei dire di no senza rischiare di essere impallinato, ma di nuovo non c'entra nulla col volersi o non volersi bene. La possibilità e capacità di negozioare all'interno di un certo contesto sociale dipende da un mucchio di fattori, direi che quello di volersi bene o non bene non c'entra nulla. Se si ha il potere di negoziare e il rifiuto non produrrà gli effetti nefasti si dirà no facilmente anche al rapinatore, ma dire di no e poi essere impallinati non capisco davvero cosa dovrebbe dimostrare alla fine, io non mi sentirei forte e abile così, non è per questo che mi sento debole, se vengo impallinato dicendo no, resto uguale, non mi sentirei più forte. Non si condivide nemmeno nello stesso senso il significato di forza e potere. Per me avere potere significa controllare le conseguenze oggettive non solo il proprio comportamento, il potere di dire no lo possiedo ma sono impotente nell accedere alla situazione che desidero: evitare l impallinamento e salvare i soldi. Loro si concentrano sul no o il mio rifiuto, io mi concentrerei sul perché non dico no in situazioni del genere. Non afferro come il non dire di no da solo risolverebbe la situazione se l'ho valutata correttamente. |
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Nella vita ci si può reinventare millemila volte, e in fondo è quello che fanno tutti: adattarsi.Aggiustare l'asticella. Lo diceva anche Darwin. Pure io ho cose inconscie che non cambiano mai, ma la mia asticella del "come dovrei essere-come dovrebbero andare le cose" ormai tocca terra. E sono ancora qui. Non sono felice, ma non ho rimpianti né sensi di colpa. Non sono più brava di altri, é che non ho mai avuto alternative: ad arrendermi non sono mai stata capace, non sono fatta per la rassegnazione. |
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