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Masterplan92 05-04-2015 05:45

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da syd_77 (Messaggio 1486896)
dormire è una fatica, una sfida continua, svegliarsi ancora di più.

Bellissima frase..provo le stesse sensazioni

Mr.Ripley 05-04-2015 16:27

Re: La fatica di vivere
 
Eccomi anch'io mi ritrovo in quasi tutti i sintomi che hai descritto e sul fatto che non è facile cambiare, e non è detto che facendolo si risolvono tutti i nostri problemi.
Comunque quel che è certo e che arriva un punto in cui non si puo' continuare a vivere cosi prima o poi, prima cerchiamo di prendere in mano la nostra vita provando a migliorare le cose pur piano piano meglio è.

Franz86 05-04-2015 23:01

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da Allocco (Messaggio 1487542)
...

Dipende sempre tutto da quanto è radicata la condizione depressiva: l' espressione "batteria scarica" continua a sembrarmi eccellente, non riesco proprio a impormi di ridere oltre un certo limite, personalmente mi verrebbe fuori una risata sarcastica nei miei stessi confronti, per via di quello che sto tentando di fare.
Posso impormi di fare una cosa, ma non di provarci gusto nel farla, ed il nocciolo del problema è qui.

A mio avviso la differenza con il metodo pavloviano è che in questo caso ci si ritroverebbe ad impersonare sia il cane sia lo scienziato, e questo sdoppiamento con ruoli polarizzati è quanto di più lontano ci possa essere dall' obiettivo da raggiungere, ovvero una personalità più "lineare".

Se io sono depresso, ciò significa che parecchie cose nella mia vita non funzionano: non è imponendomi di fare cose senza un criterio sensato che supero questo dato di fatto, anzi, la depressione potrebbe acuirsi proprio perché una parte di noi potrebbe spingere per imporre di prendere più in considerazione il problema ( le prime soluzioni che vengono in mente di solito sono sbagliate, altrimenti sarebbe troppo facile uscirne ... ).
Secondo me non basta "voler cambiare", è prioritario capire cosa cambiare e come cambiare, altrimenti la sola volontà di uscire dalla condizione di sofferenza, se non accompagnata da provvedimenti utili e concreti, può ritorcersi contro se stessa e generare frustrazione, senso di impotenza e quindi addirittura ulteriore malessere.

A mio avviso l' essenza della depressione è proprio data dall' incapacità di uscire dallo stadio del "sto male, voglio cambiare, ma non so cosa, come e perché => è impossibile stare meglio", che cronicizza la sofferenza in un piatto grigiore quotidiano apparentemente senza via di scampo.
E tra l' altro si tratta di una sofferenza "bastarda", perché è comunque imbrigliata dall' istinto di sopravvivenza: la depressione arriva al massimo di sofferenza tollerabile quotidianamente, ma a meno che qualcosa non scardini lo schema non diventa disperazione, rimane un qualcosa di tollerabile, che risucchia la gran parte delle energie personali, però comunque tollerabile. E questo è un ulteriore ostacolo al cambiamento.

E' anche vero che un' autentica forte volontà di cambiamento potrebbe saturare il meccanismo di contenimento della sofferenza ed ottenere dei risultati... ma una volontà così forte non può che nascere da un' obiettivo chiaro e che si percepisce come raggiungibile, il che equivale a dire che la luce in fondo al tunnel già la si vede.

p.s.: secondo me uscire dalla depressione è un po' diverso dal superare tremori, balbetti e altre problematiche: per loro uno motivarsi dicendo "le devo superare per poter fare x", la depressione invece è proprio data dall' incapacità a motivarsi davvero ( "la devo superare per ... no, ma tanto non ce la farò mai, è inutile". )... capirne l' origine precisa è quindi proprio essenziale.

p.s. : ho scritto un po' quello che mi veniva in mente.

Angus 05-04-2015 23:14

Re: La fatica di vivere
 
C'è anche da dire che una situazione negativa, a meno che non lo sia estremamente, in sé può generare tristezza, ma non depressione. Questa è indice di qualcosa che noi sbagliamo nel rapportarci emotivamente alle circostanze e a noi stessi. Dunque c'è senz'altro qualcosa da cambiare, ma è interno, non esterno. Il che non toglie che cambiando le circostanze esterne le cose possano migliorare, ma i problemi alla radice, da essi indipendenti, rimangono.

claire 05-04-2015 23:52

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da Angus (Messaggio 1487996)
C'è anche da dire che una situazione negativa, a meno che non lo sia estremamente, in sé può generare tristezza, ma non depressione. Questa è indice di qualcosa che noi sbagliamo nel rapportarci emotivamente alle circostanze e a noi stessi. Dunque c'è senz'altro qualcosa da cambiare, ma è interno, non esterno. Il che non toglie che cambiando le circostanze esterne le cose possano migliorare, ma i problemi alla radice, da essi indipendenti, rimangono.

Vero.
Molte volte invece si tende ad attribuire la colpa a una situazione esterna.Ci si fissa su un "problema" e si pensa che risolto quello, risolto tutto. Pure io ho queste fisse.Non se n'esce

dentromeashita 06-04-2015 00:19

Re: La fatica di vivere
 
Oooh Ma Oooh Pa
Must the show go on
Oooh Pa take me home
Oooh Ma let me go
There must be some mistake
I didn't mean to let them
Take away my soul
Am I too old is it too late
Oooh Ma Oooh Pa
Where has the feeling gone?
Oooh Ma Oooh Pa
Will I remember the songs?
Oooooh aah the show must go on.

per come la vedo io l'essere non richiede sforzi,è naturale,è il dover essere che richiede sforzi innaturali,e quindi diventa tutto piu faticoso,vivere non sarebbe di per se faticoso,è il dover vivere ad un certo modo che lo rende tale.credo che siamo tutti esperti qui del settore e altrettanto incapaci di liberarcene

rosadiserra 06-04-2015 04:22

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da Angus (Messaggio 1487996)
C'è anche da dire che una situazione negativa, a meno che non lo sia estremamente, in sé può generare tristezza, ma non depressione. Questa è indice di qualcosa che noi sbagliamo nel rapportarci emotivamente alle circostanze e a noi stessi. Dunque c'è senz'altro qualcosa da cambiare, ma è interno, non esterno. Il che non toglie che cambiando le circostanze esterne le cose possano migliorare, ma i problemi alla radice, da essi indipendenti, rimangono.

Concordo su tutto poi aggiungiamoci che spesso il problema da psicologico diventa psicosomatico da psicosomatico diviene anche patologia fisica aggiuntiva all'originale problema psicologico...Chi, sopra i trenta, non soffre almeno di gastrite o colite spastica o qualche altro simpatico danno collaterale batta un colpo! Oppure si parte già anche con qualche neurone che si manda a fankiul vicendevolmente... Ed ecco una grossa matassa da dipanare ma, una volta dipanata, il filo rimarrà comunque irrimediabilmente ritorto, troppo sottile in alcuni punti, troppo grezzo in altri, quindi il tessuto che se ne otterrà, con oltretutto immensa difficoltà di tessitura, sarà comunque pieno di buchi che andranno rammendati... […] Ed è così lunga la strada e così ripida la salita... Così faticosa...

Quote:

Originariamente inviata da claire (Messaggio 1488030)
Vero.
Molte volte invece si tende ad attribuire la colpa a una situazione esterna.Ci si fissa su un "problema" e si pensa che risolto quello, risolto tutto. Pure io ho queste fisse.Non se n'esce

Alcuni anche quando prendono coscienza dell'origine "interna" delle proprie sventure, che ci sia di mezzo la biochimica o meccanismi inconsci poco importa, non ne escono ugualmente... Forse si realizza che ci si può al massimo convivere alla meno peggio.
Infatti... Che fatica sopravvivere... Ed a che scopo poi tutta questa fatica?
Io spesso proprio perché depressa non "sento" un perché, so che non "sento"perché sono depressa, perché ancora predisposta a reagire in maniera non produttiva da meccanismi disfunzionali, ma questa consapevolezza mi porta solo a continuare a trascinarmi, non a vivere.

Angus 06-04-2015 04:43

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da rds (Messaggio 1488120)

Alcuni anche quando prendono coscienza dell'origine "interna" delle proprie sventure, che ci sia di mezzo la biochimica o meccanismi inconsci poco importa, non ne escono ugualmente... Forse si realizza che ci si può al massimo convivere alla meno peggio.
Infatti... Che fatica sopravvivere... Ed a che scopo poi tutta questa fatica?
Io spesso proprio perché depressa non "sento" un perché, so che non "sento"perché sono depressa, perché ancora predisposta a reagire in maniera non produttiva da meccanismi disfunzionali, ma questa consapevolezza mi porta solo a continuare a trascinarmi, non a vivere.

Ti capisco bene. E' che ci portiamo dentro codici normativi terrificanti, che applichiamo nei confronti altrui (arrabbiandoci) e nostri (svalutandoci e autopunendoci). E il tempo che abbiamo lo passiamo immersi in un conflitto costante e sommerso, in stato di apnea esistenziale. Fare cose naturalmente non ci salva, perché quello che importa è il modo in cui le facciamo.

Riguardo l'inutilità relativa del prendere coscienza... Dipende anche, va detto, dalla validità di ciò di cui crediamo di prendere coscienza.

rosadiserra 06-04-2015 05:03

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da Angus (Messaggio 1488122)
Ti capisco bene. E' che ci portiamo dentro codici normativi terrificanti, che applichiamo nei confronti altrui (arrabbiandoci) e nostri (svalutandoci e autopunendoci). E il tempo che abbiamo lo passiamo immersi in un conflitto costante e sommerso, in stato di apnea esistenziale. Fare cose naturalmente non ci salva, perché quello che importa è il modo in cui le facciamo.

Riguardo l'inutilità relativa del prendere coscienza... Dipende anche, va detto, validità di ciò di cui crediamo di prendere coscienza.

Non mi sono spiegata temo, la presa di coscienza è basilare, senza, neppure si può iniziare il percorso ma è solo la base di partenza appunto... Ogni soggetto è diverso non c'è una soluzione idonea per tutti né un punto di arrivo, epifanie sì...

tersite 06-04-2015 09:57

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da Angus (Messaggio 1488122)
Ti capisco bene. E' che ci portiamo dentro codici normativi terrificanti, che applichiamo nei confronti altrui (arrabbiandoci) e nostri (svalutandoci e autopunendoci). E il tempo che abbiamo lo passiamo immersi in un conflitto costante e sommerso, in stato di apnea esistenziale. Fare cose naturalmente non ci salva, perché quello che importa è il modo in cui le facciamo.

Riguardo l'inutilità relativa del prendere coscienza... Dipende anche, va detto, dalla validità di ciò di cui crediamo di prendere coscienza.

non c'ho capito niente ma l'hai detto molto bene diciamo :mrgreen:

SUBurbe 06-04-2015 10:21

Re: La fatica di vivere
 
Faccio fatica perchè faccio le cose solo quando qualcuno me le impone.
O perchè provo a impormele da sola, per non ritrovarmi di nuovo alla deriva più totale.
Ma è faticoso provare ad esserci.
Fra l'altro con risultati pietosi.

Keith 06-04-2015 10:47

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da tersite (Messaggio 1487558)
E' depressione ...

può darsi, anche se spero di no..non avrei ne tempo ne voglia di curarla..sarebbe un'altra cosa in più da dover fare..
Quote:

Originariamente inviata da r (Messaggio 1488120)
Che fatica sopravvivere... Ed a che scopo poi tutta questa fatica?

questo è meglio non chiederselo, tanto non c'è risposta :mannaggia:

Quote:

Originariamente inviata da SUBurbe (Messaggio 1488160)
Ma è faticoso provare ad esserci.
Fra l'altro con risultati pietosi.

infatti, si fa tanta fatica per cercare di fare le cose e poi queste hanno anche risultati altalenanti.

Che palle, intere giornate a svolgere doveri: lavoro, cura della casa, sport (perché devo farlo x salute.. almeno fa stare bene).

Quei pochi giorni liberi ti rendi conto che non hai amici, li hai allontanati tu e anche loro si sono voluti allontanare. Hai una ragazza che ti fa stare bene ma è lontana e ci si può vedere poco.

Non è la vita che voglio, non me la sento mia, come un vestito che hai comprato perché c'era solo quello ma ti sta scomodo.

cancellato11905 06-04-2015 11:21

Re: La fatica di vivere
 
Agnuno ha i suoi stress .Se dovessi fare una lista non finirebbe più .

Franz86 06-04-2015 15:01

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da Angus (Messaggio 1487996)
C'è anche da dire che una situazione negativa, a meno che non lo sia estremamente, in sé può generare tristezza, ma non depressione. Questa è indice di qualcosa che noi sbagliamo nel rapportarci emotivamente alle circostanze e a noi stessi. Dunque c'è senz'altro qualcosa da cambiare, ma è interno, non esterno. Il che non toglie che cambiando le circostanze esterne le cose possano migliorare, ma i problemi alla radice, da essi indipendenti, rimangono.

Se io sono arcistufo di mangiare tutti i santi giorni riso in bianco, posso dirmi che il problema è in me, dato che c'è gente che muore di fame etc. , ed impormi una disciplina dell' apprezzamento della mia scodella quotidiana, oppure variare regolarmente pietanza.

Possono funzionare entrambi i metodi, e sicuramente il primo è il più profondo, ma è anche il più impegnativo: a mio avviso, sopravvalutarsi non è una tattica vincente quando si è depressi.

IO&EVELYN 06-04-2015 15:39

Re: La fatica di vivere
 
beh che fatica sopravvivere..... uno scopo non c'è in realtà... siamo qui per caso e bon...

però, io dico che lo ''scopo'' sia star meglio il piu possibile, divertirsi e amare le persone a noi care. il resto... non conta.

Angus 06-04-2015 17:37

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da Franz86 (Messaggio 1488307)
Se io sono arcistufo di mangiare tutti i santi giorni riso in bianco, posso dirmi che il problema è in me, dato che c'è gente che muore di fame etc. , ed impormi una disciplina dell' apprezzamento della mia scodella quotidiana, oppure variare regolarmente pietanza.

Possono funzionare entrambi i metodi, e sicuramente il primo è il più profondo, ma è anche il più impegnativo: a mio avviso, sopravvalutarsi non è una tattica vincente quando si è depressi.

Il malessere raramente dipende dal riso in bianco, tant'è che ci sono non poche persone di successo che cambiano continuamente pietanza (il sesso, il denaro, l'amore, il cibo, le macchine, la spiritualità, ecc.) e continuano ad essere infelici. Non che siano carenze del tutto insignificanti (a parte le macchine :mrgreen:), ma è evidente che non sono il problema.
Il secondo metodo (cambiare cucina) è un palliativo, seppure.

Allocco 07-04-2015 11:45

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da Franz86 (Messaggio 1488307)
Se io sono arcistufo di mangiare tutti i santi giorni riso in bianco, posso dirmi che il problema è in me, dato che c'è gente che muore di fame etc. , ed impormi una disciplina dell' apprezzamento della mia scodella quotidiana, oppure variare regolarmente pietanza.

Possono funzionare entrambi i metodi, e sicuramente il primo è il più profondo, ma è anche il più impegnativo: a mio avviso, sopravvalutarsi non è una tattica vincente quando si è depressi.

Non sono metodi mutualmente esclusivi, bisogna dire. Anzi la cosa migliore sarebbe combinarli in modo da rafforzarli vicendevolmente.

Il primo da solo non funziona formulato così, se sei stufo del riso non puoi portare motivazione dall'esterno (gente povera ecc..) perché per te il tuo problema è impellente e quindi maggiore rispetto a quelli esterni (nel 99% dei casi almeno).
Nè puoi dirti "a me il riso in bianco piace", perché semplicemente sei stufo.

Il secondo da solo o non l'ho capito, o non ha senso; perché se puoi cambiare pietanza il problema del mangiare sempre riso non sussiste. Se hai il problema del riso è perché hai solo quello credo, no?

Se mangi solo riso perché solo quello hai senza possibilità di recuperare altro fai quel che puoi per renderlo più buono, o semplicemente diverso ogni volta (basta ad esempio variare la quantità di acqua per renderlo di consistenza diversa - costo 0 - o usare spezie - costo relativo); puoi mangiarlo in modi diversi (forchetta, cucchiaio, bacchette, mani, pestato, frullato ecc..) eccetera eccetera, l'unico limite è "la fatica di vivere".
Ma se l'impegno iniziale è tendente allo zero (es. mettere meno acqua nella pentola) la fatica si può superare anche se depressi. E poi dai piccoli progressi ricavi nuova ispirazione per avere un riso sempre migliore.

Perché dovresti migliorarlo? Perché detesti mangiare sempre lo stesso riso.
Se non si arriva a tale (non semplice) consapevolezza, e la si rifiuta portando non-motivazioni è perché si è sulla soglia di sopportazione di cui parlavi.
In quel caso serve un evento scatenante, lo ammetto (es. indigestione?).
Ma questo evento, se solo ci pensiamo un attimo, lo possiamo generare anche noi stessi.

Questi esempi col riso mi fan venire fame, non so a voi..! :mannaggia:

Vorrei precisare che i miei interventi non vogliono in alcun modo sottostimare la difficoltà nel fare ciò che dico; né portare una soluzione "pronta" per tutti.
Semplicemente alla domanda "la fatica di vivere ce l'avete?" A me viene da rispondere naturalmente "Si, ce l'ho, e per superarla faccio questo questo e quello; e se ce l'hai anche tu e non ti piace (altrimenti non me ne parleresti, non saresti qui credo), dato che richiede un impegno molto progressivo a partire da quasi zero, puoi provare!"
Scusate la precisazione ma era d'obbligo ;)

tersite 07-04-2015 12:26

Re: La fatica di vivere
 
il piacere della buona tavola è uno dei piaceri della vita e già ce ne abbiamo pochi, perché privarcene?

IO&EVELYN 07-04-2015 13:03

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da tersite (Messaggio 1488960)
il piacere della buona tavola è uno dei piaceri della vita e già ce ne abbiamo pochi, perché privarcene?


vero. quelli che fanno la dieta però devono per forza. per salute. già...

susan 08-04-2015 00:48

Re: La fatica di vivere
 
ciao.
ho ben presente quella sensazione di stanchezza mentale e fisica che ti colpisce per ogni singola cosa che fai. alzarsi ed affrontare la giornata diventa pesante,e la sera sono così stanca che mi pare di aver lavorato 12 ore in miniera. la mattina poi non mi sveglierei mai. vorrei fare tante cose ma mi pare mi manchino le forze perchè l'ansia e lo stress me le consumano tutte

alienarmy 08-04-2015 04:25

Re: La fatica di vivere
 
quando riesco a dormire il primo pensiero e' domani chi me la da la forza
per andare avanti , e poi mi alzo vado a lavoro e conto le ore dal primo
bicchiere e poi un altro un altro e un altro per me e' cosi che va
non mi fa ne paura io sono questo lo scelto ?? non lo so..

Allocco 08-04-2015 09:42

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da XL (Messaggio 1489347)
Se delle persone avessero [...]

Insomma non è che si risolve il problema così, si afferma solo "adattati alle cose e alle proporzioni tra spesa e guadagno così come sono, perché resteranno inalterate queste proporzioni, e non rompere più i coglioni, se vuoi guadagnare di più investi di più...". Ma si dica questo direttamente, senza tutti questi giri di parole, facciamo prima.
Per me perciò i conti non tornano e nemmeno riconosco delle soluzioni come soluzioni di certi problemi economici (e qua io non mi riferisco semplicemente ai soldi), per me si ignorano soltanto i vincoli da soddisfare per risolverli davvero questi problemi.

Non so se ti riferisci a ciò che ho scritto io (nel qual caso rileggi, non hai capito bene.), ma del resto o ho letto male io il thread o effettivamente nessuno ha scritto qualcosa del genere ("adattati e bla bla").

Ciò che non torna è che si cerca di spiegare che la propria condizione non è definitiva e insuperabile?
Ok XL, il problema è insuperabile. Andiamo avanti così.
La fatica di vivere la superiamo comprendendo i vincoli da soddisfare per risolvere i problemi che la causano, ok, molto chiaro e fattibile.

(e con questo esco ufficialmente dal thread.)

Allocco 09-04-2015 10:46

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da XL (Messaggio 1489659)
Leggi bene ...

Derogo al mio addio al topic per chiarire: avevo capito il tuo discorso.
Giustissimo, ma troppo teorico e privo di sbocchi risolutivi. Se uno ha un problema ORA come deve fare?

Se sono alto 1.90 e devo passare per una porta alta la metà?
Stare a guardarla sperando che si alzi è il comportamento che attua il mio cane quando osserva il biscotto sperando che cada da solo dal tavolo.

Franz86 10-04-2015 14:53

Re: La fatica di vivere
 
Quote:

Originariamente inviata da Angus (Messaggio 1488402)
Il malessere raramente dipende dal riso in bianco, tant'è che ci sono non poche persone di successo che cambiano continuamente pietanza (il sesso, il denaro, l'amore, il cibo, le macchine, la spiritualità, ecc.) e continuano ad essere infelici. Non che siano carenze del tutto insignificanti (a parte le macchine :mrgreen:), ma è evidente che non sono il problema.
Il secondo metodo (cambiare cucina) è un palliativo, seppure.

Possiamo chiudere la questione dicendo che siamo ciò che facciamo, e facciamo ciò che siamo.
:mrgreen:
Quote:

Originariamente inviata da Allocco (Messaggio 1488918)
Il secondo da solo o non l'ho capito, o non ha senso; perché se puoi cambiare pietanza il problema del mangiare sempre riso non sussiste. Se hai il problema del riso è perché hai solo quello credo, no?

Personalmente non credo, le scelte ci sono sempre: certo che per ogni scelta c'è da pagare un prezzo.
Cambiare radicalmente rispetto al riso in bianco si può, bisogna vedere quanto però si è disposti a mettere in gioco ( riguardo all' idea di se stessi e sul proprio concetto di "vita" in generale ).
Quote:

Se mangi solo riso perché solo quello hai senza possibilità di recuperare altro fai quel che puoi per renderlo più buono, o semplicemente diverso ogni volta (basta ad esempio variare la quantità di acqua per renderlo di consistenza diversa - costo 0 - o usare spezie - costo relativo); puoi mangiarlo in modi diversi (forchetta, cucchiaio, bacchette, mani, pestato, frullato ecc..) eccetera eccetera, l'unico limite è "la fatica di vivere".
Ma se l'impegno iniziale è tendente allo zero (es. mettere meno acqua nella pentola) la fatica si può superare anche se depressi. E poi dai piccoli progressi ricavi nuova ispirazione per avere un riso sempre migliore.
Sì e no: cioè, in fin dei conti rimane sempre il solito riso, e se si parte con questo pensiero ( disfunzionale? ), si uccide la motivazione in partenza.

La ricetta ( per restare in ambito culinario :mrgreen: ) della felicità/soddisfazione/entusiasmo deriva dal bilancio tra energie spese e energie ( di altro tipo ) che si incamerano conseguentemente allo sforzo.

Se spendo 1 per fare qualcosa, se ricavo 1+n sono motivato a rifarla, se ricavo 1 posso tollerarlo, se invece ricavo 1-n perdo progressivamente voglia di farla.
Tu dici che sforzandosi per ottenere un 1+ un "n" molto piccolo piano piano si migliora... secondo me no, dal momento che quando si arriva a questi ragionamenti si è già sprofondati in una fossa, e per uscirne non basta più un passettino alla volta, servono proprio dei salti ...

Comunque grazie a voi Angus e Allocco per gli spunti. ;)

cancellato15851 10-04-2015 18:44

Re: La fatica di vivere
 
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