Ciao a tutti,
con il lavoro tocchiamo un tasto dolente.
Purtroppo per me quest’anno è stato segnato dal brusco risveglio dal mondo dei sogni; Il 2007-08 ha significato l’addio agli anni più belli e spensierati dello studio, quando mi alzavo contenta perché poi sarei andata a sentire il prof. di teatrale disquisire di Pirandello e Pasolini, oppure il prof. di antropologia, sempre così estroso, inventivo, pronto a spalancarci verso mondi e modi di essere/pensare/stare al mondo lontanissimi dal nostro….decentrarmi per poi tornare al centro di me stessa più consapevole e certa della mia identità.
Ed ecco che dall’empireo degli studi umanistici mi sono dovuta quest’anno scontrare col mondo caotico del lavoro!!
Ad attendermi al varco, però, non c’erano capi o capetti, bensì un branco famelico di ragazzini (con genitori rompi***** al seguito) ancora in preda ai loro istinti ferini, pronti ad azzannare la preda lì dove avrebbero fiutato la paura.
Come timida, entrare in una classe (di scuola media, tra l’altro!!), è stata per me una grossa prova che mi ha messo di fronte a tutte le mie paure: paura del giudizio, paura di essere al centro dell’attenzione, sotto lo sguardo vigile e severo di 40 occhi; paura di essere inadeguata al ruolo di “capo-ciurma”, perché in classe tu devi avere l‘abilità di gestire il lavoro degli altri (in questo caso si parla di apprendimento e disciplina), che dipende esclusivamente da te e dalla tua capacità di gestire in maniera autonoma un gruppo numeroso.
La cosa tremenda è che coi ragazzi vigono gli stessi meccanismi degli adulti, solo che tutto è meno ipocrita; si gioca a carte scoperte, tutto è meno mediato da quel gioco di ruoli che si inscena nella vita di tutti i giorni tra i grandi: coi ragazzi se hai paura o covi dentro di te delle insicurezze, non serve maschera o finzione di sorta: lo capiranno al volo e sfrutteranno questa tua fragilità per un tornaconto personale, urlandoti a volte in faccia la più cruda delle verità!
Insomma, entrare per la prima volta come insegnante in una classe è destabilizzante, perché vieni messa a nudo subito nelle tue fragilità interiori, dato che il rapporto coi ragazzi è un gioco psicologico al massacro, giocato fino all’ultimo secondo.
Con i grandi la puoi più “buttare in caciara”, spendendoti altre qualità come l’affidabilità, la solerzia, la precisione, che un timido può sempre sfoderare per essere ben voluto, pur risultando carente sul piano delle capacità relazionali.
Invece ai ragazzi non frega nulla se sei precisa, attenta al dovere, responsabile ecc. Ti acceteranno come capo-branco, e quindi come persona degna di essere la loro guida, solo se scorgeranno in te quell’abilità di dominio, unita alla capacità di dimostrarti forte, sicura e provvista di pugno di ferro.
In pochi mesi sono andate a farsi friggere tutte quelle che ho sempre pensato fossero le mie qualità: sensibilità, riflessione, solerzia, impegno, affidabilità, precisione, ma soprattutto l’amore per le mie materie e per lo studio.
Puff, in un momento tutto quello che ho maturato in questi anni sembra quasi venga disconosciuto da contesto dove valgono più qualità CARATTERIALI che non so se mi appartengono veramente; per questo sono in crisi, e come una bambina capricciosa, rimpiango gli anni in cui vivevo nel mio mondo ovattato fatto di bellezza e verità.
Adesso, rispetto ai primi mesi, le cose sono migliorate, non vivo più la disperazione dei primi tempi, dove tutto mi sembrava simile ad un incubo; sto superando l’ottica della nostalgia verso i bei tempi passati, però vedo il mio futuro ancora incerto e nuboloso.
Non capisco quale sia la mia strada, non so quanto io sia tagliata per la durezza del mondo del lavoro e pur desiderosa di continuare a studiare ancora per aprirmi più strade possibili, non so nemmeno se possiedo ancora le forze per continuare a stare ore sui libri, quando l’età di lavorare è ormai sopraggiunta e le energie mentali non sono più quelle dei miei 19 anni.
A volte – in preda a fantasie di fuga – penso che la laurea in lettere forse mi è servita più a formarmi come persona, e che quindi dovrei limitarmi a viverla come conquista intima e basta, non come strumento di cui servirmi per entrare nel mondo del lavoro. Per il resto, sarei tentata di fare un lavoro anche più “umile”, che non richieda laurea (tipo la libraia) oppure – attanagliata da idilli di matrice arcadica – vorrei essere semplice guardiana di boschi, taglialegna (!!), liutaia (!!!), lontana dallo stress cittadino e dal mondo crudele e ossessivo della produttività e del consumo. Poi, una volta casa, dopo una giornata di fatica nei boschi, riprenderei le mie attività di studio, i miei libri, ma solo per me, e non per scopi estrinseci...
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