Originariamente inviata da ajMcwill
(Messaggio 531255)
da un pò di tempo sto comunicando per corrispondenza con una psicologa di Roma. A luglio ho un appuntamento con lei per una visita riguardo la sindrome di asperger...
Qui vi posto quello che è stata la mia vita fino alle medie. Ho tralasciato tante cose, non volendo approfondire
Sono l’ultimo di quattro figli, oltre a essere l’unico figlio maschio. Davanti a me ho tre sorelle. Mio padre ha lavorato come operaio presso le agenzie dedite all’estrazione del petrolio, e non è mai stato molto presente a casa ma, quando c’era, non lo ricordo molto come una presenza piacevole: una carattere piuttosto rumoroso, per dialogare lui ha sempre gridato ( una cosa che mi disturba ancora oggi, per non parlare dei rumori forti ), e nell’arco del suo ruolo di genitore mi ha rifiutato molte cose, al contempo, facendomi provare vergogna per qualsiasi cosa. Adesso è in pensione.
Mia madre è una persona molto mite e dolce. Direi sottomessa alla figura di mio padre. L’antitesi.
Sono cresciuto in un periodo molto delicato del Sud Italia, in una delle città più violenti di allora. Della mia infanzia ho un ricordo condito dal sentimento di morte maturato in un lustro di faide, droga e morti ammazzati. Ho sviluppato precocemente un profondo senso di malinconia, nel quale ci sguazzavo cingendomi ad antropoformizzare la Luna, gli agenti atmosferici, e via di seguito. Mia madre dice che sono sempre stato un tipo tranquillo e che ho iniziato a parlare presto, ma che non mi andava di parlare, e questo è un dettaglio che ricordo anch’io.
Ho imparato a disegnare molto in fretta ( dai tre anni in poi ), soprattutto soggetti animali e cavalli, dovuto al fatto che di fronte a casa mia abitava una persona che ne possedeva uno. Il fatto che mia madre dipingesse, per puro hobby, penso che mi abbia condizionato parecchio. Mi ricordo nitidamente i miei quattro anni e la prima volta che ho litigato con un mio coetaneo: per me fu uno shock. Non avevo mai provato quel grumo nell’intestino misto a paura e astio, una cosa che mi ha condizionato sino ad ora. La violenza, come una buia sorpresa, che può arrivare da ogni dove, minacciando la vulnerabilità di tutto e di tutti, è un pensiero che mi rincorre da tempo.
Alle elementari non ero molto socievole. Mentre i miei compagni si alzavano dalle sedie durante l’ora della ricreazione facendo baccano, io stavo seduto da solo domandandomi che piacere ci provassero a fare tutto quel chiasso. Avevo un compagno di classe col quale ero particolarmente amico, poi nulla più. Una cosa che capitava spesso, giornalmente, era quella che tutti i miei compagni facessero letteralmente la fila per avere dei disegni da me. Chiedevano un soggetto e io glie lo disegnavo. Questa è una cosa che mi ha fatto allenare molto credo. Disegnavo probabilmente anche per farmi compagnia perché, quando provavo a infilarmi nelle discussioni dei piccoli gruppi che si venivano a creare prima dell’inizio delle lezioni o durante la ricreazione, venivo respinto come se non fossi in grado di interloquire: ed era vero. Durante le elementari mi ero fissato con la Geologia e la Zoologia. Mi comprai due opuscoli universitari ( che ancora conservo come ricordo ) con il sorriso del cartolibraio che mi guardava come a dire: “ ma che te li compri a fare “. Andavo matto per i dinosauri e sapevo tutto. Il mio colpo di fulmine fu in terza elementare, quando mio padre mi portò a visitare i reperti archeologici della mia città. Mi fissai con l’antica Grecia e, oltre a cercare reperti archeologici di natura fossile ( e qualcuno lo avevo trovato ), mi fissai col cercare resti di vasi e il teatro greco della mia città che ancora non era stato scoperto. A otto anni riempii un intero quaderno sui possibili luoghi dove esso potesse essere collocato, seguito anche dalla storia della mia città copiata da un’enciclopedia e trascritta a modo mio con le dovute supposizioni. Tutte queste cose le nascondevo ai miei compagni con cui condividevo i giochi di strada. Avevo la consapevolezza che non potessero capire queste mie passioni, e così le ho sempre taciute, recitando la parte del bambino spaccone e dilettandomi nel dialetto. Volevo essere come loro, sentirmi parte di qualcosa, ma in me ho sempre saputo di essere altro.
La via in cui giocavano era una salita che finiva in un vicolo cieco. Non era molto trafficata. In cima alla strada cerano dei resti di gesso buttati lì dopo dei lavori di ristrutturazione di una casa. Mi divertivo a disegnare per tutta la via, sull’asfalto. La via sarà stata lunga 50 metri. Quando le persone si affacciavano dai balconi trovavano tutta la via disegnata da figure bianche: cavalli, dinosauri, cervi… Mi piacevano i complimenti, allora.
Il problema mio è stato sempre quello di spostarmi in strade diverse e in quartieri differenti. Non era difficile nella mia città trovare bambini che volessero litigare, una cose che mi creava quel groviglio nell’intestino, riportandomi mentalmente al mio primo litigio.
Oggi riguardo le foto di quando avevo 3 e 4 anni, notando un viso corrucciato e disturbato rispetto al viso sorridente delle mie sorelle, quasi come se guardassi con antipatia l’occhio della macchina. Assumevo questo atteggiamento anche nei confronti delle persone che parlavano con me facendomi dei complimenti, o con chi parlava con mio padre. Avevo anche uno spiccato senso della gelosia nei confronti di mia madre. Quando qualche uomo si accingeva a parlare con lei, io mettevo in piedi questo atteggiamento ostile perché avevo l’intuizione che quello ci stesse provando con lei, e questo sempre a 4 anni.
Arrivando alle scuole medie le cose non migliorarono molto. Qui non avevo nessun migliore amico, tranne uno al primo anno ( che poi fu bocciato), molto vicino agli ambienti mafiosi, ma terribilmente carismatico e mai minaccioso: con nessuno. Anche qui usai il disegno per veicolare i miei rapporti con gli altri, e funzionava. Negli anni delle medie, facendo un sunto, ho fatto di tutto per non andare a scuola. Fingevo spesso di stare male, approfittando della mia madre apprensiva e iperprotettiva, facendola sempre franca per la bocciatura tramite il disegno, dove la professoressa di artistica, una tipa tosta, mi difendeva sempre a spada tratta per non farmi perdere l’anno.
Mi ricordo che al primo anno la professoressa d’Italiano ci assegnò un compito sull’Autunno. Lì saltò fuori la mia vena poetica, ma un po’ troppo spinta per un bambino della mia età. La professoressa mi diede un voto bassissimo perché non credeva che l’avessi scritto io. Fu solo quando parlò con mia madre che incominciò a convincersi che ero io il reale autore del testo.
Giocando per strada ho avuto sempre molti amici, ma soprattutto molti nemici. Guardandomi alle spalle vedo con più nitidezza il mio voler essere quello che non ero, il mio voler dimostrare di essere forte, che mi ha portato sempre a sbattere la faccia sulla dura realtà. Ricordo che, ovunque andassi, correvo sempre.
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