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Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
« Lontano da tutte le buie valli giunge il dolce canto del merlo, ed in un muto tormento il mio cuore ascolta e trema fino al mattino. Per lunghe ore, illuminate dalla luna, la mia brama sta in guardia, soffre di ferite segrete e si dissangua nella notte. Un violino nei giardini manda con arcata leggera il suo pianto fino a qui, ed una profonda stanchezza giunge liberante sopra me. O violinista straniero che là in basso piangi con aria sì tenera e cupa, dove hai trovato la melodia che contiene tutte le mie brame? » Hermann Hesse, Un violino nei giardini. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Misuro ogni dolore che incontro
con occhi penetranti, stretti - mi chiedo se pesa come il mio - o ha misura più facile. Mi chiedo se l'hanno portato a lungo - o è appena cominciato - non saprei dire la data del mio - sembra tanto vecchio - Mi chiedo se fa male vivere - e se devono sforzarsi - e se - potessero scegliere - non preferirebbero - morire - Noto che alcuni - pazienti a lungo - dopo un po', rinnovano il sorriso - l'imitazione di una luce che ha tanto poco olio - Mi chiedo se con l'ammucchiarsi degli anni - qualche migliaio - sul male - che presto li ferì - questo intervallo dia loro qualche sollievo - se continuerebbero a sentire pena per secoli di sensibilità - illuminati a un più grande dolore - in contrasto con l'amore – dolenti - sono tanti - mi dicono - c'è varietà di cause - la morte - è una sola - e viene una volta - e solo inchioda gli occhi - C'è dolore di mancanza - e dolore di freddo un tipo detto "disperazione" - c'è l'esilio dagli occhi nativi - in vista dell'aria nativa - E anche se non indovino il tipo - correttamente - tuttavia un conforto pungente mi dà quando passo dal Calvario - notare le maniere - della Croce - e come è portata di solito - sempre affascinata dall'idea che qualcuna - sia come la mia - Emily Dickinson - Misuro ogni dolore che incontro |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Pregavo, all'inizio, bambina,
perché mi dicevano di farlo - ma smisi, quando fui capace di immaginare come la preghiera sarebbe apparsa -a me se avessi creduto che Dio si guardava attorno, ogni volta che il mio occhio fanciullo si fissava tutto, fermamente, sul suo, con infantile onestà - e gli diceva quel che avrei voluto, oggi, e le parti del suo distante programma che mi sfuggivano - il lato misto della sua divinità - E da allora spesso, nel pericolo, penso la forza che darebbe avere un Dio così forte che tenesse la mia vita per me finché potessi trovare l'equilibrio che ora così spesso vacilla, ci vuole tutto il tempo per arrivarci e poi - esso non dura - Emily Dickinson |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
« Semplici, rari e solenni noi siamo, soli sui colli di Cernie, lontano, con folli e dolci Espressioni sul viso antico, belle ed insolite, così ci dicono gli esseri alati dell'Aria che passano e spirano la notte che gli Alberi-scheletro danzano e gridano. Teneri, rari e solenni... Teneri, rari e solenni... Semplici, rari e solenni noi siamo, quando c'incamminiamo verso il mare violetto con folli, dolci Espressioni, sull'antico, nobile Volto, belle ed insolite, molto, nell'Unica Notte dell'anno quando le nuvole s'aprono in bioccoli e gli Alberi-scheletro danzano e gridano. Teneri, rari e solenni... Teneri, rari e solenni... » Tratta da Tito di Gormenghast. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
« Chiederti in quali templi bruciasti come incenso solingo e fiero forse è sogno metafisico: nel sacrificio incredulo del tuo essere antico, il mio risveglio è pure il più profondo dei sogni miei. A te volte, ora sorridono stelle lontane come lanterne ardenti di volontà remote. Luce e calore traboccano gli occhi atarattici del cielo là dove, nella fredda notte, albeggia il sole interiore. » |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
« Vi arriva il poeta e poi torna alla luce con i suoi canti e li disperde Di questa poesia mi resta quel nulla d’inesauribile segreto. » Giuseppe Ungaretti, Il Porto Sepolto. « Un'intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d'amore Non sono mai stato tanto attaccato alla vita. » Giuseppe Ungaretti, Veglia. |
Ne scrivo una che invento sul momento, poi se qualcuno vuole puó aprire il topic poesie create sul momento, dal cell non ci riesco.
È arrivato Tino, Il piccolo gattino Non si sa se é giovane O vecchiettino. I suoi occhi son ciechetti Sorpresi ovunque tu li metti. Stupore candido e dolcezza Mi fan venire tenerezza. Mi addormento pensando a Tino E la magia entra nel mio cervellino. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Una volta, a mezzanotte, mentre stanco e affaticato meditavo sovra un raro, strano codice obliato, e la testa grave e assorta — non reggevami piú su, fui destato all’improvviso da un romore alla mia porta. «Un viatore, un pellegrino, bussa — dissi — alla mia porta, solo questo e nulla più!» Oh, ricordo, era il dicembre e il riflesso sonnolento dei tizzoni in agonia ricamava il pavimento. Triste avevo invan l’aurora — chiesto e invano una virtù a’ miei libri, per scordare la perduta mia Lenora, la raggiante, santa vergine che in ciel chiamano Lenora e qui nome or non ha più! E il severo, vago, morbido, ondeggiare dei velluti mi riempiva, penetrava di terrori sconosciuti! tanto infine che, a far corta — quell’angoscia, m’alzai su mormorando: «È un pellegrino che ha battuto alla mia porta, un viatore o un pellegrino che ha battuto alla mia porta, questo, e nulla, nulla più!». Calmo allor, cacciate alfine quelle immagini confuse, mossi un passo, e: «Signor — dissi — o signora, mille scuse! ma vi giuro, tanto assorta — m’era l’anima e quassù tanto piano, tanto lieve voi bussaste alla mia porta, ch’io non sono ancor ben certo d’esser desto». Aprii la porta: un gran buio, e nulla più! Impietrito in quella tenebra, dubitoso, tutta un’ora stetti, fosco, immerso in sogni che mortal non sognò ancora! ma la notte non dié un segno — il silenzio pur non fu rotto, e solo, solo un nome s’udì gemere: «Lenora!» Io lo dissi, ed a sua volta rimandò l’eco: «Lenora!» Solo questo e nulla più! E rientrai! ma come pallido, triste in cor fino alla morte esitavo, un nuovo strepito mi riscosse, e or fu sì forte che davver, pensai, davvero — qualche arcano avvien quaggiù, qualche arcan che mi conviene penetrar, qualche mistero! Lasciam l’anima calmarsi, poi scrutiam questo mistero! Sarà il vento e nulla più! Qui dischiusi i vetri e torvo, — con gran strepito di penne, grave, altero, irruppe un corvo — dell’età la più solenne: ei non fece inchin di sorta — non fe’ cenno alcun, ma giù, come un lord od una lady si diresse alla mia porta, ad un busto di Minerva, proprio sopra alla mia porta, scese, stette e nulla più. Quell’augel d’ebano, allora, così tronfio e pettorutotentò fino ad un sorriso il mio spirito abbattuto: e, «Sebben spiumato e torvo, — dissi, — un vile non sei tu certo, o vecchio spettral corvo della tenebra di Pluto? Quale nome a te gli araldi dànno a corte di Re Pluto?» Disse il corvo allor: «Mai più!». Mi stupii che quell’infausto disgraziato augello avesse la parola, e benché quelle fosser sillabe sconnesse, trasalii, ché, in niuna sorta — di paese fin qui fu dato ad uom di contemplare un augel sovra una porta, un augello od una bestia aggrappata ad una porta con un nome tal: «Mai più!». Ma severo e grave il corvo più non disse e stette come s’egli avesse messo tutta quanta l’anima in quel nome: sovra il busto, appollaiato — non parlò, non mosse più finché triste ebbi ripreso: «Altri amici m’han lasciato! il mattin non sarà giunto ch’egli pur m’avrà lasciato!». Disse allor: «Mai più! mai più!». Scosso al motto ch’or sì bene s’era apposto al mio pensiere, «Certo, — dissi, — queste sillabe sono tutto il suo sapere! e chi a tale ritornello — l’addestrò, forse quaggiù sarà stato sì infelice ch’ogni canto suo più bello come un requiem, non aveva ogni canto suo più bello a finir che in un mai più!» Ma un pensier folle ancor voltomi a un sorriso il labbro torvo: scivolai su un seggiolone fino in faccia al busto e al corvo, e qui, steso nel velluto — presi intento a studiar su cosa mai volesse dire quel ferale augel di Pluto, quel feral, sinistro, magro, triste, infausto augel di Pluto col suo lugubre: «Mai più!». Così assorto in fantasie stetti a lungo, e sempre intento all’augello i di cui sguardi mi riempivan di spavento, non osai più aprire labro — sprofondato sempre giù fra i cuscini accarezzati dal chiaror di un candelabro fra i cuscini rossi ov’ella, al chiaror di un candelabro, non verrà a posar mai più! Allor parvemi che a un tratto si svolgesse in aria, denso e arcan, come dal turibolo d’un angelo, un incenso. «O infelice, dissi, è l’ora! — e infin ecco la virtù e il nepente che imploravi per scordar la tua Lenora! Bevi, bevi il filtro e scorda! scorda alfin questa Lenora!» Mormorò l’augel: «Mai più!». «O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora! o l’Averno t’abbia inviato — o una raffica di bora t’abbia, naufrago, sbalzato — a cercar asil quaggiù, in quest’antro di sventure, di’ al meschino che t’implora, se qui c’è un incenso, un balsamo divino! egli t’implora!» Mormorò l’augel: «Mai più!» .«O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora! per il ciel sovra noi teso, per l’Iddio che noi s’adora di’ a quest’anima se ancora — nel lontano Eden, lassù, potrà unirsi a un’ombra cara che chiamavasi Lenora! a una vergine che gli angeli ora chiamano Lenora!» Mormorò l’augel: «Mai più!». «Questo detto sia l’estremo, spettro o augello — urlai sperduto. Ti precipita nel nembo! torna ai baratri di Pluto! non lasciar piuma di sorta — qui a svelar chi fosti tu! lascia puro il mio dolore, lascia il busto e la mia porta! strappa il becco dal mio cuore! t’alza alfin da quella porta!» Disse il corvo: «Mai, mai più!» E la bestia ognor proterva — tetra ognora, è sempre assorta sulla pallida Minerva — proprio sopra alla mia porta! Il suo sguardo sembra il guardo — d’un dimon che sogni, e giù sui tappeti il suo riflesso tesse un circolo maliardo, e il mio spirto, stretto all’ombra di quel circolo maliardo non potrà surger mai più! |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Certo, certo, è giusto ma, ah ah!
E' giunta l'ora, amiche care, ormai di chiacchierar di cappellini, di chiffon, di cavoli e di re di come il mare dà calor, se i gatti san volar Orsù allegria, venite via, coi cavoli e coi re |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Jonathan Swift Somers « Quando vi siete arricchita l'anima fino al massimo, con libri, pensiero, sofferenza, comprensione, la capacità d'interpretare occhiate, silenzi, le pause nei mutamenti importanti, il genio della divinazione e della profezia; tanto da sentirvi capace, a momenti, di tenere il mondo nel cavo della mano; allora, se, per l'affollarsi di così grandi poteri nel recinto della vostra anima, l'anima prende fuoco, e nell'incendio il male del mondo è illuminato e reso limpido - siate grati se in quell'ora della visione suprema la vita non vi canzona. » Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
"Sogno. Non so chi sono in questo momento.
Dormo sentendomi. Nell’ora calma il mio pensiero dimentica il pensiero, non ha anima la mia anima. Se esisto, è un errore saperlo. Se mi desto mi sembra di sbagliare. Sento di non sapere. Nulla voglio né possiedo né ricordo. Non ho essere né legge. Intervallo della coscienza fra illusioni, mi limitano fantasmi e mi contengono. Inconsapevole di cuori altrui, dormi, cuore di nessuno!" Fernando Pessoa |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Molti leggono ancora «Mein Kampf»
e sognano di far bollire il prossimo su una graticola, molti curano l’anemia del mondo coi paroloni bavosi come lumache, manovrando i reostati di mostruosi magneti, con lingua di formichiere essi leccano il pube della violenza. Dal coito dell’onore e della forza nasce, pidocchiosa, la tortura. Quante verdi cose scricchiano, piangendo nelle rozze mani di costoro. Come lampade, gli eroi si schiantano sotto i loro tacchi di ghisa. Con le pinze attaccate al lobo d’un orecchio saltano come ranocchie in un fiume disseccato, hanno la gola secca ma non parleranno, perché non è morta la forza, la dignità degli uomini A.M. Ripellino |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c'è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
"Si farà una gran fatica, qualcuno / direbbe che si muore / ma a quel punto /ogni cosa che poteva succedere / sarà successa e noi / davanti agli occhi non avremo / che la calma distesa del passato /... ./ E tutto, anche le foglie che crescono, / anche i figli che nascono / tutto, finalmente, senza futuro"
da Barlumi di storia di Giovanni Raboni |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Zeus dell'Olimpo, compi tu questo mio voto giusto:
dammi per tanto male un po' di bene. O la morte, se a tante angosce amare io non mi trovo una tregua, esigendo occhio per occhio. La norma è questa. Eppure una rivalsa io non la vedo su chi m'ha depredato, con la forza, di tutto. Io sono il cane che varcò la forra cedendo tutto alla rapina d'acqua. Ch'io beva il loro sangue nero, e spunti un dio buono, che compia tutto a modo mio. (Teognide, I 341-350) |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
So there it is in words
Precise And if you read between the lines You will find nothing there For that is the discipline I ask Not more, not less Not the world as it is Nor ought to be - Only the precision The skeleton of truth I do not dabble in emotion Hint at implications Evoke the ghosts of old forgotten creeds. All that is for the preacher The hypnotist, therapist and missionary They will come after me And use the little that I said To bait more traps For those who cannot bear The lonely Skeleton of Truth (The Manuscript, Gregory Bateson) |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
« Quando la notte attendo il suo arrivo, la vita sembra sia appesa a un filo. Che cosa sono onori, libertà, giovinezza di fronte all’ospite dolce col flauto nella mano? Ed ecco è entrata. Levato il velo, mi guarda attentamente. Le chiedo: “Dettasti a Dante tu le pagine dell’Inferno?” Risponde: “Io”. » Anna Achmatova, La Musa. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
adoro Ferlinghetti
Rischiando continuamente assurdità e morte dovunque si esibisca sulle teste del suo pubblico il poeta come un acrobata s’arrampica sul bordo della corda che s’è costruita ed in equilibrio sulle travi degli occhi sopra un mare di volti marcia per la sua strada verso l’altra sponda del giorno facendo salti mortali trucchi magici coi piedi e altri mirabili gesti teatrali e tutto senza sbagli ogni cosa per ciò che forse non esiste Perché egli è il super realista che deve per forza capire una tersa verità prima di affrontare passi e posizioni nel suo supposto procedere verso quell’ancor più alto posatoio dove la Bellezza sta e aspetta con gravità l’avvio della sua girandola di morte E lui un piccolo Charlot che potrà cogliere o no la sua dolce forma eterna con le braccia distese in croce nell’aria vuota dell’esistenza |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Crepuscolo Le crode non hanno più rose: il sole le ha tutte portate con sé nel suo morire. Anima, del tuo sfiorire perché ti duole? Lo stesso tuo pallore è sulla fronte d'ogni montagna, lo stesso tuo desio d'assopimento. Vedi le grandi cime come si sbiancano: gli immensi volti come distendono sul dolore degli occhi le palpebre e giacciono puri, protesi a una carezza stellare. O non attendi anche tu per la tua vita che si scolora il bagliore supremo? S. Martino di Castrozza, gennaio 1933 A. Pozzi |
Poesia scritta di mio pugno circa un anno e mezzo fa:
Il cielo è terso, avevo qualcosa e l'ho perso, ci penso, ma non ricordo dove l'ho messo, in mezzo a questo mare grigio e immenso mi ritrovo immerso, mentre il vento si fa più intenso. Annego, mentre sto mare si fa nero, della pressione si fa a meno, intravedo il cielo che si è fatto sereno, da tutto mi eclisso, affondo in questo abisso profondo, sprofondo, finché non tocco il fondo. Nessuna barca rimasta, neanche un'anima rimasta, a parte un aeroplano, che vola piano, che sento malgrado sia lontano, con la gente che guarda, con la mente bastarda, che spera che io non ce la faccia a tornare a galla. Inizia a mancarmi l'aria nei polmoni, a non mancarmi sono quei coglioni, a marcarmi l'anima sono quei timori, che guidano il mio corpo come se fossero timoni. Fuori di me un maremoto, pericoloso ma remoto, dentro di me un terremoto, pericoloso allo stesso modo, inizio a non reggere, il senno sto per perdere, con le poche forze nuoto verso un bagliore che sembra splendere. Sono nel punto più basso del fondale, la depressione mi assale, banchi di squali bianchi da affrontare, ostriche ostiche da evitare, dopo tutto sto tragitto, raggiungo un antico relitto nel quale è nascosto uno scrigno, e mi ci butto a capofitto. Lo apro, è pieno d'oro, sembra appena uscito da una zecca, ma sul più bello scende dall'alto una canna da pesca con una grande esca, che subito mi adesca ad aggrapparsi ad essa e a porre fine a questa tempesta. Devo fare una scelta, ma devo fare alla svelta, essa è immediata, ma neanche così scontata, rinuncio all'oro per tornare in superficie, finalmente la vita assaporo, nonostante le sue mille insidie. Sono arenato, rinato. Arenato, rinato. |
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