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re: Una vita da disoccupati
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Per me è uguale. Ci provo, mi sforzo (e non è la prima volta!!), parto con tutta la motivazione che riesco a trovare (anche se ormai non rimane più niente) ma vedo che non reggo, i sintomi sono sempre più forti, e cazzo non lo faccio apposta; esco solo 2 ore a settimana con quelli del csm da qualche anno e poco prima totale evitamento ed isolamento (quella merda di hikikomori per capirci), per me già fare una giornata completa di 8 ore in fabbrica è stato allucinante (dopo anche tutto il colloquio); tra tutta l'ansia anticipatoria della settimana prima (che ho già scritto come ho dovuto gestirla), l'ansia da prestazione, la pancia che ribolle per la colite e la vescica sempre stimolata per il freddo quando sei lì che hai sempre paura di sbagliare qualsiasi cosa; rumori assordanti; gli altri che ti urlano cosa devi fare e non ci capisci un cazzo; la paura che possa prenderti un attacco di panico o un sintomo di depersonalizzazione proprio in quel momento; le spranghe e i fili di ferro che volano ovunque e se va bene ti bucano solo le mani, se va male perdi un occhio com'è successo al titolare. Esci che sei sfatto, con il mal di schiena e i piedi pesanti per via delle scarpe antifortunistiche che sono un numero e mezzo in più perché hai il piede come quello di una ragazzina. Salito in macchina per tornare a casa ho pensato: ma come cazzo faccio a farlo anche solo per una settimana... Sono partito con la macchina e ho fatto un tratto di rettilineo con gli occhi chiusi sperando che l'auto sbandasse e di morire in un incidente. Poi torno a casa e mi sento anche mortificare e insultare dai miei, perché non bastano la depressione cronica e l'anedonia. Pensate che non me ne renda conto da solo che sia ora di darsi una mossa? Che il tempo passa? Anche se non esco di casa li vedo lo stesso i miei coetanei che studiano, si laureano o lavorano e vanno a convivere... Pensate che ripetermelo ogni volta possa aiutare a farmi sentire meno una merda, un rifiuto della società? Ho questi pensieri ogni giorno, e ogni notte prima di provare ad andare a dormire devo guardare la mia faccia di merda davanti lo specchio e chiedermi se almeno questa volta avrò il coraggio di ingurgitare tutti gli psicofarmaci che prendo ora e che ho accumulato nel tempo, per poi sdraiarmi sperando di non svegliarmi più. Ma nemmeno quello riesco a fare... |
re: Una vita da disoccupati
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re: Una vita da disoccupati
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Io penso di aver capito cosa intendi, proprio nello specifico riguardo la professione di insegnante, però già da un semplice ragionamento come questo -non scorretto in sè- traspare perfezionismo e idealismo a livelli elevati. La gente di solito non è perfezionista e idealista perché questi sono fondamentalmente intralci alla vita, a meno che non siano imbrigliati e incanalati in qualcosa di specifico, cosa che riesce bene solo a pochi (di solito neanche per merito, sono le circostanze a imbrigliare e incanalare molto più degli sforzi consapevoli). E mi chiedo poi se perfezionismo e idealismo in fin dei conti non siano i parenti belli del brutto negativismo che compare anche su sto topic: suonano diversamente ma, se assecondati senza criterio e misura, conducono al medesimo sbocco. Il niente. |
re: Una vita da disoccupati
C'è la lobby degli insegnanti su fs. Chi l'avrebbe mai detto.
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re: Una vita da disoccupati
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In estate provo a chiedere lavoro nel market di paese, conosco bene la titolare. |
re: Una vita da disoccupati
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Che poi io in parte sono pure d'accordo, solo non andrei a lanciare questo messaggio a chi tra mille dubbi tenta invece di fare qualcosa. |
re: Una vita da disoccupati
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Invece è proprio sull'affossare che rovesci su Goh che ho da ridire, onestamente mi pare proprio la tipica strategia passivo-aggressiva. Ma questa potrebbe anche essere una mia impressione falsata eh, vale quel che vale. |
re: Una vita da disoccupati
"Intortare" ha indubbiamente un'accezione negativa, vuol dire "abbindolare", "raggirare", ribaltare la realtà a proprio piacimento tramite un uso abile della parola. Secondo me però era un modo, diciamo maldestro, per dire che hai un'ottima dialettica, e che vede questa qualità come sfruttabile nel modo del lavoro, dove ci sono ambiti in cui la capacità di persuasione è molto importante. Chiaramente sono anche ambiti dove un fobico c'entra ben poco. (Poi magari ho interpretato male il tutto).
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re: Una vita da disoccupati
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Chiusa qui, sei abbastanza intelligente da capire il concetto se vuoi, continuare questo dibattito significherebbe diventare anch'io veicolo di quel negativismo che sto contestando. :ridacchiare: |
re: Una vita da disoccupati
Ogni tanto ritorno qui a rompere le palle, alla fine ognuno ha il suo universo personale con i suoi problemi...per me quelli peggiori e più difficilmente risolvibili sono sempre gli stessi, infatti gli argomenti su cui torno sono sempre quelli...va beh, ad ogni modo mi stavo soffermando a leggere questo articolo che è in un certo senso l'informazione "scomoda", quella che da fastidio, se avete voglia leggetelo: https://www.valigiablu.it/fuori-non-...e-ce-la-morte/
Rettifico: tecnicamente sarebbe più una recensione che un articolo, si colloca un pò a metà strada |
re: Una vita da disoccupati
Sabato ho avuto un acceso diverbio con una persona riguardo alla mia condizione di disoccupato e a quella dei disoccupati in genere.
Per questa persona il lavoro é tutto (rispetto il suo punto di vista per quanto non lo condivida) e praticamente non parla mai d'altro, solo lavoro, lavoro e lavoro e di quanto lo renda orgoglioso il guadagnarsi ciò che compra o può permettersi, per poi lamentarsi di non potersi permettere abbastanza. Essendomi stufato dei suoi discorsi del cavolo e della sua vanagloria, gli ho detto che se devo scegliere fra lavorare come lui, spendere tutto in cazzate per colmare il mio vuoto interiore e non arrivare a fine mese oppure non lavorare e fare la vita da hikikomori preferisco la seconda. Gli ho detto che se non gli bastavano i soldi avrebbe potuto iniziare a eliminare le spese evitabili, fra cui abbonamenti, inutili spostamenti in macchina, aperitivi e cene fuori e forse a fine mese ci sarebbe arrivato. Al che che lui ha iniziato a sottolineare quanto la mia fosse una non vita perché "non vado mai al ristorante", non viaggio e non ho amici con cui condividere queste gioie della vita, rinfacciandomi anche il fatto di essere asociale e tirchio (LOL). |
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re: Una vita da disoccupati
È ovvio, so perfettamente che vivere così non é salutare né per la mente né per il corpo.
Il discorso é partito così: lui mi ha chiesto perché non esco mai, se non mi annoio a fare sempre le stesse cose tutti i giorni e poi ha attaccato il pippone del lavoro. Gli ho risposto che vorrei lavorare ma possibilmente vorrei fare un lavoro che non mi logori più di quanto mi logora fare la vita che faccio. Lui ha risposto che se lavorassi potrei permettermi di fare come lui, "che se la gode". Quando gli ho risposto che di far tutte quelle cose non mi interessa si é risentito, probabilmente voleva che gli facessi i complimenti o forse cercava qualcuno che confermasse le sue convinzioni, non so. |
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Avrei preferito che mi desse del parassita scansafatiche e che mi dicesse che devo muovere il culo per guadagnarmi da vivere, come fanno i miei genitori: lo avrei accettato. Invece mi parlava del lavoro come qualcosa di fantastico che ti consente di avere esperienze fantasmagoriche, come un truffatore che spaccia il suo prodotto come miracoloso e so benissimo che non é così. |
re: Una vita da disoccupati
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Ok, ma se sono pagati e trattati da babysitter, non vedo perché dovrebbero avere più motivazione e competenze di una studentessa che arrotonda facendo la bambinaia ma sogna di fare l'avvocato. Io mi stupisco più di chi all'importanza di questo lavoro, ci crede ancora, nonostante tutto. Ieri parlavo con un conoscente del fatto che avrò speso negli anni migliaia di euro per i materiali che mi servono per svolgere il mio lavoro dal momento che non mi vengono forniti ma di fatto, non posso lavorare senza. Lui ha detto che non si sognerebbe mai di comprarsi di tasca sua i cacciaviti e i trapani, o glieli danno o non fa. Però a lui nessuno ha mai detto che la sua categoria é svogliata, a me sì. Lui prende di più. Perché faccio il mio e non il suo? Perché mi piace e ci credo, e perché come per qualsiasi altro lavoratore, non spetta a pinco pallo che guarda da fuori giudicare se sono competente o meno . Ma sta cosa del sacro fuoco , della vocazione , della passione e delle alte competenze come prerequisiti necessari per fare i precari a mille euro dopo anni di studi, ha un po' scassato. |
re: Una vita da disoccupati
Per quanto riguarda i miei "gusti", il problema è che lavorare per il denaro è una gabbia poco sopportabile. Credo di capire che sia una mia fissa, una visione distorta delle cose. Produrre ciò che serve al nostro sostentamento e ai nostri scopi è in sé una seccatura necessaria, per alcuni, ma affatto insopportabile.
"Lavoro", in latino si dice sia "opus" che "labor", in inglese abbiamo "work" e "job", in tedesco "werk" e "arbeit". La distinzione è tra un'attività vocazionale, in cui esprimiamo noi stessi in modo attivo, in cui proviamo passioni non difensive ed evitanti, e un impegno passivo, svolto per costrizione, più o meno autoinflitta - il lavoro dello schiavo-giardiniere, le cui dita rosse permettono ad Aristotele di filosofare passeggiando nel verde. |
re: Una vita da disoccupati
In ogni caso, resta che avere come corpo docente un esercito di semi-scappati di casa, psicologicamente e spesso culturalmente inadeguati al ruolo, produce danni incalcolabili. Scegliere di prendervi parte, a meno di non essere proprio costretti, mi sembra addirittura masochistico, in senso morale. Non mi sembra di dire cose idealistiche. Non ve li ricordate voi gli insegnanti cani che avete avuto?
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