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Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Stella, mia unica stella,
Nella povertà della notte sola, Per me, solo, rifulgi, Nella mia solitudine rifulgi; Ma, per me, stella Che mai non finirai d’illuminare, Un tempo ti è concesso troppo breve, Mi elargisci una luce Che la disperazione in me Non fa che acuire. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
The cats will know
Ancora cadrà la pioggia sui tuoi dolci selciati, una pioggia leggera come un alito o un passo. Ancora la brezza e l'alba fioriranno leggere come sotto il tuo passo, quando tu rientrerai. Tra fiori e davanzali i gatti lo sapranno. Ci saranno altri giorni, ci saranno altre voci. Sorriderai da sola. I gatti lo sapranno. Udrai parole antiche, parole stanche e vane come i costumi smessi delle feste di ieri. Farai gesti anche tu. Risponderai parole - viso di primavera, farai gesti anche tu. I gatti lo sapranno, viso di primavera; e la pioggia leggera, l'alba color giacinto, che dilaniano il cuore di chi più non ti spera, sono il triste sorriso che sorridi da sola. Ci saranno altri giorni, altre voci e risvegli. Soffriremo nell'alba, viso di Primavera. Cesare Pavese |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Territudine
Essere qui per anni sulla terra, con le nuvole che arrivano, con gli uccelli, sospesi ad ore fragili. A bordo, quasi alla deriva, più vicini a Saturno, più lontani, mentre il sole gira e ci trascina e il sangue percorre il suo profondo universo più sacro di tutti gli astri. Essere qui sulla terra: non più lontani di un albero, non più inspiegabili; lievi in autunno, rigonfi in estate, con ciò che siamo o non siamo, con l'ombra, la memoria, il desiderio, fino alla fine (se c'è una fine) voce a voce, casa per casa, sia chi porta la terra, se la portano, sia chi l'aspetta, se l'aspettano, ogni volta spezzando insieme il pane in due, in tre, in quattro, senza dimenticare gli avanzi della formica che viene sempre da remote stelle per essere puntuale all'ora della nostra cena benché amare siano le briciole. Eugenio Montejo |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
C’è una certa inclinazione di luce,
i pomeriggi d’inverno che opprime, come il peso di musiche di cattedrale. Una ferita celeste, ci apporta; non ne troviamo cicatrice, ma una interna differenza, dove stanno i significati. Nessuno può insegnarla altrui è il sigillo la disperazione un’imperiale afflizione inviataci dall’aria. Quando viene, il paesaggio ascolta le ombre trattengono il fiato; quando va, è come la distanza nell’aspetto della morte. C'è una certa inclinazione di luce - Emily Dickinson |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Robin Morgan
Cavatina di Barbarina Quanto tormento per una spilla persa, per un comune e pur utile fermaglio. È una tragedia da nulla, di sicuro buffa, persino e a malapena degna della tonalità minore. Mozart però sapeva quanto comune è il pianto di chi ha perduto qualche minuta cosa minuta e normale – del proprio padre un bacio la lettera mai spedita – che noi cerchiamo, quasi tenesse insieme in fondo, i pezzi di una vita. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Ghiannis Ritsos
Sera grigia Mi duole in petto la bellezza; mi dolgono le luci nel pomeriggio arrugginito; mi duole questo colore sulla nube – viola plumbeo viola repellente; il mezzo anello della luna che brilla appena – mi duole. Passò un battello. Una barca; i remi; gli innamorati; il tempo. I ragazzi di ieri sono invecchiati. Non tornerai indietro. Serata grigia, luna sottile, – mi fa male il tempo. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Dove son già fatte le strade, io smarrisco
il cammino. Nell'oceano immenso, nel cielo azzurro non è traccia di sentiero. La viottola è nascosta dalle ali degli uccelli, dal fulgor delle stelle, dai fiori delle alterne stagioni. E io domando al cuore, se il suo sangue porti seco la conoscenza dell'invisibile via. Rabindranath Tagore |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Silenzio
In un luogo sperduto che è la mia memoria s'accampa un Dio sconosciuto. Attende un aureo canto e non cerca alcun cielo. Così io cerco te che sei il mio ricordo. Alda Merini |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Indirizzo
“Dove è la casa dell’amico?” Chiese il cavaliere nel chiarore. Il cielo esitò. Il passante offrì alle sabbie oscure il ramo di luce stretto tra le lebbra, indicò col dito un pioppo e disse: “prima di arrivare all’albero, trovi un sentiero più verde del sogno di Dio dove l’amore è azzurro quanto le ali della sincerità. Prosegui fino in fondo al sentiero, dove sbocca verso l’adolescenza, poi volti verso il fiore della solitudine, due passi prima, ti fermi a guardare l’eterno zampillare dei miti terrestri colto da un limpido timore. E nell’intimità mutevole dello spazio senti un fruscio: vedi un fanciullo salire su un pino alto a prendere un pulcino dal nido della luce e chiedi a lui dove è la casa dell’amico”. Sohrab Sepehri |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Il Corvo di Edgar Allan Poe
Una volta, a mezzanotte, mentre stanco e affaticato meditavo sovra un raro, strano codice obliato, e la testa grave e assorta — non reggevami piú su, fui destato all’improvviso da un romore alla mia porta. «Un viatore, un pellegrino, bussa — dissi — alla mia porta, solo questo e nulla più!» Oh, ricordo, era il dicembre e il riflesso sonnolento dei tizzoni in agonia ricamava il pavimento. Triste avevo invan l’aurora — chiesto e invano una virtù a’ miei libri, per scordare la perduta mia Lenora, la raggiante, santa vergine che in ciel chiamano Lenora e qui nome or non ha più! E il severo, vago, morbido, ondeggiare dei velluti mi riempiva, penetrava di terrori sconosciuti! tanto infine che, a far corta — quell’angoscia, m’alzai su mormorando: «È un pellegrino che ha battuto alla mia porta, un viatore o un pellegrino che ha battuto alla mia porta, questo, e nulla, nulla più!». Calmo allor, cacciate alfine quelle immagini confuse, mossi un passo, e: «Signor — dissi — o signora, mille scuse! ma vi giuro, tanto assorta — m’era l’anima e quassù tanto piano, tanto lieve voi bussaste alla mia porta, ch’io non sono ancor ben certo d’esser desto». Aprii la porta: un gran buio, e nulla più! Impietrito in quella tenebra, dubitoso, tutta un’ora stetti, fosco, immerso in sogni che mortal non sognò ancora! ma la notte non dié un segno — il silenzio pur non fu rotto, e solo, solo un nome s’udì gemere: «Lenora!» Io lo dissi, ed a sua volta rimandò l’eco: «Lenora!» Solo questo e nulla più! E rientrai! ma come pallido, triste in cor fino alla morte esitavo, un nuovo strepito mi riscosse, e or fu sì forte che davver, pensai, davvero — qualche arcano avvien quaggiù, qualche arcan che mi conviene penetrar, qualche mistero! Lasciam l’anima calmarsi, poi scrutiam questo mistero! Sarà il vento e nulla più! Qui dischiusi i vetri e torvo, — con gran strepito di penne, grave, altero, irruppe un corvo — dell’età la più solenne: ei non fece inchin di sorta — non fe’ cenno alcun, ma giù, 40come un lord od una lady si diresse alla mia porta, ad un busto di Minerva, proprio sopra alla mia porta, scese, stette e nulla più. Quell’augel d’ebano, allora, così tronfio e pettoruto tentò fino ad un sorriso il mio spirito abbattuto: e, «Sebben spiumato e torvo, — dissi, — un vile non sei tu certo, o vecchio spettral corvo della tenebra di Pluto? Quale nome a te gli araldi dànno a corte di Re Pluto?» Disse il corvo allor: «Mai più!». Mi stupii che quell’infausto disgraziato augello avesse la parola, e benché quelle fosser sillabe sconnesse, trasalii, ché, in niuna sorta — di paese fin qui fu dato ad uom di contemplare un augel sovra una porta, un augello od una bestia aggrappata ad una porta con un nome tal: «Mai più!». Ma severo e grave il corvo più non disse e stette come s’egli avesse messo tutta quanta l’anima in quel nome: sovra il busto, appollaiato — non parlò, non mosse più finché triste ebbi ripreso: «Altri amici m’han lasciato! il mattin non sarà giunto ch’egli pur m’avrà lasciato!». Disse allor: «Mai più! mai più!». Scosso al motto ch’or sì bene s’era apposto al mio pensiere, «Certo, — dissi, — queste sillabe sono tutto il suo sapere! e chi a tale ritornello — l’addestrò, forse quaggiù sarà stato sì infelice ch’ogni canto suo più bello come un requiem, non aveva ogni canto suo più bello a finir che in un mai più!» Ma un pensier folle ancor voltomi a un sorriso il labbro torvo: scivolai su un seggiolone fino in faccia al busto e al corvo, e qui, steso nel velluto — presi intento a studiar su cosa mai volesse dire quel ferale augel di Pluto, quel feral, sinistro, magro, triste, infausto augel di Pluto col suo lugubre: «Mai più!». Così assorto in fantasie stetti a lungo, e sempre intento all’augello i di cui sguardi mi riempivan di spavento, non osai più aprire labro — sprofondato sempre giù fra i cuscini accarezzati dal chiaror di un candelabro fra i cuscini rossi ov’ella, al chiaror di un candelabro, non verrà a posar mai più! Allor parvemi che a un tratto si svolgesse in aria, denso e arcan, come dal turibolo d’un angelo, un incenso. «O infelice, dissi, è l’ora! — e infin ecco la virtù e il nepente che imploravi per scordar la tua Lenora! Bevi, bevi il filtro e scorda! scorda alfin questa Lenora!» Mormorò l’augel: «Mai più!». «O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora! o l’Averno t’abbia inviato — o una raffica di bora t’abbia, naufrago, sbalzato — a cercar asil quaggiù, in quest’antro di sventure, di’ al meschino che t’implora, se qui c’è un incenso, un balsamo divino! egli t’implora!» Mormorò l’augel: «Mai più!». «O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora! per il ciel sovra noi teso, per l’Iddio che noi s’adora di’ a quest’anima se ancora — nel lontano Eden, lassù, potrà unirsi a un’ombra cara che chiamavasi Lenora! a una vergine che gli angeli ora chiamano Lenora!» Mormorò l’augel: «Mai più!». «Questo detto sia l’estremo, spettro o augello — urlai sperduto. Ti precipita nel nembo! torna ai baratri di Pluto! non lasciar piuma di sorta — qui a svelar chi fosti tu! lascia puro il mio dolore, lascia il busto e la mia porta! strappa il becco dal mio cuore! t’alza alfin da quella porta!» Disse il corvo: «Mai, mai più!» E la bestia ognor proterva — tetra ognora, è sempre assorta sulla pallida Minerva — proprio sopra alla mia porta! Il suo sguardo sembra il guardo — d’un dimon che sogni, e giù sui tappeti il suo riflesso tesse un circolo maliardo, e il mio spirto, stretto all’ombra di quel circolo maliardo non potrà surger mai più! |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Torture
"Nulla è cambiato. Il corpo prova dolore, deve mangiare e respirare e dormire, ha la pelle sottile, e subito sotto – sangue, ha una buona scorta di denti e di unghie, le ossa fragili, le giunture stirabili. Nelle torture di tutto ciò si tiene conto. Nulla è cambiato. Il corpo trema, come tremava prima e dopo la fondazione di Roma, nel ventesimo secolo prima e dopo Cristo, le torture c’erano e ci sono, solo la Terra è più piccola e qualunque cosa accada, è come dietro la porta. Nulla è cambiato. C’è soltanto più gente, alle vecchie colpe se ne sono aggiunte di nuove, reali, fittizie, temporanee e inesistenti, ma il grido con cui il corpo ne risponde rà, è e sarà un grido di innocenza, secondo un registro e una scala eterni. Nulla è cambiato. Tranne forse i modi, le cerimonie, le danze. Il gesto delle mani che proteggono il capo è rimasto però lo stesso, il corpo si torce, si dimena e si divincola, fiaccato cade, raggomitola le ginocchia, illividisce, si gonfia, sbava e sanguina. Nulla è cambiato. Tranne il corso dei fiumi, la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai. Tra questi paesaggi l’anima vaga, sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana, a se stessa estranea, inafferrabile, ora certa, ora incerta della propria esistenza, mentre il corpo c’è, e c’è, e c’è e non trova riparo." Wisława Szymborska |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
La luna è lunatica
Il sole è solare Le mezze stagioni però, non vengono più da un bel po' Se è luglio non è il grande caldo è colpa dell'umidità tra il timido orso un anno che va il luogo comune è un paese. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
.....serata maledetta....di una vita che forse con me si e' solo distratta....e torno a casa....e guido...una canzone triste d'oltreoceano mi porta come dentro un film....la musica mi coinvolge...e la risento...e ancora....e una curva dopo l'altra le luci della notte mi raccontano quanto io sia solo....e piango...
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Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Cio che è perduto
Dove sarà lavita che non vissi e che poteva essere mia, l'altra, di buona sorte o spaventosa e triste, che non è stata e forse era la spada o lo scudo. Dove sarà il perduto avo persiano o norvegese, dove il destino di non finire cieco, il mare, l'ancora, l'oblio di essere l'uomo che sono? Dove la serena notte che al rude contadino dona l'illetterato e laborioso giorno, come vorrebbe la letteratura? E penso infine a quella mia compagna che mi aspettava, e che forse mi aspetta. Jorge Luis Borges |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Sera
L’acciottolato spento, il semplice ricorso alla nuda espressione della sera. La mancanza del verbo che si sveglia, la candela che perde la sua cera. Ho sempre questo tenero riserbo per le parole che non dico, o che dico solo per celia. Ma è tutto così astruso, il pallore della neve, l’albero di fico la materia astratta, il giorno sempre già concluso. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
La "Speranza" è quella cosa piumata
La "Speranza" è quella cosa piumata - che si viene a posare sull'anima - Canta melodie senza parole - e non smette - mai - E la senti - dolcissima - nel vento - E dura deve essere la tempesta - capace di intimidire il piccolo uccello che ha dato calore a tanti - Io l'ho sentito nel paese più gelido - e sui mari più alieni - Eppure mai, nemmeno allo stremo, ha chiesto una briciola - di me. Emily Dickinson |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Colore di pioggia e di ferro
Dicevi:morte, silenzio, solitudine; come amore, vita. Parole delle nostre provvisorie immagini. E il vento s'è levato leggero ogni mattina e il tempo colore di pioggia e di ferro è passato sulle pietre, sul nostro chiuso ronzio di maledetti. Ancora la verità è lontana. E dimmi, uomo spaccato sulla croce, e tu dalle mani grosse di sangue, come risponderò a quelli che domandano? Ora, ora: prima che altro silenzio entri negli occhi, prima che altro vento salga e altra ruggine fiorisca. Salvatore Quasimodo |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Un ospite
Non sei nella mia vita al mio fianco non mangi alla mia tavola ne’ ridi ne’ canti ne’ vivi per me. Siamo estranei tu e me stessa e la mia casa. Sei un estraneo un ospite che non cerca che non vuole piu’ che un letto a volte. Che ci posso fare se non cedertelo. Ma io vivo da sola. Idea Vilarino |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
appena sfornata...
Alberi e nebbia I rami questa mattina sono di un pallore irreprensibile come guance sbavate dalla noia Le fantasie mia nebbia quotidiana muovono millimetri ad una quota che non è più che un sussurro di terra. Sorriso che non ti spogli davanti ad uno sconosciuto, sconosciuto per me devi rimanere per essere fantasmagoria di nebbia nell’assenza. |
Re: Il verso giusto. L'angolo della poesia.
Molti zero
Senza voce l'insegnante si alza davanti a una classe di pallidi bambini dalle labbra serrate. La lavagna alle sue spalle tanto nera quanto il cielo che dista anni luce dalla terra. È il silenzio che l'insegnante ama, il gusto dell’infinito che trattiene. Le stelle come le impronte di denti sulle matite dei bambini. Ascoltatelo, dice felice. Charles Simic |
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