Ciao a tutti,
sono un 33enne nullafacente, non studio e non lavoro. Vivo a casa con i miei. Svolgo alcune attività per piacere personale: leggo, incontro coetanei, navigo molto in internet, compio di volta in volta qualche giro all'estero e cerco, come posso, di portare avanti alcuni piccoli progetti cinematografici, anche se oggi questo termine non ha più alcun valore. Cerco di fare qualcosa per passare il tempo, ma senza mai troppa convinzione.
Non credo di soffrire di alcun grave disturbo, quello che mi spinge a scrivere qui è più che altro una condizione esistenziale che nel tempo si è andata cronicizzando e mi ha costretto ad una condotta di vita che da molti potrebbe considerarsi abietta. Potrei definirla come una forma abbastanza virulenta di accidia quella che mi ha colpito molti anni fa. Disinteresse e noia per tutto. Attacchi di dolorosa insofferenza. Nausea, nausea di essere in vita, di dire cose, di fare e di pensare, di esserci e di rispondere a comportamenti stereotipati, di vivere ciò che vivono tutti gli altri.
Fobia sociale? No, non credo di soffrirne. Non ho problemi a relazionarmi con gli altri. Ho problemi a relazionarmi con il tempo piuttosto, sento di esserci caduto dentro e di provare una profonda depressione, nel passato ho sperimentato anche un volontario e ferreo isolamento frutto di una misantropia che però non ha retto all'esigenza tutta istintiva di contatto umano.
Tuttavia continuo ancora a pensare (a sapere) che la vita, superata l'infanzia e l'adolescenza, è qualcosa di terribile e di tremendamente doloroso che non lascia scampo. Per molto tempo ho pensato che il suicidio fosse l'unica vera azione di fuga, poi ho lasciato perdere e sono ricaduto in un oblomovismo che un po' mi aiuta a sopportabile quel che sopportabile non è.
Ecco si, insomma.. avrei molto altro da aggiungere, ma la questione potrebbe davvero andare molto per le lunghe e non penso che sia il caso.