|
02-06-2008, 10:48
|
#1
|
Principiante
Qui dal: Mar 2007
Messaggi: 54
|
“L’isolamento mi ha scolpito a sua immagine e somiglianza. La presenza di un’altra persona (basta una sola persona) fa ritardare immediatamente il mio pensiero, e mentre per l’uomo normale il contatto con gli altri è uno stimolo all’espressione e al discorso, in me quel contatto è un contro-stimolo, ammesso che questa parola composta sia accettabile da un punto di vista linguistico. Sono capace, a tu per tu con me stesso, di immaginare una quantità di motti di spirito, di risposte rapide a ciò che nessuno ha detto, di folgorazioni di una socialità intelligente con persona alcuna; ma tutto questo sparisce se sono davanti a un’altra persona fisica; perdo l’intelligenza, sono incapace di parlare e, alcuni quarti d’ora più tardi, sento soltanto sonno. [...]
D’altronde, detesto essere obbligato a un contatto con gli altri. Un semplice invito a cena con un amico mi causa un’angustia difficile da definire. L’idea di un qualsiasi obbligo sociale (andare a un funerale, occuparmi con qualcuno di un problema dell’ufficio, andare a ricevere alla stazione una persona qualsiasi, conosciuta o sconosciuta), soltanto l’idea mi sconvolge i pensieri per l’intera giornata, e a volte mi preoccupo fin dalla vigilia, dormo male; e poi il fatto in sè quando si verifica, è un fatto assolutamente insignificante, non giustifica tanti problemi; ma la cosa si ripete e io non imparo mai a imparare”
“Convinto che ogni passo che muovevo nella vita era un contatto col terrore del Nuovo, e che ogni nuova persona che conoscevo era un nuovo frammento vivo dell’Ignoto che io collocavo sulla mia scrivania per una quotidiana riflessione di paura, ho deciso di astenermi da tutto, di non andare da nessuna parte, di ridurre le azioni al minimo, di sottrarmi il più possibile agli appuntamenti con gli uomini e con gli avvenimenti, di raffinare l’astinenza e di coltivare la rinuncia. A tal punto mi spaventa e mi tortura vivere”
“Tutta la costituzione del mio spirito è di esitazione e di dubbio. Per me, nulla è né può essere positivo; tutte le cose oscillano intorno a me, e io con esse, incerto per me stesso. Tutto per me è incoerenza e mutamento. Tutto è mistero, e tutto è pregno di significato. Tutte le cose sono "sconosciute", simbolo dell'Ignoto. Il risultato è orrore, mistero, una paura troppo intelligente.[…] Il mio carattere è del genere interiore, autocentrico, muto, non autosufficiente, ma perduto in se stesso. Tutta la mia vita è stata di passività e di sogno. Tutto il mio carattere consiste nell'odio, nell'orrore della e nella incapacità che impregna tutto ciò che sono, fisicamente e mentalmente, di atti decisivi, di pensieri definiti”
“A volte, passando per la strada, colgo brani di conversazioni intime, e si tratta quasi sempre di conversazioni sull’altra donna, sull’altro uomo, sul ragazzo di una o sull’amante dell’altro. Per il solo fatto di sentire queste ombre di discorso umano, che poi in fondo è tutto ciò di cui si occupa la maggioranza delle vite coscienti, porto dentro di me un tedio disgustato, l’angoscia di un esilio fra ragni e l’immediata consapevolezza della mia umiliazione fra gente reale: la condanna, nei confronti del proprietario e del luogo, di essere simile agli altri inquilini dell’agglomerato; di stare a spiare con disgusto, fra le sbarre del retrobottega, l’immondizia altrui che si ammucchia sotto la pioggia in quel cortile interno che è la mia vita”
“Sapendo perfettamente come anche le cose più insignificanti abbiano la capacità di torturarmi, evito deliberatamente il contatto con le cose insignificanti. Chi, come me, soffre quando una nuvola passa davanti al sole, come potrebbe non soffrire nell’oscurità del giorno perennemente annuvolato della sua vita?
La mia solitudine non consiste in una ricerca di felicità, che non ho la forza di raggiungere, né di tranquillità, che si ottiene soltanto se non la si è mai perduta. Ma è una ricerca di sonno, di annullamento, di piccola rinuncia.
Le quattro pareti della mia stanza disadorna sono per me al contempo prigione e lontananza, letto e bara. Le mie ore più felici sono quelle in cui non penso a nulla, in cui non voglio nulla, in cui non sogno neppure, perso in un torpore di vegetale errato, mero muschio cresciuto sulla superficie della vita. E senza amarezza, assaporo l’assurda consapevolezza di non essere nulla, sapore previo della morte e della cancellazione”
“Ho vissuto tanto senza avere vissuto! Ho pensato tanto senza aver pensato! Mondi di violenze immobili, di avventure trascorse senza movimento, pesano su di me. Sono stanco di ciò che non ho mai avuto e che non avrò, stanco di Dei che non esistono. Porto con me le ferite di tutte le battaglie che ho evitato. Il mio corpo è dolorante per lo sforzo che non ho nemmeno pensato di fare.”
“Per ogni cosa ho esitazione, spesso senza sapere perchè. Cerco spesso, come una linea retta, la distanza più lunga fra due punti, considerandola in teoria la linea retta ideale. Non ho mai avuto l’arte di vivere in maniera attiva. Ho sempre sbagliato i gesti che nessuno sbaglia. Ho sempre fatto il possibile per tentare di fare quello che tutti sanno fare. Voglio sempre ottenere ciò che gli altri riescono a ottenere anche senza volerlo. Fra me e la vita ci sono sempre stati dei vetri opachi. Non mi sono mai accorto degli altri nè attraverso la vista nè attraverso il tatto, e non ho vissuto la vita o il suo progetto. Sono stato il vaneggiamento di colui che volevo essere, il mio sogno è cominciato nella mia volontà, il mio proposito è stato la finzione di ciò che non ero”
"Il libro dell'inquietudine", F. Pessoa
|
|
02-06-2008, 12:42
|
#2
|
Esperto
Qui dal: Jul 2007
Messaggi: 1,411
|
Pessoa si creò addirittura degli "eteronimi", personaggi immaginari altri daSè, ognuno con la propria storia e il proprio stile poetico (Alberto Caeiro, poeta bucolico, Ricardo Reis, poeta classico, Alvaro De Campos, poeta futurista ecc.). Questi eteronimi dialogavano anche fra di loro e con lo stesso Pessoa, che a sua volta scriveva a suo nome col proprio stile, e si recensivano e criticavano a vicenda. Alberto Caeiro era in un certo qual modo il maestro di Pessoa.
Scriveva lettere ad una donna di cui era innamorato, impersonando uno dei suoi eteronimi e dicendole cose del tipo "Non perdere tempo con quel Pessoa, è uno smidollato!".
Mentre i timidi/sociofobici indossano una maschera spesso inconsapevolmente, lui elevò tale travestimento a forma d'arte ed essenza della sua poesia.
|
|
02-06-2008, 13:28
|
#3
|
Principiante
Qui dal: Mar 2007
Messaggi: 54
|
Quote:
Originariamente inviata da bardamu
Pessoa si creò addirittura degli "eteronimi", personaggi immaginari altri daSè, ognuno con la propria storia e il proprio stile poetico (Alberto Caeiro, poeta bucolico, Ricardo Reis, poeta classico, Alvaro De Campos, poeta futurista ecc.). Questi eteronimi dialogavano anche fra di loro e con lo stesso Pessoa, che a sua volta scriveva a suo nome col proprio stile, e si recensivano e criticavano a vicenda. Alberto Caeiro era in un certo qual modo il maestro di Pessoa.
Scriveva lettere ad una donna di cui era innamorato, impersonando uno dei suoi eteronimi e dicendole cose del tipo "Non perdere tempo con quel Pessoa, è uno smidollato!".
Mentre i timidi/sociofobici indossano una maschera spesso inconsapevolmente, lui elevò tale travestimento a forma d'arte ed essenza della sua poesia.
|
Proprio così. Comunque non me la sento di etichettare Pessoa come fobico, anche se negli estratti che ho riportato ci sono sicuramente degli elementi di disagio...Penso piuttosto che una persona di tali profondità e complessità fosse inevitabilmente destinata alla solitudine.
|
|
02-06-2008, 14:07
|
#4
|
Esperto
Qui dal: Dec 2007
Messaggi: 936
|
"Un baule pieno di gente"
... Comincio dalla parte psichiatrica. L'origine dei miei eteronimi è il profondo tratto di isteria che c'è in me. Non so se sono semplicemente isterico o se non sono, più propriamente, isterico-nevrastenico. Propendo per questa seconda ipotesi perché si danno in me fenomeni di abulia che l'isteria propriamente detta non annovera tra i suoi sintomi. Sia come sia, l'origine mentale dei miei eteronimi risiede nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente per me e per gli altri, si sono mentalizzati in me, voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica esteriore e di contatto con gli altri. Esplodono verso l'interno, e io li vivo nella mia solitudine. Se io fossi una donna -nella donna i fenomeni isterici si manifestano in attacchi e cose simili-, ogni poesia di Álvaro de Campos (la parte più istericamente isterica di me) sarebbe un allarme per il vicinato. Ma io sono un uomo, e negli uomini l'isteria assume principalmente aspetti mentali; così tutto finisce nel silenzio e nella poesia ...
...Ebbi sempre, da bambino, la necessità di aumentare il mondo con personalità fittizie, sogni miei rigorosamente costruiti, visionati con chiarezza fotografica, capiti fin dentro le loro anime. Non avevo più di cinque anni, e , bimbo isolato e non desideroso se non di stare così, già mi accompagnavano alcune figure del mio sogno, un capitano Thibeaut, Chevalier de Pas e altri che ho dimenticato […]. Ciò sembra la semplice immaginazione infantile che si diverte con l'attribuire vita a fantocci e a bambole. Era però qualcosa di più: io non avevo bisogno di bambole per concepire intensamente quelle figure. Chiare e visibili nel mio sogno costante, realtà esattamente umane per me, qualunque fantoccio, poiché irreale, le aveva sciupate. Erano gente.
…Questa tendenza non passò con l'infanzia, si sviluppò nell'adolescenza, si radicò con la crescita, divenne alla fine la forma naturale del mio spirito. Oggi ormai non ho personalità: quanto in me ci può essere di umano, l'ho diviso tra gli autori vari della cui opera sono stato l'esecutore.sono oggi il punto di riunione di una piccola umanità solo mia.
…E così mi sono fatto, e ho propagato, vari amici e conoscenti che non sono mai esistiti, ma che ancora oggi, a quasi trent'anni di distanza, io ascolto, sento, vedo. Ripeto: ascolto, sento, vedo…E ne ho nostalgia
Come che sia, l'origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l'interno e io li vivo da solo con me stesso.
(dalla lettera al poeta Adolfo Casais Monteiro, scritta nel 1935)
Dio non ha unità,
come potrei averla io?
(da "Episodi")
Mi sento multiplo. Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un 'unica anteriore realtà che non è in nessuno ed è in tutti.
(da "Appunti sparsi")
Mi sono moltiplicato per sentire,
per sentirmi, ho dovuto sentire tutto,
sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi,
e in ogni angolo della mia anima c'è un altare a un dio differente.
( da "Passaggio delle ore"- Poesie di Álvaro de Campos )
Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso.
( da "Il libro dell'Inquietudine" )
|
|
|
|