Mmmmm vediamo...
Osservando da anni il tutto, leggendo, sperimentando, e trovando conferme anche qua dentro, queste situazioni di disagio esistenziale potremmo dire che sono quasi (e dico quasi perchè la prudenza e di rigore e perchè vi è anche una componente biologica) sempre figlie di una annichilente percezione di qualcosa: gli altri, il loro giudizio, la vita in generale, la morte, il sesso, la donna/ l'uomo, il rapporto con i genitori, e se stessi.
Gli effetti di tutto ciò sono paura, ansia, depressione ecc ecc...aimè l'elenco sopra fatto forma un effetto domino, quindi uno può essere collegato all'altro, con effetti negativi multipli, è da dire però che anche gli effetti positivi possono essere multipli, ovvero la risoluzione di uno di quegli aspetti diminuisce il peso degli altri.
Messa così in soldoni e in generale si potrebbe dire che la soluzione per "tutta questa roba psicologica" sia il cambiare tale percezione.
Ma come....secondo me, e ho già espresso spesso questa idea, NESSUNO è condannato a vita in questa condizione, se ne può uscire, ma è necessaria una grande forza, forza che abbraccia molti aspetti, quali?
La maggior parte di questi aspetti dipendono dalla persona, uno invece è universale.
I vari aspetti dipendono dal carattere, dalla mentalità, dal tipo di essere che si ritrova all'interno di queste logiche di disagio: vi è la persona pratica (solitamente non depressa) portata all'azione che si ritrova in stati di fobia ed ansia, e che agisce, stringe i denti, va avanti, ma continua a sentire quella sensazione sgradevole, annichilente la cui sorgente è sempre quella percezione sbagliata di qualcosa.
Questo tipo di persona non è molto propensa all'introspezione e quindi spera che nell'agire, nell'affrontare giorno per giorno la situazione di disagio si formi una sorta di callo mentale che porti alla desensibilizzazione dell'evento, si forma cioè un'abitudine.
Questa abitudine è tanto taumaturgica quanto è meno profonda la sorgente dell'ansia, la caratteristica della profondità è fondamentale per far scattare quel aspetto che unisce tutti quanti noi, ovvero la presa di coscienza, il cambio di percezione.
Se tal persona pratica riesce a capire, a svoltare la prospettiva di quell'evento con l'abitudine allora può ritenersi soddisfatta e guarita, perchè avrà preso atto che ciò che, automaticamente o meno, pensava prima non era reale, ma figlio di una sbagliata logica di pensiero.
Se tale pratica persona non riesce invece a svoltare nonostante l'azione, allora potrebbe significare che la fonte del malessere è più profonda e riguarda un aspetto di sè che ancora non è saltato all'occhio emotivo, e cognitivo di se....e ciò porta alla strada percorsa da un altro tipo di persone, i cosidetti introspettivi.
Gli introspettivi, suppongo, tendono prima a raggiungere il lato depressivo rispetto ai pratici, vuoi perchè sono molto mentali, vuoi perchè hanno un'enorme necessità di capire a fondo la questione.
La strada da loro intrapresa è quella di osservare, osservarsi, e andare sempre più a fondo per intendere da dove nasca quella sensazione di "no-sense", di paura, e di pericolo.
Ci si arrovella, ci si avventura tra i pensieri e le emozioni con una luce chiamata "logica" nella speranza di scardinare il meccanismo fallace e ripristinare il sistema.
Io introspettivo l'ho vissuta, e la vivo, come una continua ricerca, un conoscere se stessi, che aimè ha l'effetto collaterale di portare alle sabbie mobili mentali, ovvero si va molto a fondo, spesso troppo, e ci si perde un po', si iniziano a capire i perchè dei propri atteggiamenti ma sembra quasi che non si arrivi mai a girare quella chiave maestra.
E' così fondamentalmente perchè la mente, sia quella emotiva che quella razionale, sono meccanismi molto complessi, molto ardui da capire e probabilmente non si potrà mai vederla come qualcosa di pienamente comprensibile.
L'introspettivo in questo suo cammino, raggiunge piccole prese di coscienza di se stesso che lo portano comunque ad avere una comprensione maggiore ma non una comprensione così vasta da svoltare quella dannata percezione di fondo.
Si potrebbe dire quindi che tutta questa attività mentale sia sì crescitiva ma anche corrosiva nel suo continuo scavare, a tutta questa attività si dovrebbe quindi associare anche l'azione, la pratica.
Pratica e introspezione quindi sembrano unire i pratici e gli introspettivi, ovvero coloro che hanno un disagio molto profondo, un vero e proprio cammino quindi che può essere fatto con una persona a fianco, il famoso terapeuta, peccato che sia così difficile trovarne uno bravo e adatto a se.
Se volessimo quindi focalizzarci su cosa può farci svoltare in generale la risposta è, da quanto oggi penso: una profonda presa di coscienza e un cambio di prospettiva basata sia sulla conoscenza personale, sia dal prendere atto della realtà della nuova prospettiva in campo emotivo e in campo cognitivo, meta da raggiungere per vie diverse, a seconda del tipo di persona, ma la cui meta coincide con un profonda presa di coscienza, unico passo che ha effetti nella sfera emotiva e in quella mentale.
Ovviamente posso aver scritto tante scemenze, e mi aspetto che in pochi leggeranno visto che non si parla di figa o di altri temi meno mentali, ma credo che vi sia un po' di verità in queste parole