Salve sono nuovo anche se mi ero già iscritto tempo fa, non avevo mai frequentato (non so perchè, avevo semplicemente dimenticato di farlo). Vi presento la mia situazione: ho 22 anni, zero assoluto amici-contatti sociali di qualsiasi tipo, dunque da tempo sono diventato depresso, anche se con fasi alterne, per la semplice consapevolezza di non fare una vita adatta alla mia età, cosa che desidero molto, nè di riuscire a vedere un modo per riuscire ad ottenerla, anche in futuro. Se queste sono le premesse, direte voi, sono semplicemente un fobico senza speranza, direte voi, risolto il dilemma. INvece io credo di no. Da bambino non ero affatto fobico, anche se non ho molti ricordi l'altro giorno ho rivisto delle foto in cui ero felice, sorridente, pieno di amici, un bel bambino normale insomma. I problemi sono venuti con le medie, in cui dei tanti amici me ne è rimasto uno solo, per di più un po' "particolare", e con le superiori, in cui ho perso pure questo unico amico (stessa classe, ma non solo mi ha abbandonato al mio destino miserabile, ma si è pure diligentemente dedicato ad una costante opera di derisione alle mie spalle, senza che ne avessi il minimo sentore per molto tempo) e sono rimasto nella desolazione più assoluta. Non vi dico quanto questo sia pesante per un ragazzo di 15-16-17-18-19 anni, perchè potete immaginarlo, o probabilmente l'avete sperimentato voi stessi. Fatto sta che quegli anni di liceo mi hanno completamente distrutto, sono diventato una specie di macchina-studio (almeno all'inizio, finchè non ho mollato pure quello) isolata e denigrata da tutti, una specie di caso umano, consapevole di esserlo. Questo anche con l'aiuto di problemi familiari piuttosto seri (litigi in famiglia tra i miei e tra mio padre e me continui) che non hanno fatto che aumentare il senso di diversità che provavo tra me e gli altri, e che mi isolava da loro. Io ero il "secchione" (in realtà odiavo lo studio in modo assurdo, ma anni di diligente ottemperamento dei miei doveri mi avevano cucito questo scomodo ruolo addosso, ahimè), non avevo scampo, in quanto tale dovevo essere pure stronzo (ma quando mai, non ho mai odiato nessuno in vita mia, manco quelli che mi prendevano in giro mattina e sera) ed isolato, per legge di natura. Compresa questa mia condizione all'incirca in quarta-quinta liceo, dopo avere cercato inutilmente di cambiarla con tutte le mie forze, tipo autoinvitandomi ovunque, imponendo la mia presenza se necessario (questo mentre iniziavo una terapia antidepressiva che di certo ha amplificato questa mia voglia di "reagire") sono caduto in uno stato di totale prostrazione. Non piacevo a nessuno anzi di più, ero odiato e disprezzato (più volte alcuni compagni hanno pure cercato di mettermi le mani addosso, ma mi sono difeso) e, per quanto mi sforzassi, c'era come una barriera invisibile che mi separava dagli altri, dall'essere normale. Allora ancora non conoscevo il nome di questa barriera, a malapena avevo estorto alla mia psicologa la parola "depressione" che già mi suonava lontana, e cercavo inutilmente di capire cosa c'era di sbagliato in me, per trovare il modo (sarei stato davvero pronto a tutto) per cambiarlo. Finita la scuola con risultati buoni ma non certo all'altezza delle aspettative che gli altri si erano fatti su di me, mi iscrissi ad ingegneria, dove, vuoi per il forte stress che avevo subito (non entro nei dettagli, dico solo che intervenne il preside) vuoi per la voglia di cambiare tutto senza sapere come iniziare, che mi causava ulteriore ansia, smisi di frequentare quasi dal principio (anche perchè a lezione il fatto di essere "isolato" per me non era una condizione normale e temporanea, ma come una condanna che si ripeteva ogni volta che ci andavo...per questo, più che perchè non mi piacessero gli studi, ho mollato). Dopo un anno di vuoto totale, occupato da cose tipo film ed internet e qualche libro fino alla nausea, i miei mi hanno "consigliato" di fare servizio civile, nella sperenza che qualcosa cambiasse; ho svolto le mie 5 ore di servizio giornaliero, preso la mia lauta paga di 400 euro mensili, e punto e a capo. Nessuna nuova conoscenza, nessuna amicizia, come al solito, quando queste esisgenze diventavano sempre più impellenti. Dopo 7 mesi insulsi, scelgo di lasciar perdere e di fare un cambiamento importante, quasi epocale per la mia vita: cambiare facoltà, cambiare città, andare a vivere solo da un'altra parte, e vedere quel che succede: qualcosa doveva cambiare. Scelgo giurisprudenza, l'avvocato è la persona inserita, che ci sa fare, che sa parlare in pubblico, ed io quello voglio diventare, costi quel che costi. Prendo in affitto una camera in una casa con altri 3 studenti, 2 femmine un maschio: i problemi iniziano fin da subito, i rivolgimenti che aspettavo non avvengono, mi sento lo stesso, i problemi di socializzare rimangono, pur tra qualche breve "picco" che mi fa ben sperare, ma è la minor parte. Passo la maggior parte del tempo chiuso in camera, vergognandomi della mia situazione più che se avessi commesso un omicidio, mi sforzo di rivolgere la parola ai miei coetanei ma il più delle volte escono fuori solo incomprensioni: io divento quello "strano". Tuttavia, arrivano i primi risultati accademici, niente di che, non studio molto e lo faccio malvolentieri, ma sempre meglio del nulla. Non sono soddisfatto del rapporto impegno risultato: finito l'anno, faccio il trasferimento e mi ristabilisco a casa dei miei, dove almeno, se dovevo fare quella vita di merda, non mi dovevo vergognare del giudizio altrui. Riprendo a studiare, sempre più demoralizzato, l'idea di un me "vincente" è sempre più lontana, do qualche esame, si, ma i cambiamenti che cercavo non ci sono. Sento un'insoddisfazione mista a risentimento e sfiducia nel futuro che cresce di giorno in giorno, e tuttavia non posso fare altro che mandarla giù e tirare avanti, sono gli altri quelli che si possono godere la vita, evidentemente non io. Meglio evitarsi sofferenze inutili, fare quel che si può per restare a galla in un mondo che non è fatto per quelli come te, senza nessuna aspettativa. Ecco dove sono adesso. Scusatemi per la prolissità: vi ringrazio se siete riusciti ad arrivare in fondo.