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14-01-2019 16:06
SamueleMitomane
"Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé"

"A quale prezzo psicologico si ottiene un "bravo bambino"? Di quali sottili violenze è capace l'amore materno? Per l'autrice, il dramma del "bambino dotato" - il bambino che è l'orgoglio dei suoi genitori - ha origine nella sua capacità di cogliere i bisogni inconsci dei genitori e di adattarvisi, mettendo a tacere i suoi sentimenti più spontanei (la rabbia, l'indignazione, la paura, l'invidia) che risultano inaccettabili ai "grandi". In tal modo, viene soffocato lo sviluppo della personalità più autentica, e il bambino soffrirà di insicurezza affettiva e di una sorta di impoverimento psichico. Da adulto, sarà depresso, oppure si nasconderà dietro una facciata di grandiosità maniacale. Numerosissimi esempi documentano la sofferenza inespressa di questi bambini e, al tempo stesso, le difficoltà dei genitori, incapaci di essere disponibili verso i figli."

Qui di sopra c'è rispettivamente il titolo e la prefazione di un libro che ho visto mentre giravo per la feltrinelli, che non ho letto (dettaglio abbastanza importante ), ma comunque la prefazione già è uno spunto di riflessione, e forse per voi. Lungi da me definirmi "dotato", anche perché non ha senso detto così, in maniera generale, però sono stato in grado lo stesso di immedesimarmi. Non posso dire che da piccolo non sia stato lodato e apprezzato, particolarmente per la mia tranquillità. E in effetti si, questo sono in grado di dirlo con certezza perché lo ricordo bene, ero molto più tranquillo rispetto altri soggetti, magari anche suscitando invidia nei confronti di altre madri , e magari ero in grado di "capire" generalmente le situazioni e comportarmi di conseguenza in maniera corretta. Tipo, al cinema, anche nelle gite scolastiche, ero lì muto a guardare il film, e guai a chi interrompeva (cosa che è rimasta abbondantemente lol), oppure in chiesa, non facevo troppe storie, mi sedevo e alzavo quando dovevo, insomma ero considerato particolarmente "educato". Ora, non ricordo se allora provavo una sorta di oppressione nei confronti di questa cosa, probabilmente no, ma di certo la trovai a partire dalle medie in poi. Su di me c'era sempre una sorta di aspettativa sottintesa, e un'opinione sul fatto che fossi un ragazzino buono e comprensivo. Ma boh, ad un certo punto cominciavo a sentire insofferente questa etichetta del "ragazzino tranquillo", in quanto di fatto ero meno libero degli altri, e se mi discostavo da questa immagine mi venivano dei sensi di colpa. Al tempo non era così accentuata questa cosa, e soprattutto avevo occasioni per sfogarmi con gli amici. Infatti, sono fobico e/o asociale fino a prova contraria, ma vabè, altra storia. Alle superiori questa cosa si è fatta sentire di più, con l'aggravante poi di non essere mai riuscito ad integrarmi con gli altri e/o non averlo voluto, e sviluppai, una certa spocchia nei confronti degli altri, anche se è una cosa che ora ritengo non essere mai appartenuta a me, in quanto avevo in precedentemente avuto a che fare con ogni sorta di persone ai tempi delle medie. Non si pretendevano voti alti da me o particolari prestazioni, eppure continuavo a mantenere questa nomea, tra mia madre/famiglia e prof, del "bravo ragazzo" o "brillante" o che ne so io. Quindi, sempre più o meno coccolato in un certo senso, ma sempre e solo se rispettavo le condizioni della mia etichetta. Varcare al di fuori di quel limite per me era sempre rischioso per il mio equilibrio mentale. Tipo, "studioso", da dove è uscito fuori? mai studiato seriamente a scuola, mai. Per davvero. Gli anni si passavano perché così doveva andare, tutti promossi. Forse volevo, ero vivace intellettualmente, e mi ponevo l'obiettivo di studiare, ma non lo facevo mai, per chissà quante ragioni o non ragioni. Si parla delle sottili ingerenze dei genitori, anche dei "buoni" genitori, verso i figli. O

Oppure non so, forse sto esagerando la cosa. Forse nonostante questo possa essere vero, non c'era una fortissima pressione e ci sono state moltissime occasione per "riscattarmi" (anche se è difficile farlo quando parliamo di un periodo in cui non analizzavo ancora i miei pensieri in questo modo). Forse è questo ma pure un insieme di altre cose. So però che la "vergogna di me stesso" (su wiki è la definizione più calzante della fs ma fa anche spazio ad una sensazione più grande) ce l'ho ancora, e mentre tizio z, in qualsivoglia situazione, anche se un po' a disagio, è in grado di essere e comportarsi in maniera più o meno coerente con se stesso e con gli altri, io analizzo qualsiasi cosa che faccio, mi chieda se sia più opportuno questo o quell'altro, proiettato verso la prestazione e verso l'altro. Ora a dire il vero sto facendo progressi, anche per quanto riguarda l'impianto "ideologico" per così dire.
Sto solo cercando di capire la causa-prima dei miei comportamenti, atteggiamenti, processi mentali. E il perché le cose son andate così e non in altra maniera. E il mio non vuole essere nemmeno un tentativo codardo di addossare la colpa a qualcuno, ma se non prendo in considerazione tutto non capirò mai.

P.S. comprate il libro che avrò una percentuale per ogni vendita



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