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10-04-2015 18:44
cancellato15851
Re: La fatica di vivere

E' un ingranaggio che ci spezza osso per osso, nessuno può salvarsi
10-04-2015 14:53
Franz86
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da Angus Visualizza il messaggio
Il malessere raramente dipende dal riso in bianco, tant'è che ci sono non poche persone di successo che cambiano continuamente pietanza (il sesso, il denaro, l'amore, il cibo, le macchine, la spiritualità, ecc.) e continuano ad essere infelici. Non che siano carenze del tutto insignificanti (a parte le macchine ), ma è evidente che non sono il problema.
Il secondo metodo (cambiare cucina) è un palliativo, seppure.
Possiamo chiudere la questione dicendo che siamo ciò che facciamo, e facciamo ciò che siamo.

Quote:
Originariamente inviata da Allocco Visualizza il messaggio
Il secondo da solo o non l'ho capito, o non ha senso; perché se puoi cambiare pietanza il problema del mangiare sempre riso non sussiste. Se hai il problema del riso è perché hai solo quello credo, no?
Personalmente non credo, le scelte ci sono sempre: certo che per ogni scelta c'è da pagare un prezzo.
Cambiare radicalmente rispetto al riso in bianco si può, bisogna vedere quanto però si è disposti a mettere in gioco ( riguardo all' idea di se stessi e sul proprio concetto di "vita" in generale ).
Quote:
Se mangi solo riso perché solo quello hai senza possibilità di recuperare altro fai quel che puoi per renderlo più buono, o semplicemente diverso ogni volta (basta ad esempio variare la quantità di acqua per renderlo di consistenza diversa - costo 0 - o usare spezie - costo relativo); puoi mangiarlo in modi diversi (forchetta, cucchiaio, bacchette, mani, pestato, frullato ecc..) eccetera eccetera, l'unico limite è "la fatica di vivere".
Ma se l'impegno iniziale è tendente allo zero (es. mettere meno acqua nella pentola) la fatica si può superare anche se depressi. E poi dai piccoli progressi ricavi nuova ispirazione per avere un riso sempre migliore.
Sì e no: cioè, in fin dei conti rimane sempre il solito riso, e se si parte con questo pensiero ( disfunzionale? ), si uccide la motivazione in partenza.

La ricetta ( per restare in ambito culinario ) della felicità/soddisfazione/entusiasmo deriva dal bilancio tra energie spese e energie ( di altro tipo ) che si incamerano conseguentemente allo sforzo.

Se spendo 1 per fare qualcosa, se ricavo 1+n sono motivato a rifarla, se ricavo 1 posso tollerarlo, se invece ricavo 1-n perdo progressivamente voglia di farla.
Tu dici che sforzandosi per ottenere un 1+ un "n" molto piccolo piano piano si migliora... secondo me no, dal momento che quando si arriva a questi ragionamenti si è già sprofondati in una fossa, e per uscirne non basta più un passettino alla volta, servono proprio dei salti ...

Comunque grazie a voi Angus e Allocco per gli spunti.
09-04-2015 10:46
Allocco
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da XL Visualizza il messaggio
Leggi bene ...
Derogo al mio addio al topic per chiarire: avevo capito il tuo discorso.
Giustissimo, ma troppo teorico e privo di sbocchi risolutivi. Se uno ha un problema ORA come deve fare?

Se sono alto 1.90 e devo passare per una porta alta la metà?
Stare a guardarla sperando che si alzi è il comportamento che attua il mio cane quando osserva il biscotto sperando che cada da solo dal tavolo.
08-04-2015 09:42
Allocco
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da XL Visualizza il messaggio
Se delle persone avessero [...]

Insomma non è che si risolve il problema così, si afferma solo "adattati alle cose e alle proporzioni tra spesa e guadagno così come sono, perché resteranno inalterate queste proporzioni, e non rompere più i coglioni, se vuoi guadagnare di più investi di più...". Ma si dica questo direttamente, senza tutti questi giri di parole, facciamo prima.
Per me perciò i conti non tornano e nemmeno riconosco delle soluzioni come soluzioni di certi problemi economici (e qua io non mi riferisco semplicemente ai soldi), per me si ignorano soltanto i vincoli da soddisfare per risolverli davvero questi problemi.
Non so se ti riferisci a ciò che ho scritto io (nel qual caso rileggi, non hai capito bene.), ma del resto o ho letto male io il thread o effettivamente nessuno ha scritto qualcosa del genere ("adattati e bla bla").

Ciò che non torna è che si cerca di spiegare che la propria condizione non è definitiva e insuperabile?
Ok XL, il problema è insuperabile. Andiamo avanti così.
La fatica di vivere la superiamo comprendendo i vincoli da soddisfare per risolvere i problemi che la causano, ok, molto chiaro e fattibile.

(e con questo esco ufficialmente dal thread.)
08-04-2015 04:25
alienarmy
Re: La fatica di vivere

quando riesco a dormire il primo pensiero e' domani chi me la da la forza
per andare avanti , e poi mi alzo vado a lavoro e conto le ore dal primo
bicchiere e poi un altro un altro e un altro per me e' cosi che va
non mi fa ne paura io sono questo lo scelto ?? non lo so..
08-04-2015 00:48
susan
Re: La fatica di vivere

ciao.
ho ben presente quella sensazione di stanchezza mentale e fisica che ti colpisce per ogni singola cosa che fai. alzarsi ed affrontare la giornata diventa pesante,e la sera sono così stanca che mi pare di aver lavorato 12 ore in miniera. la mattina poi non mi sveglierei mai. vorrei fare tante cose ma mi pare mi manchino le forze perchè l'ansia e lo stress me le consumano tutte
07-04-2015 13:03
IO&EVELYN
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da tersite Visualizza il messaggio
il piacere della buona tavola è uno dei piaceri della vita e già ce ne abbiamo pochi, perché privarcene?

vero. quelli che fanno la dieta però devono per forza. per salute. già...
07-04-2015 12:26
tersite
Re: La fatica di vivere

il piacere della buona tavola è uno dei piaceri della vita e già ce ne abbiamo pochi, perché privarcene?
07-04-2015 11:45
Allocco
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da Franz86 Visualizza il messaggio
Se io sono arcistufo di mangiare tutti i santi giorni riso in bianco, posso dirmi che il problema è in me, dato che c'è gente che muore di fame etc. , ed impormi una disciplina dell' apprezzamento della mia scodella quotidiana, oppure variare regolarmente pietanza.

Possono funzionare entrambi i metodi, e sicuramente il primo è il più profondo, ma è anche il più impegnativo: a mio avviso, sopravvalutarsi non è una tattica vincente quando si è depressi.
Non sono metodi mutualmente esclusivi, bisogna dire. Anzi la cosa migliore sarebbe combinarli in modo da rafforzarli vicendevolmente.

Il primo da solo non funziona formulato così, se sei stufo del riso non puoi portare motivazione dall'esterno (gente povera ecc..) perché per te il tuo problema è impellente e quindi maggiore rispetto a quelli esterni (nel 99% dei casi almeno).
Nè puoi dirti "a me il riso in bianco piace", perché semplicemente sei stufo.

Il secondo da solo o non l'ho capito, o non ha senso; perché se puoi cambiare pietanza il problema del mangiare sempre riso non sussiste. Se hai il problema del riso è perché hai solo quello credo, no?

Se mangi solo riso perché solo quello hai senza possibilità di recuperare altro fai quel che puoi per renderlo più buono, o semplicemente diverso ogni volta (basta ad esempio variare la quantità di acqua per renderlo di consistenza diversa - costo 0 - o usare spezie - costo relativo); puoi mangiarlo in modi diversi (forchetta, cucchiaio, bacchette, mani, pestato, frullato ecc..) eccetera eccetera, l'unico limite è "la fatica di vivere".
Ma se l'impegno iniziale è tendente allo zero (es. mettere meno acqua nella pentola) la fatica si può superare anche se depressi. E poi dai piccoli progressi ricavi nuova ispirazione per avere un riso sempre migliore.

Perché dovresti migliorarlo? Perché detesti mangiare sempre lo stesso riso.
Se non si arriva a tale (non semplice) consapevolezza, e la si rifiuta portando non-motivazioni è perché si è sulla soglia di sopportazione di cui parlavi.
In quel caso serve un evento scatenante, lo ammetto (es. indigestione?).
Ma questo evento, se solo ci pensiamo un attimo, lo possiamo generare anche noi stessi.

Questi esempi col riso mi fan venire fame, non so a voi..!

Vorrei precisare che i miei interventi non vogliono in alcun modo sottostimare la difficoltà nel fare ciò che dico; né portare una soluzione "pronta" per tutti.
Semplicemente alla domanda "la fatica di vivere ce l'avete?" A me viene da rispondere naturalmente "Si, ce l'ho, e per superarla faccio questo questo e quello; e se ce l'hai anche tu e non ti piace (altrimenti non me ne parleresti, non saresti qui credo), dato che richiede un impegno molto progressivo a partire da quasi zero, puoi provare!"
Scusate la precisazione ma era d'obbligo
06-04-2015 17:37
Angus
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da Franz86 Visualizza il messaggio
Se io sono arcistufo di mangiare tutti i santi giorni riso in bianco, posso dirmi che il problema è in me, dato che c'è gente che muore di fame etc. , ed impormi una disciplina dell' apprezzamento della mia scodella quotidiana, oppure variare regolarmente pietanza.

Possono funzionare entrambi i metodi, e sicuramente il primo è il più profondo, ma è anche il più impegnativo: a mio avviso, sopravvalutarsi non è una tattica vincente quando si è depressi.
Il malessere raramente dipende dal riso in bianco, tant'è che ci sono non poche persone di successo che cambiano continuamente pietanza (il sesso, il denaro, l'amore, il cibo, le macchine, la spiritualità, ecc.) e continuano ad essere infelici. Non che siano carenze del tutto insignificanti (a parte le macchine ), ma è evidente che non sono il problema.
Il secondo metodo (cambiare cucina) è un palliativo, seppure.
06-04-2015 15:39
IO&EVELYN
Re: La fatica di vivere

beh che fatica sopravvivere..... uno scopo non c'è in realtà... siamo qui per caso e bon...

però, io dico che lo ''scopo'' sia star meglio il piu possibile, divertirsi e amare le persone a noi care. il resto... non conta.
06-04-2015 15:01
Franz86
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da Angus Visualizza il messaggio
C'è anche da dire che una situazione negativa, a meno che non lo sia estremamente, in sé può generare tristezza, ma non depressione. Questa è indice di qualcosa che noi sbagliamo nel rapportarci emotivamente alle circostanze e a noi stessi. Dunque c'è senz'altro qualcosa da cambiare, ma è interno, non esterno. Il che non toglie che cambiando le circostanze esterne le cose possano migliorare, ma i problemi alla radice, da essi indipendenti, rimangono.
Se io sono arcistufo di mangiare tutti i santi giorni riso in bianco, posso dirmi che il problema è in me, dato che c'è gente che muore di fame etc. , ed impormi una disciplina dell' apprezzamento della mia scodella quotidiana, oppure variare regolarmente pietanza.

Possono funzionare entrambi i metodi, e sicuramente il primo è il più profondo, ma è anche il più impegnativo: a mio avviso, sopravvalutarsi non è una tattica vincente quando si è depressi.
06-04-2015 11:21
cancellato11905
Re: La fatica di vivere

Agnuno ha i suoi stress .Se dovessi fare una lista non finirebbe più .
06-04-2015 10:47
Keith
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da tersite Visualizza il messaggio
E' depressione ...
può darsi, anche se spero di no..non avrei ne tempo ne voglia di curarla..sarebbe un'altra cosa in più da dover fare..
Quote:
Originariamente inviata da r Visualizza il messaggio
Che fatica sopravvivere... Ed a che scopo poi tutta questa fatica?
questo è meglio non chiederselo, tanto non c'è risposta

Quote:
Originariamente inviata da SUBurbe Visualizza il messaggio
Ma è faticoso provare ad esserci.
Fra l'altro con risultati pietosi.
infatti, si fa tanta fatica per cercare di fare le cose e poi queste hanno anche risultati altalenanti.

Che palle, intere giornate a svolgere doveri: lavoro, cura della casa, sport (perché devo farlo x salute.. almeno fa stare bene).

Quei pochi giorni liberi ti rendi conto che non hai amici, li hai allontanati tu e anche loro si sono voluti allontanare. Hai una ragazza che ti fa stare bene ma è lontana e ci si può vedere poco.

Non è la vita che voglio, non me la sento mia, come un vestito che hai comprato perché c'era solo quello ma ti sta scomodo.
06-04-2015 10:21
SUBurbe
Re: La fatica di vivere

Faccio fatica perchè faccio le cose solo quando qualcuno me le impone.
O perchè provo a impormele da sola, per non ritrovarmi di nuovo alla deriva più totale.
Ma è faticoso provare ad esserci.
Fra l'altro con risultati pietosi.
06-04-2015 09:57
tersite
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da Angus Visualizza il messaggio
Ti capisco bene. E' che ci portiamo dentro codici normativi terrificanti, che applichiamo nei confronti altrui (arrabbiandoci) e nostri (svalutandoci e autopunendoci). E il tempo che abbiamo lo passiamo immersi in un conflitto costante e sommerso, in stato di apnea esistenziale. Fare cose naturalmente non ci salva, perché quello che importa è il modo in cui le facciamo.

Riguardo l'inutilità relativa del prendere coscienza... Dipende anche, va detto, dalla validità di ciò di cui crediamo di prendere coscienza.
non c'ho capito niente ma l'hai detto molto bene diciamo
06-04-2015 05:03
rosadiserra
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da Angus Visualizza il messaggio
Ti capisco bene. E' che ci portiamo dentro codici normativi terrificanti, che applichiamo nei confronti altrui (arrabbiandoci) e nostri (svalutandoci e autopunendoci). E il tempo che abbiamo lo passiamo immersi in un conflitto costante e sommerso, in stato di apnea esistenziale. Fare cose naturalmente non ci salva, perché quello che importa è il modo in cui le facciamo.

Riguardo l'inutilità relativa del prendere coscienza... Dipende anche, va detto, validità di ciò di cui crediamo di prendere coscienza.
Non mi sono spiegata temo, la presa di coscienza è basilare, senza, neppure si può iniziare il percorso ma è solo la base di partenza appunto... Ogni soggetto è diverso non c'è una soluzione idonea per tutti né un punto di arrivo, epifanie sì...
06-04-2015 04:43
Angus
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da rds Visualizza il messaggio

Alcuni anche quando prendono coscienza dell'origine "interna" delle proprie sventure, che ci sia di mezzo la biochimica o meccanismi inconsci poco importa, non ne escono ugualmente... Forse si realizza che ci si può al massimo convivere alla meno peggio.
Infatti... Che fatica sopravvivere... Ed a che scopo poi tutta questa fatica?
Io spesso proprio perché depressa non "sento" un perché, so che non "sento"perché sono depressa, perché ancora predisposta a reagire in maniera non produttiva da meccanismi disfunzionali, ma questa consapevolezza mi porta solo a continuare a trascinarmi, non a vivere.
Ti capisco bene. E' che ci portiamo dentro codici normativi terrificanti, che applichiamo nei confronti altrui (arrabbiandoci) e nostri (svalutandoci e autopunendoci). E il tempo che abbiamo lo passiamo immersi in un conflitto costante e sommerso, in stato di apnea esistenziale. Fare cose naturalmente non ci salva, perché quello che importa è il modo in cui le facciamo.

Riguardo l'inutilità relativa del prendere coscienza... Dipende anche, va detto, dalla validità di ciò di cui crediamo di prendere coscienza.
06-04-2015 04:22
rosadiserra
Re: La fatica di vivere

Quote:
Originariamente inviata da Angus Visualizza il messaggio
C'è anche da dire che una situazione negativa, a meno che non lo sia estremamente, in sé può generare tristezza, ma non depressione. Questa è indice di qualcosa che noi sbagliamo nel rapportarci emotivamente alle circostanze e a noi stessi. Dunque c'è senz'altro qualcosa da cambiare, ma è interno, non esterno. Il che non toglie che cambiando le circostanze esterne le cose possano migliorare, ma i problemi alla radice, da essi indipendenti, rimangono.
Concordo su tutto poi aggiungiamoci che spesso il problema da psicologico diventa psicosomatico da psicosomatico diviene anche patologia fisica aggiuntiva all'originale problema psicologico...Chi, sopra i trenta, non soffre almeno di gastrite o colite spastica o qualche altro simpatico danno collaterale batta un colpo! Oppure si parte già anche con qualche neurone che si manda a fankiul vicendevolmente... Ed ecco una grossa matassa da dipanare ma, una volta dipanata, il filo rimarrà comunque irrimediabilmente ritorto, troppo sottile in alcuni punti, troppo grezzo in altri, quindi il tessuto che se ne otterrà, con oltretutto immensa difficoltà di tessitura, sarà comunque pieno di buchi che andranno rammendati... […] Ed è così lunga la strada e così ripida la salita... Così faticosa...

Quote:
Originariamente inviata da claire Visualizza il messaggio
Vero.
Molte volte invece si tende ad attribuire la colpa a una situazione esterna.Ci si fissa su un "problema" e si pensa che risolto quello, risolto tutto. Pure io ho queste fisse.Non se n'esce
Alcuni anche quando prendono coscienza dell'origine "interna" delle proprie sventure, che ci sia di mezzo la biochimica o meccanismi inconsci poco importa, non ne escono ugualmente... Forse si realizza che ci si può al massimo convivere alla meno peggio.
Infatti... Che fatica sopravvivere... Ed a che scopo poi tutta questa fatica?
Io spesso proprio perché depressa non "sento" un perché, so che non "sento"perché sono depressa, perché ancora predisposta a reagire in maniera non produttiva da meccanismi disfunzionali, ma questa consapevolezza mi porta solo a continuare a trascinarmi, non a vivere.
06-04-2015 00:19
dentromeashita
Re: La fatica di vivere

Oooh Ma Oooh Pa
Must the show go on
Oooh Pa take me home
Oooh Ma let me go
There must be some mistake
I didn't mean to let them
Take away my soul
Am I too old is it too late
Oooh Ma Oooh Pa
Where has the feeling gone?
Oooh Ma Oooh Pa
Will I remember the songs?
Oooooh aah the show must go on.

per come la vedo io l'essere non richiede sforzi,è naturale,è il dover essere che richiede sforzi innaturali,e quindi diventa tutto piu faticoso,vivere non sarebbe di per se faticoso,è il dover vivere ad un certo modo che lo rende tale.credo che siamo tutti esperti qui del settore e altrettanto incapaci di liberarcene
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