In parte ne ho già accennato in varî interventi sparsi nel forum, ma voglio un attimo fare un riassunto per inquadrare un po' la questione e capire se magari è una cosa solo mia o c'è qualcun altro che condivide questa mia prospettiva.
In generale non ho mai capito bene l'idea per cui si vuole bene a una persona unicamente per il legame di sangue, oppure il fatto (che secondo me è collegato alla prima cosa) per cui si giudicano con più indulgenza i parenti, specie quelli stretti, rispetto alle persone con cui non si hanno legami di sangue. A me sembra che degli stessi identici atti condannabili vengano in genere giudicati in maniera diversa se a compierli è un parente o un non parente, e che si tenda a perdonare più facilmente i primi rispetto ai secondi. Se un estraneo ruba va processato e condannato, se ruba tuo figlio va capito e aiutato. Mi sembra che la stragrande maggioranza delle persone funzioni istintivamente così.
A me invece è sempre venuto spontaneo valutare le persone per quello che sono e fanno indipendentemente dalla presenza o meno di un legame di sangue.
Questo vale anche per l'affetto: se con una persona non percepisco un'affinità non provo nulla, e questo indipendentemente dalla presenza o meno di legami di sangue. Mi sembra invece che per la stragrande maggioranza delle persone il legame di sangue conduca automaticamente alla presenza di affetto, e questa cosa io non riesco a capirla, non la sento mia, non capisco come funzioni. Mi sembra anche che non provare affetto per i parenti e soprattutto per i familiari sia una cosa vista come talmente normale che chi non si allinea viene giudicato male, si pensa abbia qualcosa di difettoso (magari da "curare" con la terapia), o che in fondo in fondo, senza nemmeno rendersene conto, quella persona vuole come tutti bene ai parenti e debba solo imparare a scoprirlo. Insomma, voler bene ai parenti è vissuto da quasi tutti come una sorta di dovere sociale.
Io ricordo ad esempio che fin da bambino, da piccolo e poi da più grande, non ho mai provato nulla verso i miei nonni, li vedevo come persone estranee e a cui non avevo nulla da comunicare. Quando sono morti, tre quando ero alle elementari e una quando ero alle medie, non ho sentito nulla. Come se fossero scomparsi degli estranei.
Per quanto riguarda tutti gli altri parenti non stretti, cioè esterni alla famiglia, anche in questo caso li ho sempre vissuti come degli estranei, e questo anche a causa di forti differenze di vedute (quasi tutti i miei parenti sono molto religiosi e io no, inoltre quasi tutti non hanno mai dato tanta importanza alla cultura, che per me invece conta). Ogni volta che venivano organizzati raduni di parenti (ho parecchî parenti e sparsi un po' in tutta Italia), ricordo che la mia sensazione predominante era una grande noia, visto che non riuscivo ad avere una comunicazione significativa con nessuno di essi e non facevo che starmene in un angolo aspettando che il raduno finisse, come se mi trovassi appunto in mezzo a degli estranei. Non appena mi è stata concessa un po' di scelta autonoma, cioè a metà dell'adolescenza, ho smesso di frequentare questi raduni.
Per quanto riguarda la famiglia, cioè i parenti stretti, il discorso è un po' complicato, visto che ho avuto un ambiente famigliare secondo me piuttosto disfunzionale, fatto di forme di forme di comunicazione distorte, di mancanza di rispetto per gli altri e, da un certo punto in poi, di crescente aggressività e violenza. Ricordo tuttavia che, fino alla prima adolescenza (quindi fino a circa metà delle scuole medie), provavo dell'affetto per i genitori, più per mia madre che per mio padre (quest'ultimo ha sempre mantenuto una certa distanza). Appena raggiunta l'adolescenza, cioè quando si comincia in genere a desiderare una propria sfera crescente di autonomia e individualità, questo affetto per i genitori è come se si fosse spento, e questo anche perché avevo cominciato a riflettere sulla situazione interna alla mia famiglia, cominciando a considerarne tutte le sue disfunzionalità. Una volta all'università, che ho frequentato da fuori sede, ho trovato un ambiente a me consono in termini di amicizie e per la prima volta ho potuto operare un serio confronto tra l'ambiente familiare in cui ero cresciuto, fatto di denigrazione, ostilità e manipolazione e un ambiente umano "sano" e normale, in cui mi sentivo accettato. Ricordo che quando ogni tanto tornavo a casa dai miei per il fine settimana potevo toccare con mano la differenza tra un ambiente disfunzionale in cui si doveva stare sempre all'erta perché si era sotto attacco costante e un ambiente normale e rilassato, quelli dei miei compagni di università. A quel punto quel poco affetto residuo che potevo provare per i miei famigliari era completamente morto.
In seguito, dopo la laurea, non avendo trovato lavoro sono rientrato dai miei, dove ho passato un periodo pessimo, visto che proprio allora la situazione interna alla mia famiglia era degenerata in termini di aggressività e violenza, soprattutto tra mia madre e mia sorella, e tutti ne subivamo le ricadute. Ne ho già accennato qualche volta nel forum, ma preferisco non entrare nei dettagli (magari un giorno scriverò un post apposito). Il punto, riguardo all'argomento che sto trattando, è che in seguito, quando le cose si furono relativamente calmate, i miei famigliari tra loro si perdonarono per le cose brutte che erano successe. Io questo non sono riuscito a farlo, e in questo continuo a pensare di non essere nel torto. O meglio, continuo a non capire come mai i miei famigliari si siano perdonati per cose che, se fossero state fatte da estranei, sarebbero state giudicate in modo molto diverso, con molta più durezza. Attualmente, per tutti questi motivi, io mi sento lontanissimo dalla mia famiglia e ci sentiamo e vediamo davvero poco. Se smettessimo di farlo probabilmente per me non farebbe alcuna differenza.
Volevo spiegare il mio rapporto riguardo all'affetto verso i parenti ma sono quasi finito a raccontare la storia della mia famiglia. Vabbe'...
Concludo il papiro sottolineando come io non sia una persona anaffettiva, anche se vivo comunque l'affetto in modo mio. Se trovo persone con cui sento dell'affinità a quel punto mi sento bene a starci insieme, le cerco, spero che mi cerchino, comunico, mi apro su cose personali, e così via. Insomma, tutto quel che avviene normalmente tra persone che si vogliono bene.
La grossa differenza tra me e la stragrande maggioranza delle persone è proprio l'assenza, da parte mia, di legami affettivi coi parenti.
Non ho mai capito come mai la condivisione di parti del DNA riesca a innescare automaticamente dei sentimenti che non ci sono per gli estranei biologici. È qualcosa che non mi appartiene.