Quote:
Originariamente inviata da Boriss
il tuo ragionamento ha parecchie falle....
per esempio non consideri il fatto che gli errori hanno un costo, quindi secondo te si può sbagliare all'infinito senza subire le conseguenze dei propri errori;
un'altra falla è che credi che esista sempre una soluzione, e che dopo aver analizzato l'errore e trovato il guasto si risolva tutto (o quasi), senza considerare la possibilità che ci possa essere una situazione di "guasto sistemico"
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La tua obiezione pare sensata, ma ha una falla di fondo.
Gli errori hanno sì un costo, ma il costo ce l'ha anche l'errore di non commettere l'errore, e quindi di fallire prima ancora di provarci.
Ogni volta che rimandiamo una scelta, alla fine scegliamo. Scegliere di non fare infatti è una scelta.
Il punto fondamentale per cui tu ti concentri sul costo dell'errore nella scelta, e non sul costo dell'errore della non scelta, è perché si pagano in valute differenti.
In qualche modo, le persone pessimiste e povere di autostima tendono a valutare in maniera molto più pesante il costo di un errore per una scelta sbagliata, per un proprio fallimento, mentre valutano meno severamente il costo di un fallimento dovuto alla mancanza di scelta.
Per l'ottimista invece, è l'esatto contrario. Perché?
Questa è la mia teoria: l'ottimista è una persona che pensa di avere potere sul suo destino, di avere quindi responsabilità su di esso. E' convinto che con le sue azioni si fabbricherà il suo destino, buono o cattivo che sia. Quindi, sa bene che il non agire come dovrebbe, e relativo conseguente fallimento, sarà una sua responsabilità. Non sarà colpa della sfortuna o degli altri che ci remano contro. (Ad esempio, leit motif del forum, "colpa degli estroversoni che ci arrubano le ragazze timide!").
Il pessimista invece, sentendosi in balìa del destino, crede che il successo di una tal azione non sarà mai del tutto suo, così come le colpe del mancato agire. Sentirà invece vive le colpe dell'agire. In caso di un suo presunto errore, non riuscirà a capitalizzarne la relativa esperienza (come consiglia di fare Filosofo), ma si concentrerà sul dispendio inutile di energia che alla fine non ha cambiato il dato di fondo, cioé che accade solo ciò che deve accadere, e che lui non può aver controllo su di esso.
Si definirà sfortunato, si
piangerà addosso. La strategia del pessimista è compensativa e protettiva. Gli serve a proteggersi l'ego. La sua bassa autostima potrebbe ulteriormente abbassarsi se prendesse atto che i fallimenti che subisce nella vita sono sua responsabilità (non colpa), e quindi adotta questa forma di pensiero magico e fatalista per separarsi dalla frustrazione a cui sarebbe costretto se prendesse atto di dover fare qualcosa per ottenere dei risultati, qualcosa che lui non si sente in grado di fare.
La seconda obiezione invece la ritengo fallata in quanto Filosofo non esclude la possibilità che un obiettivo possa essere irraggiungibile, ma si focalizza sull'apprendimento derivante dagli errori (fatta salva la capacità di capitalizzarne l'insegnamento, che come dico sopra, può esser compromessa a causa di eccessivo fatalismo). Uno dei risultati possibili è proprio quello di realizzare che l'obiettivo è irraggiungibile, e quindi costringerci a ridefinirlo. Questo causa sofferenza.
Ti racconto una storia.
Una mia carissima amica d'infanzia soffre di obesità da quando era bambina. Da quando era adolescente ha inziato a fantasticare a proposito di un ipotetico intervento di liposuzione il quale le avrebbe permesso non solo di ritornare a una forma fisica accettabile, ma anche di recuperare autostima.
Tutte le persone a lei vicina, fra cui anche io, hanno cercato di farle notare che, pur anche con una liposuzione, se lei avesse continuato a mangiare come fa, avrebbe ripreso in breve i chili persi, e quindi sarebbe punto a capo. Le suggerivo invece di iniziare a tenere un diario alimentare, di iniziare una dieta, di fare attività fisica e solo dopo aver preso un andazzo ottimale di rivolgersi alla chirurgia per accelerare il processo di dimagrimento. Ma lei continuava a obiettare che se si fosse vista magra allo specchio si sarebbe sentita indotta a mantenere la forma, perché la cosa avrebbe avviato un circolo virtuoso di autostima e amore di sé.
Un giorno, terribilmente commosso dal suo umore basso, mi proposi di aiutarla a convincere i suoi genitori a finanziarle l'intervento, e mi offrii persino di pagarne una piccola parte.
Beh, scoppiò a piangere. Decise quindi di informarsi sulla liposuzione seriamente, e così facendo si rese conto che si stava raccontando un mucchio di fregnacce. Che sapeva benissimo che il suo obiettivo della liposuzione era solo un sogno che coccolava per evitare di confrontarsi col suo vero problema (binge), e che sentiva inaffrontabile perché lo viveva come una perdita del suo controllo nel gestire l'alimentazione.
Morale della favola, alla fine ha ridefinito l'obiettivo e ha deciso di rivolgersi ad una psicologa specializzata in disturbi alimentari.
Vedi, se lei non avesse mai provato a informarsi su come raggiungere il suo obiettivo (la lipo) non avrebbe mai capito che non era l'obiettivo giusto per lei. Il suo obiettivo doveva essere il dimagrimento, invece si era incartata in una fantasticheria che serviva solo a proteggerle l'ego e impedirle di mettersi in discussione.
Questo vale per molti qui dentro. Proteggere l'ego è un errore che credo abbiamo fatto quasi tutti noi iscritti, almeno una volta nella vita. Ma non dovremmo. Dovremmo invece rafforzarlo, in modo che sia in grado di proteggersi da solo senza che sia privato della possibilità di interagire con la vita vera.