Quote:
Originariamente inviata da dertolli
Visto che le esperienze che hai vissutto possono essere utili anche per gli altri, se ti è possibile potresti descrivercele.
Naturalemnte solo se non ledono la tua privacy.
Un abbraccio
|
Quote:
Originariamente inviata da raindrop
quoto
senza abbraccio
|
E invece gli abbracci li lascio, a tutti e due, perché si parlerà proprio di questo!
Come avrete capito leggendo tutta la mia storia sull’altro thread, uno dei miei problemi era proprio la quantità enorme di inibizioni relative al mio corpo, all’idea di essere toccato, alla vicinanza fisica, al mio aspetto e così via. Una delle mie fantasie ricorrenti era quella di essere invisibile! Se con la mia fisicità avevo un rapporto così complesso e problematico, figuriamoci con quella delle altre. Ero tormentato da pensieri tremendi, come quelli legati al primo ipotetico momento di intimità: non solo l’idea di non saper banalmente “cosa fare”, ma anche la prospettiva di trovarmi di fronte a qualcosa di così radicalmente lontano dalla mia esperienza mandava tutto in un vicolo cieco. “Ammettiamo anche che una accetti per qualche misterioso motivo di concedersi” - mi dicevo allora con rabbia - “se appena arriviamo al dunque io mi metto a tremare come una foglia, scappo terrorizzato dalle mie inibizioni o resto imbambolato come se avessi visto la Madonna di Fatima, allora ogni sforzo è perfettamente inutile!”
Questo era uno dei problemi di cui discutemmo mentre andava avanti la terapia. Ricordo bene che allora vennero fuori tutte le mie paure e le mie tante resistenze al cambiamento. Perché mai lottare per cambiare, se questo cambiamento mi strappa da un mondo che - nel bene e nel male - mi è pur sempre noto e rassicurante e mi getta allo sbaraglio in un universo sconosciuto, dove invece mi aspettano pericoli ed insidie per le quali sono del tutto impreparato?
Pensai a risolvere la cosa in vari modi, e come altre volte trovai la strada a furia di tentativi e di errori. Ci fu una squallida esperienza con una professionista, da cui perlomeno imparai quella non era la via corretta. Ne ricavai una brutta impressione, di tristezza, di merce in vendita ed uscii più infelice di prima.
La soluzione giusta arrivo in due modi. La prima fu il “contact improvvisation” (notate quel “contact” , che non sta li per caso), una disciplina che fa pensare a delle pratiche arrivate in Italia sull’onda di qualche effimera moda, ma è invece una forma di danza contemporanea con una tradizione ormai trentennale.
Si basa sulla libera improvvisazione e sulla crescita della consapevolezza mediante il lavoro corporeo, e fin qui non parrebbe esserci nulla di originale perché sono presupposti comuni a molte discipline, come ad esempio certe forme di ginnastica, le arti marziali, lo joga e tante altre pratiche olistiche. Una cosa meno scontata è che si pratica
in coppia o
in gruppo, afferrandosi, bilanciandosi l’un l’altro, dando e ricevendo peso e così via, il tutto alla ricerca di un movimento che sia fluido, armonioso e naturale. Ci si muove a contatto, cercando di sviluppare la capacità di relazione, ma non dovete pensare a nulla di studiato o eccessivamente tecnico, gli incontri sono gioiosi, allegri e c’è un clima di spontaneità amichevole. Oltre all‘idea di usare il proprio corpo in relazione a quello di un’altra persona, un altro aspetto è la fiducia reciproca che per me è stata essenziale. Se volete vedere cosa succede in una jam, o sessione libera, provate a vedere questa foto qui:
http://www.spaziopmr.it/contact.htm
Guardate le facce della gente: non sono pose, è realmente così. C’è contatto, ed anzi tutto si fonda su di esso, c’è una relazione interpersonale costruita sull’uso intelligente del corpo, ma nessuna malizia. Anzi, un’idea di fisicità naturale e spontanea, pulita e appagante, senza complessi e inutili inibizioni. Un po’ come recuperare da adulti qualcosa che i bambini hanno in abbondanza, la gioia di rotolarsi assieme su un prato, far battaglie di cuscini. Per dirla in modo divertente, è quasi la versione educata di fare pogo ad un concerto, ma nella realtà è anche una seria forma di training per chi fa danza a livello professionistico. C’è un bel video qui:
Per la mia esperienza è stato utilissimo. Un po’ alla volta mi abituavo al contatto ed alla vicinanza fisica di altre persone, in un ambiente sereno e rilassato, dove nessuno mette ansia e tutto è stemperato da un approccio neutro, senza altri significati. È stato inoltre bellissimo scoprire la reciprocità: io (uomo) do a te un’un esperienza appagante, tu (donna) la dai a me; nessuno di noi due la potrebbe gustare da solo. Quasi un massaggio reciproco.
Una specie di “simulatore“, se mi passate una metafora molto ardita e anche piuttosto imprecisa. Solo che non c’è nessuna malizia, tutto è spontaneo, condiviso e soprattutto contraccambiato da pari a pari: non c’è una parte che da e una parte che riceve, ma entrambi ci arricchiamo fra uguali. La stessa idea stessa della spontaneità, dell’improvvisazione, del non pianificato ha contribuito a sciogliere tanti problemi.
La seconda soluzione è stata dedicarsi al ballo. Di questa esperienza ho raccontato qui,
http://www.fobiasociale.com/postx9539-0-0.html
dove però ho insistito sugli aspetti sociali, in particolare sulla possibilità di costruire un nuovo giro di amicizie e sulla facilità di nuovo contatti.
Qui il discorso è diverso e richiede una piccola premessa. Se avete visto qualche ripresa, siete probabilmente fuori strada: quello che passa di solito per televisione è una versione da “spettacolo“, con abbondanza di movimenti coreografati dove lo scopo principale è stupire il pubblico che guarda. Altra cosa ancora è la versione italiana, quella del liscio per intendersi, dove i due ballerini tengono la testa rovesciata indietro in una posa fortemente staccata.
Nella sua idea più autentica non assomiglia a nessuna di queste due forme: è invece una danza di contatto, anzi è essenzialmente un modo armonioso ed elegante di camminare abbracciati, come potrete ad esempio vedere qui:
Quello che vedete è proprio l’abbraccio più vero, il che vuol dire che i ballerini sono uniti dalle tempie al bacino. Un contatto estremamente intimo, assolutamente impossibile da sperimentare in nessun’altra occasione sociale. Per me è stata un’esperienza bellissima, una specie di “educazione all’altro” che andava di pari passo con la terapia. Bellissima perché tutto è dolce e graduale e a quel livello si arriva passo dopo passo nell’arco di mesi. Ma in questo tempo facevo tante scoperte una più belle dell’altra: se c’è un po’ di intesa e l’atmosfera giusta (ad esempio un pezzo un po’ più lento) si può arrivare addirittura a qualcosa che ricorda una specie di trance leggera, o uno stato alterato di realtà: il respiro dei due si sincronizza, l’uomo percepisce la tensione muscolare di lei che prima si allenta e poi si annulla, gli occhi che si chiudono e la testa della ballerina che si appoggia sul capo, sulle spalle o sul petto di lui, a seconda di quanta differenza d‘altezza c‘è fra i due. Sembra quasi irreale, ma l’abbraccio è talmente intimo che non è affatto impossibile che l’uomo riesca a percepire il battito del cuore di lei (mi è capitato due volte). Accade talvolta che la musica finisca e che la ballerina si scuota come dopo lo schiocco di dita di un ipnotista, tanto era scivolata lontano dalla realtà: ci sono infatti dei punti di contatto fra questo ballo, il training autogeno ed altre discipline simili, tanto che a volte si parla del tango proprio come di una “walking meditation”.
Per l’uomo è un po’ difficile abbandonarsi a tal punto, poiché deve comunque guidare, evitare le altre coppie e non sbattere contro i muri, ma l’idea di intimità e di contatto è comunque fortissima: la sensazione è quasi di cullarsi reciprocamente. Se la donna “segue” bene, si può avere quasi la percezione di avere all’improvviso quattro gambe, e di percepire il corpo della propria partner come un’estensione del proprio. Non è esattamente una cosa da niente!
Come nel caso precedente, c’è una specie di incredibile paradosso: si tratta di una forma di vicinanza fisica spinta al massimo, ma questa prossimità fra uomo e donna è completamente “de-sessualizzata”, non ha cioè nulla di malizioso e nemmeno di gaiamente losco, ma viene usata per uno scopo espressivo, cioè la danza. Ecco perché non mi riesce difficile ad immaginare cosa potrebbe succedere con il massaggio di cui si parlava, solo qualcosa di più forte e di molto più intenso, non di essenzialmente diverso.
Ovviamente tutto ciò aveva per me un significato speciale, che era strettamente legato al mio passato. Sa avete letto l‘altro thread, riuscite ad immaginare come vivevo io quei momenti? Quello che mi era sembrato per sempre irraggiungibile era finalmente a portata di mano, senza competizione, senza giudizi, senza lotta, senza dover pagare ed anzi sentendosi magari dire “grazie” con un bel sorriso! Vi giuro che non c’era nulla di malizioso, nessuna tentazione di facili palpeggiamenti, nessun effetto collaterale da infatuazione o da ormoni sballati, bensì la scoperta che tutto ciò che avevo sempre temuto poteva anche essere anche bello, pulito e gioioso. Erano i primi momenti applicativi del lavoro di terapia, i giorni dove un po’ alla volta imparavo a volermi bene, a far tacere il mio giudice interiore, a scoprire quello che potevo fare, accettando di poter sbagliare senza sperimentare tutto come un fallimento. Avevo trovato un’esperienza così profonda che tante volte non riuscivo nemmeno a dormire quando tornavo a casa, tante erano le emozioni positive che si erano messe in gioco.
E’ stata una fase, la tappa di un evoluzione che mi ha portato più lontano. Un poco alla volta tutto ha trovato il giusto equilibrio: il ballare ha preso altre strade ed ho compreso la bellezza di altre componenti che prima non coglievo, come ad esempio la padronanza del movimento, l’espressività e tante altre cose. Ma, nello stesso tempo, ero sempre meno inibito, avevo maggior fiducia in me stesso e passo dopo passo ho finalmente cominciato a trasportare queste nuove capacità nella vita reale, vedendo un po‘alla volta i primi risultati. Come due sentieri che si incrociano, uno sale e l’altro scende.
Com’è finita? Vado a ballare ogni volta che ne ho la possibilità, ho imparato tanti altri movimenti, mi piace sempre l’ambiente, so di essere apprezzato per tutto quello che posso dare, e soprattutto non ho più bisogno di “simulazioni”.
Ma, quando ritorno in certi posti, a volte mi ricordo con tenerezza di quel pivellino che non riusciva a prendere sonno.