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Originariamente inviata da Winston_Smith
Lo so anch'io che gli approcci femminili sono molti di meno rispetto a quelli maschili, io però non sono in grado di farne e non mi sento assolutamente colpevole per questo.
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Ma l'approci non dovrebbe essere guardato come ad una cosa tecnica, forse; tu hai parlato di colpevolezza e quindi sì, sarebbe deleterio sentirsi “in colpa” se non si riesce ad approcciare [che per me significa compiere un passo verso l'altro, cercarlo, manifestare il mio interesse, manifestare i miei sentimenti], però al di là della colpa trovo che sia svantaggioso per sé stessi, e claustrofobico, e molto doloroso ritrovarsi ad avere quell'incapacità (che non è detto che sia eterna).
Quello che intendo dire è che mi pare che qui si veda l'approccio quasi come un gesto “legale”, di cui spetta l'onere a uno dei due, oppure che culturalmente spetta al maschio, quando in realtà concretamente si tratta della naturalezza di muoverci verso chi ci interessa, verso chi stimiamo, o verso chi per un motivo o per l'altro ci attrae.
Cioè se a me fosse impossibile poter fare queste cose io soffrirei molto perché non ci riesco io, non starei a pensare che culturalmente me ne tocca l'onere, anche perché per quanto uno possa essere incastrato in un contesto culturale poi nel concreto le cose sono molto più malleabili e non esiste una regola che si applica rigidamente, almeno nel nostro Paese.
Questo non per andare contro di te e la tua difficoltà o colpevolizzarti, anzi, sapendo cosa si prova [io mi sono quasi sempre mostrata interessata a chi mi piaceva e mi sono sempre dichiarata, ma non sempre senza difficoltà, anzi, quindi so cosa si prova nell'impossibilità di comunicare i propri sentimenti per paura o perché nemmeno ci si autorizza a provarli per quanto ci si rode nel senso di inadeguatezza e di inferiorità], ma solo per dire di non guardare all'approccio come una cosa rigida da manuale, e per invitare a chiedersi come mai non si riesce a rendere manifesti i propri sentimenti.
Uno dice: ma grazie, è per la fobia, l'insicurezza e tutto quello che ne consegue: giusto, ma questo rappresenta uno svantaggio tangibile proprio per noi che ci sentiamo così insicuri, proprio la difficoltà in generale di mostrare il proprio interesse, i propri sentimenti, perché ci si sente vulnerabili, si ha paura di essere rifiutati e respinti, ma se io avessi questa difficoltà mi concentrerei su questa e non su un ipotetico dogma culturale che poi nella realtà non viene applicato così scientificamente.
E così nella realtà ci sono donne che si dichiarano, uomini che si avvicinano, legami che si stringono; non c'è cioè l'obbligo di alcun cerimoniale, se mai sono le nostre insicurezze che ci incatenano.
Spero si sia capito l'intento del mio messaggio: è che mi ha colpito il fatto che tu dica “io non mi sento colpevole”, come se l'impossibilità di “fare un approccio” (che non significa girare attorno alla femmina alzando la cresta e sgallettando, o non solo, perlomeno) non fosse una cosa che riguarda prima di tutto la tua sfera emotiva e non ricadesse pesantemente proprio su di te e anche in altri ambiti della vita sentimentale.
La difficoltà a rendere manifesti i propri sentimenti non si limita solo all'approccio ma pervade poi anche tutto il resto del rapporto.
Poi può non essere così, uno può avere un blocco preciso che si limita solo a quello, oppure costruendo fiducia con l'altra persona riesce ad aprirsi, però mi ha colpito la tua affermazione perché appunto sembrava pigliare “l'approccio” come un gesto tecnico e non invece come tutta una dimensione del rapporto in sé stessa e con un mondo dietro.
La capacità cioè di mostrarsi e di interessarsi alla persona amata, o sognata, o verso cui sentiamo una tensione e a cui vorremmo avvicinarci.
Se non si riesce è molto più drammatico di un “gesto tecnico” mancato.