Io la conoscevo bene (1965), di
Antonio Pietrangeli.
Sceneggiatura del regista, di Ettore Scola e Ruggero Maccari.
Colonna sonora di Piero Piccioni.
L'ho rivisto per caso, ma ho senz'altro confermato l'impressione che ne avevo ricavato anni fa. L'impressione, cioè, di un film che trascende la mera trasposizione prosaica del dato reale su pellicola, eppure rifiuta anche molti artifici formali tipici del cinema e della letteratura.
Non ha il melodramma un po' ipocrita del neorealismo, né l'intellettualismo calligrafico di certi film coevi da cui pure ha attinto.
Non eccede nel patetismo, che è atomizzato, appena accennato.
Insomma, è un film asciutto, anche severo. Eppure non è del tutto oggettivo.
Perché il regista non era intenzionato a descrivere soltanto, ma voleva esprimere la sua riflessione riguardo le tematiche trattate, seppur nel modo meno invasivo possibile.
Così, rifuggendo la progressione di tensione della narrazione convenzionale, le sostituisce una sorta di giustapposizione di tasselli.
Ciascuno di tali tasselli rapresenta un episodio, o meglio, una testimonianza, della vita della smarrita protagonista all'oziosa ricerca della ribalta cinematografica. Il risultato esclude l'immediata partecipazione emotiva dello spettatore, per cui può essere straniante, ma riflette mirabilmente la condizione di torpore in cui versa il personaggio di Adriana.
Pietrangeli ha poi imbevuto ciascun aneddoto di sentita e pregnante costernazione non solo nei riguardi della protagonista, ma anche per il suo contesto sociale e per la sfrenata riforma del costume che stava assestandosi in quegli anni.
Perciò non manca di menzionare l'onnipresenza delle frivole canzonette dilaganti - attraverso un uso sistematico della musica intradiegetica - e di quegli elementi derivati dal benessere del miracolo economico che, seppure apparentemente aggregassero vari individui in continui baccanali, invero li condannavano a un'irrimediabile solitudine esistenziale.
Nel frattempo, tratteggia uno dei ritratti femminili più intensi e teneramente pietosi che mi sia capitato di vedere nel cinema.
E può funzionare tuttora come rappresentazione del malessere sociale del nostro tempo.
P.S.: Se posso dirlo, Vanilla Sky l'ho trovato osceno. Dall'arido gigioneggiare di Tom Cruise alla scaltra strumentalizzazione promozionale della colonna sonora, fino all'irriguardoso stravolgimento della sceneggiatura originale di Alejandro Amenábar, che non faticherei ad immaginare contrariato da questa produzione.