Enter The Void (Gaspar Noé, 2009).
Un film fatto apposta per far parlare di sé e dividere la critica, come d'altronde la maggior parte delle opere della New French Extremity.
Sicuramente innovativo e molto affascinante, connette in maniera intelligente il tema della morte ed il mito della reincarnazione nella fede buddhista con il mondo delle droghe allucinogene e delle out-of-body experiences.
Straordinario l'impatto visivo: molte scene (soprattutto i devastanti titoli di testa, il trip di dimetiltriptamina iniziale e lo sfolgorante viaggio finale) sono da cineteca, la fotografia e le scenografie sono estreme, e l'iperrealismo delle riprese in POV (con tanto di battiti di ciglia) è una trovata audace quanto efficace.
Ma alla lunga l'estetismo delle scene stanca non poco e la durata a parer mio eccessiva (140 minuti) non aiuta, rendendo il film più volte arrancante e noioso, oltre che farraginoso nello sviluppo (la sottotrama drammatica non aveva la forza che mi aspettavo, tralaltro).
E' di sicuro un film molto sentito, un progetto lungamente atteso dal regista, che ebbe modo di provare i più svariati tipi di allucinogeni in gioventù (per sviluppare il concept del film andò persino in Perù a provare l'ayahuasca) e che si sente molto vicino alle delicate tematiche che il film affronta.
E' una pellicola che lascia però basiti. A visione ultimata lascia la sgradevole impressione di un fuoco di paglia, di un puro esercizio di stile che nasconde poca profondità di contenuti ma si sbraccia come a dire "Guardatemi, sono una rivelazione!", eppure è un film che non si riesce a dimenticare e che ho idea non invecchierà tanto facilmente.
Soddisfacente, anche se troppo lungo e lento