Buonasera a tutt*. Questa sera, dopo mesi e dopo aver letto il Regolamento, mi sono deciso ad iscrivermi al forum di FobiaSociale, sempre più convinto che nonostante l'assenza di una diagnosi specialistica, è questa enorme ansia/fobia a opprimermi e a invalidare la mia vita.
Mi chiamo Luca e ho 29 anni. Sono di una grande città, Milano, e ogni mese che passa verso i 30 mi rende sempre più triste. Depresso probabilmente. Sono uno di quelli che ama non vivere la mattina, che preferisce passarla chiusa in camera da letto a dormire, almeno fino all'ora di pranzo, tutte le volte che mi è possibile. Tendo a preferire la notte al giorno, ma come vi dicevo, è soprattutto la mattina a crearmi problemi, tant'è che ogni volta che mi alzo presto partono i disturbi (psicosomatici?): mal di testa, di pancia, agitazione, pressione minima alta... come un vecchietto, eh sì.
Come suggerisce il mio nick, uno dei miei difetti che mi contraddistingue è l'incapacità di scegliere, e questo mi disturba non poco nella vita. Non parlo delle grandi scelte della vita, ci sono dei giorni particolari in cui io non riesco nemmeno a decidere se uscire per andare al supermercato o meno, se comprare un libro o no.
A proposito di uscire... solo di recente riesco a fare delle commissioni da solo. O meglio, ne sono sempre stato capace, ma ho sempre preferito avere al mio fianco un amico, un'amica, anche fosse solo per andare in posta o a comprare qualcosa. Come se gli amici fossero le mie "stampelle" per meglio affrontare il mondo là fuori.
Da quando ho acquisito consapevolezza - sebbene non totale, temo - dei miei problemi, non è che le cose vadano tanto meglio. La consapevolezza è già un primo passo molto importante, mi dicono, e sono anche d'accordo, ma le soluzioni sembrano ancora un miraggio.
Qualche anno fa, quando ho scoperto di soffrire di una patologia cronica, la mia dottoressa mi ha consigliato di avvicinarmi a un percorso di psicoterapia, e così è stato. Morale: quasi due anni di psicoterapia con tante "pause" qua e là e definitivamente abbandonata quando il dispendio economico cominciava ad essere insostenibile e io non sentivo di trarre gran giovamento. Sì, qualche chiave utile mi è arrivata, qualche strumento mi è stato dato, ma non su questo discorso dell'ansia sociale. Parlavo tanto, tantissimo, forse troppo, perché a un certo punto mi sembrava di andare a prendere il tè con una a cui raccontare tutta la mia settimana, cosa che facevo già tranquillamente con il mio amico gratuitamente. Durante l'ultimo incontro mi aveva anche banalmente sconsigliato di andare su internet a leggere di ansia o fobia sociale, perché "sai che su internet si legge di tutto e di più" e lei aveva già formulato nei miei confronti una diagnosi, che tuttavia io mai conobbi. Quindi? E quindi salì il prezzo della seduta e decisi di abbandonare. Ora, so che potrei provare ad affidarmi a un altro psicoterapeuta, perché siamo tutti diversi e potrei aver semplicemente incontrato lo specialista non adatto a me, ma ammetto di non riporre più molta fiducia nella psicoterapia. Perché mai - sarò estremo - un perfetto sconosciuto pur pieno di lauree e titoli dovrebbe riuscire ad aiutarmi a curare la mia mente, che poi secondo me più che mente è anche l'anima e lo spirito?
Non credo molto in questo metodo, ma non è detto che non voglia riprovarci prima o poi, anzi, se qualcuno di voi riesce a darmi qualche dritta, magari attraverso il Servizio Sanitario Nazionale, gliene sarei grato.
Sono laureato: 5 anni di università, lingue straniere, e anche qualche esame aggiuntivo, corsi e certificazioni. Sono sempre stato bravo a scuola, il primo della classe. Finché si trattava di studiare per me era ed è una barzelletta, e in più ottenevo il benestare delle autorità, i vari maestri e professori incontrati, perché i miei genitori non mi hanno mai fatto sentire particolari pressioni su nulla, almeno apparentemente.
Succede però che il percorso scolastico prima o poi è destinato a finire. Avevo la mezza idea di proseguire con un dottorato (forse proprio per restare nella mia zona di comfort lontano dal mondo?), ma mi venne sconsigliato dalla stessa relatrice di tesi, tanta fatica per nessuna certezza e detto francamente avevo sete di soldi, di indipendenza economica. Che mai è arrivata. Dopo qualche mese a mandare CV, ricevo una chiamata per un colloquio di gruppo quattro anni e mezzo fa. Mi dissi "E' fatta", senza sapere quale giungla fosse il mondo del lavoro. Al di là dell'ansia causata dai colloqui di gruppo, anche con gli individuali non andò tanto meglio, fino a quando un'esperienza all'estero diede nuovo valore al mio CV. Qui sono iniziati i veri problemi, e cercherò di esser breve: non riesco a lavorare. Non riesco a tenermi uno straccio di lavoro. Sono stato assunto quattro volte più una collaborazione occasionale, e tutti e cinque i datori credevano in me e mi consideravano una risorsa valida, da riconfermare con altro contratto sicuramente. Eppure io mi sono sempre licenziato, in un caso sono proprio scappato come un ladro, adducendo ogni volta le scuse meglio elaborate. In questo stesso caso, dove dovevo avere a che fare quotidianamente con il telefono, con estranei, clienti arrabbiati, diverse responsabilità (troppe per la mia persona!) è arrivata puntuale la somatizzazione: fitte fortissime allo stomaco, fossi io a digiuno o ben sazio, sangue che colava a fiumi dal naso, e voglio precisare che mai nella mia vita avevo sofferto di questo disturbo.
Non appena torno nella mia zona di comfort, a casa, in università, tutto o quasi passa e mi sento già meglio.
Qualche mese fa, impartendo lezioni di inglese in una scuola di lingue, ho iniziato ad avere il fiato corto pur rimanendo immobile, faticavo a parlare davanti all'allievo che avevo di fronte! Sempre con la paura di essere giudicato, con la paura di sbagliare, di arrossire, con la paura che mi venga chiesto qualcosa alla quale non so rispondere, che venga "smascherato".
E' sempre stato un mio problema, disse la psicoterapeuta: sono fatto così, o tutto o niente, o on o off, non mi accontento delle vie di mezzo. Sono uno drastico, io.
Con gli amici non parlo più della mia disoccupazione, alcuni mi considerano uno scansafatiche e io sono stanco di inventare scuse, perché se fossi sincero e mi esponessi non capirebbero sicuramente.
Gli anni pero' passano, e ventinove cominciano ad essere tanti per il mercato del lavoro. E' profondamente avvilente non avere soldi, non avere mai la libertà economica di fare nulla. Dipendere dai miei genitori, quando i miei coetanei e i fratelli stanno su strade decisamente migliori. E così periodicamente mi ributto alla ricerca di un impiego, come sto facendo nelle ultime settimane. Invio curricula, mi telefonano e non appena sullo schermo del cellulare compare un numero non salvato... non rispondo. Mi sale l'angoscia, sento che non farà per me, non riesco ad affrontare la telefonata, mi rovino da solo la vita, mi precludo un'altra possibilità. E dire che non sono neanche così "choosy", ho fatto il commesso, ho lavorato in segreteria, in hotel, nei call center... luoghi diversi, stesse dimissioni.
Ho di nuovo ricevuto l'opportunità di fare qualche lezione a un ragazzo e a una coppia, e a più di una settimana di distanza dall'evento accuso già i primi malesseri, ci penso e ci ripenso, sto male, sono persino stanco di ripetermi che è giusto buttarmi nelle situazioni che mi causano stress per poter uscirne, perché puntualmente per un passo fatto avanti ne faccio due indietro. Senza lavoro mi sento inutile, senza soldi mi sento un po' un fallito, senza una posizione precisa da qualche parte all'interno di questa società mi sembra solo di continuare a far soffrire i miei genitori. Piano piano sono riuscito ad esporre loro la mia situazione, i miei problemi, proprio questa sera l'ultima volta che ne ho parlato con loro, pero' ci sto attento, perché sfogarmi mi dà sollievo (così come sta accadendo ora che scrivo) ma allo stesso tempo causa dolore e sofferenza nei miei genitori. Ormai neanche loro sono tanto bravi a dissimulare. Nascondono bene ma ovviamente vorrebbero tutt'altra vita per me, e i loro "cerca di essere più sereno, di vivere tranquillo, che non ti può succedere nulla" penso sappiate tutti che trovino il tempo che trovano, come dire di rilassarsi a un tizio nel bel mezzo di un attacco di panico.
Tachicardia, palpitazioni, problemi con la pressione si stanno facendo spazio, sostituendo i terribili mal di pancia mattutini di quando andavo a scuola. L'ipocondria regna sovrana: faccio esami su esami e non sembra esserci nulla di anormale. Da bravo ipocondriaco io non mi fido mai dei risultati al 100%.
Troverò mai la serenità? Riuscirò a trovare un lavoro decente e a tenermelo?
All'università, se non avevo compagni di corso nei paraggi, mi chiudevo in bagno a mangiare per non essere guardato nei corridoi. Tuttora odio essere guardato se sono il solo a mangiare.
Quante volte ho cercato delle risposte, mi sono avvicinato grazie alla rete a varie filosofie, terapie cosiddette olistiche, metodi di rilassamento e autoguarigione... e quante altre volte ho cercato di sondare il mio passato, alla ricerca di qualche trauma, meglio se infantile. Forse tutto nasce dalle prese in giro di gruppo alle scuole elementari? Forse qualcosa che ho addirittura rimosso del tutto? Come scoprirlo? E soprattutto, devo davvero scoprirlo per sistemare la mia vita?
Inutile dire che non so più dove sbattere la testa, gli anni passano e mi sembra di non andare avanti. E dire che ora posso anche contare su una bella relazione di coppia, piena d'amore. Ma non è abbastanza. La visione nera, cupa, pessimista ormai permea la mia vita. La depressione è dietro l'angolo, o forse sono già depresso.
[continua]