Forse non è il posto giusto, sarà che non amo sfogarmi, ma spero che il mio intervento sia utile per qualcuno.
Come ho già scritto su questo forum, soffro di disturbi alimentari da circa tre anni. Ho passato una fase anoressica, poi dall'estate del 2010 ho iniziato a soffrire di bulimia.
Ho cominciato in concomitanza con un lavoro estivo. Da regimi di vita e alimentare iper-controllati sono passata bruscamente alla settimana improgrammabile del turnista.
Il lavoro mi stancava, non avevo pause; così ho iniziato a mangiare prima di ogni turno.
Ero molto in ansia, e, privata della mia routine militaresca, ho perso il controllo. Ho iniziato ad abbuffarmi al punto da stare male. Ho iniziato a vomitare. Da lì la creazione una nuova routine di abbuffata-vomito-lavoro-abbuffata-vomito-lavoro. Disordinata, priva di orari.
Quando ho smesso di lavorare sono rimaste solo le abbuffate e il vomito. Tutto il giorno, tutti i giorni. Non riuscivo a trattenere più niente nello stomaco. Era un meccanismo sordo, cieco e insensibile.
Sono tornata all'università, ma dopo un paio di mesi sono crollata con la testa, con il corpo. Sono caduta in uno stato depressivo senza precedenti.
Due anni di terapia, progressi e qualche mese di libertà, ma ora ci sono di nuovo dentro.
Mangiare è un incubo. Se per qualche ragione riesco a trattenermi, sto male tutto il giorno a causa della gastrite. Mi sono tornate le crisi d'ansia prima dei pasti programmati. Il mio tono dell'umore è sempre più ingestibile (anche a causa dei problemi nell'assorbimento dei farmaci).
Ormai la bulimia si è saldata ai meccanismi dell'ansia: mangiare è angoscia e nel contempo liberazione dall'angoscia. Vomito dopo la psicoterapia. Vomito dopo essere stata male per qualcosa.
Vomito dopo un'intensa attività sociale.
Ansia e desiderio di punizione. Sono sempre più convinta che la bulimia sia per me una forma di autolesionismo. Vomito quando non riesco a esplicitare un bisogno, come fosse una richiesta di aiuto. Come un pianto infantile, ma silenzioso, conflittuale. Mi vergogno del mio dolore, ma desidero che in qualche modo emerga.
Sono in un periodo di ricaduta, di debolezza: la mia psicoterapeuta l'ha notato, e mi ha messo alle strette. Dal momento che un percorso l'ho già fatto, e che sono già sufficientemente informata, è evidente che ho fatto un passo indietro con la testa, con la volontà.
Non si tratta di una ricerca di perfezione fisica. Il mio corpo assomiglia a uno specchio. Sono dimagrita per scomparire, per eliminare le mie forme, la mia presenza. Perché potevo esercitare sul mio corpo un controllo che non avevo sulla mia vita. E adesso rifletto sul mio corpo quella mancanza di controllo che mi confonde, getta via le mie giornate.
Le energie che investo per lavorare sui miei problemi sono una coperta troppo corta, da qualche parte rimango sempre esposta. Ciò che trascuro mi tradisce.