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Vecchio 05-01-2010, 19:53   #1
Esperto
 

Ispirato dal topic sull'ignavia:

http://www.fobiasociale.com/lignavia-8952/

e da una puntata sui 7 peccati capitali di History Channel , ho riflettuto sul fatto che un termine mutuato dalla terminologia medioevale dei peccati, più adeguato per descrivere (in certi casi) la condizione di chi soffre di determinati disturbi psicologici, può essere l'accidia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Accidia

Nell'Inferno invece Dante sembra considerare gli accidiosi come persone che nutrono un sordo rancore verso il resto del mondo, e li pone immersi nello Stige al di sotto di coloro che quel rancore lo esprimono esplicitamente, gli iracondi:

Lo buon maestro disse: "Figlio, or vedi
l'anime di color cui vinse l'ira;
e anche vo' che tu per certo credi
che sotto l'acqua è gente che sospira,
e fanno pullular quest' acqua al summo,
come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.
Fitti nel limo dicon: 'Tristi fummo
ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,
portando dentro accidïoso fummo:
or ci attristiam ne la belletta negra.'
Quest' inno si gorgoglian ne la strozza,
chè dir nol posson con parola integra."


Inferno, VII 115-126


Ora io vorrei lasciar da parte la considerazione sulla nozione di peccato (e quindi di colpa e di punizione) insita in questo termine, sia perché la sensibilità del cristianesimo medioevale è (dovrebbe) essere diversa da quella odierna, sia perché ovviamente non tutti sono religiosi. L'aspetto interessante, a mio parere, è che la condizione dell'accidioso sia stata considerata anche come una malattia, non solo o non necessariamente come un peccato o addirittura una possessione demoniaca: questo è avvenuto prima dell'avvento del Cristianesimo, con la medicina classica di Ippocrate e Galeno, e ultimamente, accostando l'accidia alla moderna depressione.

Vorrei chiedervi quanto pensiate possa essere veritiero questo accostamento e se qualcuno di voi si ritrova più nella descrizione dell'ignavia (che io intendo come tendenza a mantenersi equidistanti sia dal male che dal bene, per paura delle conseguenze) o dell'accidia (che io intendo come mancanza di forza e/o di volontà nell'operare). Personalmente mi ritrovo di più nella seconda.

Ultima modifica di Winston_Smith; 06-01-2010 a 01:01.
Vecchio 06-01-2010, 01:02   #2
Esperto
 

Azz, lo sapevo che il mio topic avrebbe fatto furore...
Vecchio 06-01-2010, 01:04   #3
XD
Principiante
L'avatar di XD
 

Quote:
Originariamente inviata da Winston_Smith Visualizza il messaggio
Azz, lo sapevo che il mio topic avrebbe fatto furore...
sono tutti troppo accidiosi per rispondere
Vecchio 06-01-2010, 01:04   #4
Banned
 

Apri un topic sull'importanza dell'aspetto fisico se vuoi fare audience.
Vecchio 06-01-2010, 01:09   #5
Esperto
L'avatar di clanghetto
 

Io sono un po' di entrambi anche se ho dei periodi dove non ho voglia di fare nulla (come da qualche settimana).

Non riesco mai a prendere una posizione ben precisa nelle cose, tendo a rimanere vago.
Vecchio 06-01-2010, 01:16   #6
Esperto
L'avatar di uffolo
 

Cado nella seconda, anche se potrei essere inconsapevole di un eventuale rancore contro gli altri...
il non fare lo sto cercando di definire da un po', ma vado in iterazione perchè mi dico "ma chi me lo fa fare a dare una definizione al 'non fare', accorgendomi che esalto tal concetto iterandolo all'infinito.
Vecchio 06-01-2010, 21:52   #7
Esperto
L'avatar di Amylee17
 

Trovo l'argomento del thread particolarmente interessante, e mi piacerebbe non solo confrontarmi su di esso, ma anche trarne delle considerazioni, soffermandomi punto per punto, poco alla volta.
Rispondo con una piccola riflessione, di getto.
Prendiamo proprio come esempio il celebre quadro Melancholia I di Dürer - che personalmente non conosco e su cui non ho mai ancora letto nulla, salvo una piccola considerazione che era saltata all'occhio subito anche a me, e per questo ora la riporto (link --> http://utenti.quipo.it/base5/numeri/melencolia.htm)



Notate il quadrato.

E' un quadrato magico di ordine 4, cioè formato da 4x4 caselle.
La sua costante magica è 34, cioè la somma dei numeri che si trovano in ogni riga, ogni colonna e ogni diagonale è 34
* la somma dei numeri di ciascuno dei quattro quadrati 2x2 agli angoli è sempre 34;
* anche la somma dei numeri del quadrato centrale è 34.


Analizzandone solo il quadrato magico e le sue peculiarità presumibilmente non casuali, si potrebbe presupporre che tale elemento simbolico rappresenti una sorta di ripetitività incessante, un perenne e ossessionante ritmo prestabilito.
Mi spiego, i numeri potrebbero rappresentare i momenti, momenti legati tra di loro da un filo logico all'insegna della ripetitività persistente (una costante che non varia), caratterizzati da un contesto schematico e preimposto: la campana non a caso è situata proprio sopra il quadrato magico, la cui corda che esce dal quadro potrebbe simboleggiare un ritmo dettato.
Prigionia. Ripetitività spasmodica. Un elemento estraneo (la corda) che controlla il ritmo di questi momenti, un elemento che tra l'altro c'è ignoto, non visibile, e che impone sistematicamente questo ritmo. E ci riconduciamo al termine: prigionia.
Cosa dovrebbe indurre ad azionare la nostra volontà di agire, quando il ritmo degli eventi è perennemente scandito in maniera talmente schematica, imposta...? Ci sentiamo abbacchiati, stanchi e affranti da tutto questo tic-tac - tic-tac incessante, e alla fine abituati, assuefatti, così tanto da non esserne più addolorati. Apatia, inerzia, senso perenne di vuoto...
Ci adagiamo noi allo schema simbolicamente numerologico preimposto? E' lo schema/quadrato stesso che ci cattura e imprigiona nel suo sistema di numerazione? Nel primo caso, forse, ci si sente più rassicurati. Nel secondo, subentriamo in un circolo vizioso senza più fine.
E se potessimo noi tracciare quei numeri? E se non potessimo, invece? Se alla fine s'aggiungessero automaticamente altri numeri non dettati da noi (ma da eventi esterni che sì ci riguardano strettamente ma che non sono soggetti alla nostra volont&#224 che ci ricondurrebbero in questo schema, sistema? Ecco che ci sentiremmo nuovamente e più che mai melanconici.
L'accidia…

Ultima modifica di Amylee17; 06-01-2010 a 21:54.
Vecchio 06-01-2010, 22:24   #8
Esperto
L'avatar di Amylee17
 

A proposito, una nota interessante:

Trentaquattro era un numero molto caro agli alchimisti per le sue proprietà particolari. Ad esempio è la costante magica all'interno del quadrato magico 4x4, riportato anche all'interno dell'incisione Melancholia I di Albrecht Dürer [ecco, infatti].
E' il nono numero della successione di Fibonacci e il sesto in quella di Markov.
L'inesattezza della formula φ(x)=34 lo rende un numero nontotiente e al contempo, l'impossibile eguaglianza x-φ(x)=34 lo rende altresì un numero noncototiente.
E' il numero atomico del Selenio, nella smorfia napoletana corrisponde alla testa e digitandolo sulla tastiera telefonica il prefisso 0034 raggiungeremo la Spagna. Infine, se dalla nostra libreria preleviamo il Conte di Montecristo, potremo notare che 34 è il numero di prigioniero assegnato ad Edmond Dantès.
Vecchio 06-01-2010, 22:58   #9
Esperto
L'avatar di cosechenonho
 

a me è piaciuto il post... la pigrizia dell'anima, mi ci riconosco un bel po'
Vecchio 18-01-2010, 02:30   #10
Esperto
 

Quote:
Originariamente inviata da Amylee17 Visualizza il messaggio
Cosa dovrebbe indurre ad azionare la nostra volontà di agire, quando il ritmo degli eventi è perennemente scandito in maniera talmente schematica, imposta...? Ci sentiamo abbacchiati, stanchi e affranti da tutto questo tic-tac - tic-tac incessante, e alla fine abituati, assuefatti, così tanto da non esserne più addolorati. Apatia, inerzia, senso perenne di vuoto...
Ci adagiamo noi allo schema simbolicamente numerologico preimposto? E' lo schema/quadrato stesso che ci cattura e imprigiona nel suo sistema di numerazione? Nel primo caso, forse, ci si sente più rassicurati. Nel secondo, subentriamo in un circolo vizioso senza più fine.
E se potessimo noi tracciare quei numeri? E se non potessimo, invece? Se alla fine s'aggiungessero automaticamente altri numeri non dettati da noi (ma da eventi esterni che sì ci riguardano strettamente ma che non sono soggetti alla nostra volont&#224 che ci ricondurrebbero in questo schema, sistema? Ecco che ci sentiremmo nuovamente e più che mai melanconici.
L'accidia…
Grazie per aver trovato interessante il mio umilissimo topic

Mi sembra di ricordare che nello speciale di History Channel che avevo citato all'inizio si parlasse anche di Melancholia di Durer, guarda caso, insieme ad altre rappresentazioni allegoriche dell'accidia...
Ad ogni modo volevo dire che condivido questa interpretazione, spesso è proprio la sfiducia (fondata o meno che sia) nelle nostre possibilità a portarci all'inazione (almeno è così per me). A che pro imbarcarsi in compiti che non si sa se e quando si riuscirà a portare a termine, o la cui riuscita dipende anche o soprattutto da fattori esterni? Possiamo consolarci con la massima di Aristotele (citata anche da Dante nel Purgatorio: http://it.wikipedia.org/wiki/Belacqua) che l'anima diventa più saggia, se si sta in quiete, ma alla fine, come non è facile trovare un senso e una spinta al nostro agire, così non è facile neanche dare un senso al nostro ozio, che diventa un vuoto:

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