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Vecchio 22-06-2015, 10:32   #1
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In questo topic narrerò la sequenza di eventi che mi ha fortunosamente portato fuori dalla fobia sociale e dai problemi annessi.
Sarò molto schematico, in maniera tale che i punti chiave siano messi in evidenza.

Stato iniziale Febbraio 2012. Abitavo a Roma, dove studiavo. Avevo alcune persone con cui interagire ed uscire. Non credevo che interagire ed uscire avesse una qualche utilità pratica. Ciò che era fondamentale, invece, era dedicarmi alle mie passioni intellettuali, come la geografia, la storia, la filosofia, la fisica, le lingue. Senza distinzioni. Ciò che era fondamentale era accrescere il mio patrimonio culturale personale e trovare mezzi per imparare più efficientemente.

Questo modo di comportarmi nascondeva una forte insicurezza in me stesso e un grosso pregiudizio nei confronti delle persone che non accrescevano il proprio patrimonio culturale.
Tutto questo scaturiva dalla forte oggettività dei miei valori, ossia essi erano focalizzati su caratteristiche oggettive delle persone piuttosto che sulle loro qualità umane.

Il mio scarso interesse nei rapporti sociali induceva in me una forte sofferenza, non deducibile immediatamente. Ad esempio, ero continuamente insoddisfatto nel modo in cui mi comportavo in presenza di altre persone. Avrei voluto essere accogliente, caloroso, fiducioso, vedere i pregi degli altri: ma non riuscivo, c'era qualcosa che me lo impediva.

Analizziamo ancor più nel dettaglio lo stato delle cose nel febbraio 2012.

Uscivo da una situazione di forte disagio. Per gran parte delle scuole superiori ero stato vittima di prese in giro forti, le mie qualità intellettive venivano sempre messe dietro a quelle di alcuni compagni. Credevo di essere una persona dal nullo valore, e avevo un forte desiderio di rivalsa. Desideravo mostrare a tutti che potevo essere intelligente e questo contava quasi più di tutto.

Però c'era comunque una dissonanza cognitiva. Perché dovevo uscire con i miei compagni di corso, se tutto ciò che contava era mostrare di essere intelligente? A che cosa mi sarebbe giovato? L'intelligenza è una qualità oggettiva, non c'è bisogno che altri la riconoscano perché sia reale.
Quindi tendevo all'isolamento, nonostante avessi la possibilità di frequentarmi con qualcuno.

Questo isolamento, naturalmente, mi rassicurava, ma mi causava non pochi problemi. Prima di tutto, percepivo un filo di oscurità in me. Quando uscivo con gli altri, interagivo magari per strada, o in università, vedevo gli altri come una massa di difetti impressionante. Se qualcuno sbagliava lessico, esprimeva concetti irrealistici, stavo male, giudicavo quelle persone male. Se qualcuno invece utilizzava un lessico più forbito del mio, stavo male io.
Competizione. Tutto questo indicava che nel mio universo c'ero solo io e che gli altri costituivano una grave minaccia alla mia incolumità.

La situazione rimase stabile fino al novembre 2012.
Quel mese, accadde che fui colto dal disturbo ossessivo omosessuale, un disturbo d'ansia. Non a tutti gli utenti del forum sarà capitato di essere colpiti dal disturbo ossessivo compulsivo. Non è un'esperienza gradevole, però può portare degli insegnamenti.
Analizziamo il decorso del mio male.

Inizialmente ero "attratto" (per finta: così funziona il DOC omosessuale) dagli uomini intelligenti. Questa attrazione, per me del tutto innaturale, mi indusse a ricordare le donne da cui ero stato attratto davvero, nella realtà, e i motivi per cui ero stato attratto. Durante un lungo viaggio interiore, scoprii delle realtà per me inusitate. Prima di tutto, le ragazze da cui ero attratto non erano necessariamente corrette nei concetti, istruite eccetera.
Erano prima di tutto corrette nel comportamento, poi magari avevano anche una certa potenza intellettuale, ma questo doveva necessariamente venire dopo. Questo fatto fece scricchiolare la priorità che nella mia vita davo alle qualità mentali, e una serie di sistemi cadde.

Cadde, prima di tutto, il desiderio di competizione. Che senso aveva competere con gli altri, se le qualità intellettuali non sono poi così importanti nel farmi innamorare di una ragazza e dunque nel farmi avvicinare a qualcuno? Sarei risultato più interessante se avessi coltivato il mio intelletto? Certamente no.

Questo doveva valere per un'altra serie di qualità di tipo oggettivo. Sarei risultato più interessante se fossi stato famoso, se avessi scritto un libro, se avessi composto delle canzoni, se avessi saputo suonare uno strumento, se fossi stato un esperto di informatica, se avessi conosciuto più parole di chiunque? Forse, ma non per questo qualcuna si sarebbe innamorata di me. Non poteva essere per questo. Non mi era mai capitato di innamorarmi di qualcuna per questo.

L'innamoramento è un estremizzazione del volere bene, quindi queste conclusioni si dovevano applicare ad ogni rapporto umano.

Tutto, però, rimaneva astratto. Era ben chiaro che le persone con cui volevo interagire non erano competitive, non davano peso ai valori oggettivi bensì ai valori umani, ed era chiaro che anche io avrei dovuto fare lo stesso. Ma ne ero sicuro al 100%? Non stavo forse ingannando me stesso? Perché avrei dovuto dare peso ai valori umani? Che cavolo me ne fregava degli altri? Non avrei potuto semplicemente stare bene da solo ed accettarmi per quello che ero, cioè un lupo solitario che coltiva i suoi interessi e basta?

Naturalmente no. Aprile 2014. Mi innamoro di una ragazza che coltiva valori intellettuali, e finisce male. Morale: l'astrazione era diventata concretezza. Io non potevo voler dare più peso all'intelletto che agli altri. La ragazza in questione, per coltivare i propri interessi, rifiutava l'interazione. Ed io soffrivo. Volevo davvero causare sofferenza a qualcuno? Erano questi i miei desideri profondi?

Ma il percorso era ancora incompleto. A questo punto me ne fregava di me, della mia ipotetica fidanzata, forse dei miei genitori e di qualche mio amico, e nulla più. Gli altri contavano zero. Ma mi resi conto che mi sbagliavo.

Continua...
Ringraziamenti da
Blimunda (22-06-2015), cancellato15035 (22-06-2015)
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