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Vecchio 18-01-2013, 01:07   #1
Esperto
L'avatar di Tararabbumbieee
 

Così Dostoevskij, il più grande scrittore dell'era moderna, apriva il suo celebre, tremendo romanzo intitolato Ricordi dal sottosuolo:

"Sono un malato… Sono un malvagio. Sono un uomo odioso. Credo d’avere male al fegato. Del resto non so un corno della mia malattia e non so con precisione dove ho male. Non mi curo e non mi sono mai curato, sebbene tenga in gran conto la medicina e i medici. Inoltre sono estremamente superstizioso, comunque abbastanza superstizioso da tenere in gran conto la medicina. (Sono colto quanto occorre per non essere superstizioso, ma lo sono). No, non voglio curarmi per malvagità. Ecco una cosa che certo voi non vi degnerete di capire. Be’, ma io la capisco. S’intende che non so spiegare a chi appunto faccia dispetto in questo caso con la mia malvagità; so perfettamente che non faccio un torto ai medici col non andarmi a curare da loro; so meglio di chiunque che in questo modo faccio male soltanto a me stesso e a nessun altro. Tuttavia se non mi curo è ugualmente per malvagità. Ho male al fegato: ci ho gusto, possa venirmi ancora di più!" (sottolineature mie).


Ecco, non credo che esistano parole migliori di queste per introdurre il problema di cui ora vorrei parlarvi.
Vedete, è da ormai diversi anni che mi sono reso conto di nutrire una profonda avversione nei confronti della mia persona. Un’avversione durissima e violenta la quale, pur trapelando difficilmente all’esterno (al massimo viene scambiata per un semplice malumore passeggero), invade e percuote l’intero mio essere portandomi ad augurare e ad immaginare che a me stesso capitino le peggiori disgrazie, dalla malattia alla morte violenta, l’importante è che si tratti di episodi assolutamente violenti ed umilianti. L’importante è che la mia immagine ne esca a pezzi, distrutta, ridotta ad una poltiglia ripugnante e sanguinolenta. L’importante è che io mi veda soffrire tutta la sofferenza concepibile, sino a cadere nel fango e venire sepolto dalla sua immondizia.

Durante questi momenti, la sensazione che provo non è paradossalmente di dolore, di dispiacere, ma di soddisfazione bestiale, di trionfo oltraggioso, di velenosa gioia, come se a finire martoriato nella polvere non fossi io, ma un altro individuo verso il quale provo soltanto rabbia e disprezzo. Ed è così che, mentre contemplo queste funeste, terrificanti visioni, avverto tra le labbra l’amaro piacere della sconfitta, l’inebriante senso del fallimento, come un liquido caldo e scuro che parte dalle viscere, si fa strada attraverso il mio corpo e infine straripa voluttuoso dalla mia bocca deformata in una smorfia ghignante…

Con il passare del tempo ho notato che queste sensazioni tendono ad emergere con una certa regolarità a ridosso di circostanze nelle quali mi trovo ad avere palesemente a che fare con la mia sostanziale inettitudine alla vita, la mia incapacità di affrontare situazioni considerate normalissime da qualunque altro primate dotato di pollice opponibile, il mio tremendo ritardo in ogni settore dell’esistenza, dallo studio al lavoro all’amore…è proprio in presenza di tali situazioni che mi capita, per tutto il corso dei giorni successivi, di essere assalito da esacerbanti e invisibili accessi d’ira del tipo di quelli descritti poc’anzi...

Mi rendo conto che si tratta di sensazioni a dir poco patologiche (anzi, dire patologiche è un eufemismo), eppure ogni volta esse si ripresentano non riesco minimamente a volermi sottrarre a questo stato d’animo che pure mi intristisce e mi fa stare male, ma anzi, vi cedo con tutto il trasporto ed il desiderio di cui sono capace, proprio come accade al protagonista stesso del romanzo di Dostoevskij, che gode nel cacciarsi in situazioni umilianti e soffrire sino all'ultima goccia dei suoi tormenti…

Mi piacerebbe riuscire a capire perché accade tutto ciò: è evidente che io mi odio, mi detesto con tutta l’anima, perché sono un fallimento della natura, perché a un essere idiota come me non dovrebbe nemmeno essere concesso di vivere, e che se nella realtà non giungo ad infliggermi i tormenti sui quali comunque mi trovo a fantasticare, è soltanto perché ho paura del dolore fisico che inevitabilmente proverei qualora provassi a farlo…Eppure questa spiegazione non mi basta, sento che le cose non sono così semplici, che c’è ancora molto altro da portare a galla, anche se purtroppo ignoro di cosa si tratti...

Vorrei pertanto chiedervi: è capitato anche a voi di avere delle fantasie così “malate” e irrispettose nei confronti di voi stessi? O comunque di provare odio nei vostri confronti a causa delle lacune e difetti che avete?
Io so solo che mi è impossibile perdonare le mie insufficienze, accettare i miei limiti, e che continuerò verosimilmente a tormentarmi per tutto il corso della mia esistenza (che mi auguro sia il più breve possibile, ma che tuttavia so bene che non finirà mai abbastanza presto)…e dire che, a pensarci bene, l’unica vero peccato di cui io mi possa incolpare è semplicemente quello di essere nato, nemmeno per responsabilità mia peraltro, bensì per opera di un paio di stronzi che una sera di quasi 28 anni fa non avevano un cacchio di altro di meglio da fare che concepire un figlio...
Vecchio 18-01-2013, 01:11   #2
Esperto
L'avatar di barclay
 

La mia propensione al suicidio è volontà di alleviare un dolore, non autopunizione
Vecchio 18-01-2013, 01:15   #3
Esperto
L'avatar di Tararabbumbieee
 

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Originariamente inviata da barclay Visualizza il messaggio
La mia propensione al suicidio è volontà di alleviare un dolore, non autopunizione
Anch'io guardo al suicidio come liberazione, una liberazione dal male inevitabile della vita e soprattutto dal male evitabile che tuttavia sono io stesso a volermi infliggere...forse perché ormai è assodato che è l'unica cosa che io sappia fare veramente
Vecchio 18-01-2013, 01:23   #4
Banned
 

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Originariamente inviata da Tararabbumbieee Visualizza il messaggio
OP
Sulle cause, io direi che star male psicologicamente è comunque una sensazione, un'emozione: quando portata all'estremo, può quindi piacere.
Un po' come l'autolesionismo per sentire qualcosa di "vitale", di diverso dalla noia, dall'apatia. Il tuo potrebbe essere un autolesionismo psicologico, per così dire.
Che non va visto, secondo me, come qualcosa di negativo/irrecuperabile.
Se riesci ad usare la tua energia, la tua rabbia, etc, in altri contesti, puoi spostare l'ago della bilancia e "sentirti vivo" in una maniera più positiva che, si spera, porti meno amarezza.
Vecchio 19-01-2013, 21:13   #5
Esperto
L'avatar di dentromeashita
 

sono fondalmentalmente,(sarebbe lungo raccontare)votato alla mia autodistruzione,anche se lo nego,si capisce,e io capisco,che non è una strada scelta,è una condizione,non so se innata o acquisita,ma temo l'ultima.
Vecchio 19-01-2013, 21:18   #6
Esperto
L'avatar di dentromeashita
 

nel mio caso la volontà di morte è piu forte della voglia di amare ed essere amato.non ambisco al suicidio,aspetto il mio turno e ci fantastico sopra,quella resta cmq la porta d'uscita,la fine dei guai,ci convivo e basta con la voglia di morire.
Vecchio 19-01-2013, 23:23   #7
Esperto
L'avatar di Tararabbumbieee
 

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Originariamente inviata da Vanitas Visualizza il messaggio
Sulle cause, io direi che star male psicologicamente è comunque una sensazione, un'emozione: quando portata all'estremo, può quindi piacere.
Un po' come l'autolesionismo per sentire qualcosa di "vitale", di diverso dalla noia, dall'apatia.

C'è del vero in quello che dici, Vanitas, e già diverse volte mi è capitato di soffermarmi a riflettere su questa prospettiva, anche se poi l'altra sera nella foga mi sono dimenticato di citarla...

Come sottolinei tu, infliggersi pene e tormenti (che lo si faccia materialmente oppure attraverso il solo ricorso all'immaginazione) può rappresentare senz'altro un modo per affermare, o meglio ancora per lasciar sfogare, in mancanza di sbocchi verso una strada più costruttiva, la propria forza vitale, quel groviglio enigmatico di energie che si muovono e strisciano come serpenti negli abissi insondabili del nostro essere...a questo proposito mi viene da ripensare a quel tale che una volta disse: "se non hai mai visto il diavolo, guarda il tuo io". Ecco, costui aveva proprio ragione, aveva capito tutto. In che senso? Nel senso che l'ego, la coscienza, quando non riescono a realizzarsi in modi positivi, possono trasformarsi in un meccanismo infernale, in una dannatissima trappola capace di incatenare l'anima in un'autentica spirale di sofferenza e malignità, a tal punto che la coscienza e l'ego stessi, anziché provare dolore e cercare di scuotersi da questa situazione in cui sono precipitati, trovano semmai un perfido piacere nel rimanervi, trovano una splendida voluttà, un ebbro compiacimento nel condannarsi ad assistere allo spettacolo della loro tortura...e questo accade proprio perché, alla luce delle sofferenze inflitte e patite, l'ego e la coscienza percepiscono comunque in tal modo di stare vivendo, di stare compiendo un atto vitale, di sprigionare quelle energie altrimenti impossibilitate ad esprimersi in una direzione migliore...anche il protagonista dei Ricordi dal sottosuolo si trova in una situazione analoga, anch'egli, cioè, scopre che al fondo della propria auto-flagellazione alberga la potente testimonianza che nonostante tutto il male che si arreca, anzi proprio grazie a quel male, egli percepisce di esistere, egli afferma il proprio ego, pur se in maniera malata e a detrimento di sé.
Fare a sé stessi del male, o desiderare il male per sé stessi, insomma, credo anch'io come te che costituisca l'ultimo disperato tentativo di sfogare la forza vitale del proprio ego allorché, per un motivo o per un altro, non sia rimasta alcuna altra strada da percorrere...

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Originariamente inviata da Vanitas Visualizza il messaggio
Il tuo potrebbe essere un autolesionismo psicologico, per così dire.
Che non va visto, secondo me, come qualcosa di negativo/irrecuperabile.
Se riesci ad usare la tua energia, la tua rabbia, etc, in altri contesti, puoi spostare l'ago della bilancia e "sentirti vivo" in una maniera più positiva che, si spera, porti meno amarezza.
Per quanto riguarda la mia situazione, non credo di avere molte speranze di recupero. Dico questo in primo luogo perché, dal momento che appunto odio me stesso, godo nel fustigare ogni speranza che mi riguardi, godo nello stuprare ogni prospettiva che contempli per me la possibilità di un cambiamento, di una redenzione della mia sudicia, inutile vita (il mio ego, infatti, da bravo tiranno infernale qual è diventato negli anni, pretende di continuare a controllare il mio intero spazio vitale e non può tollerare un cambiamento dell'attuale situazione, poiché ciò significherebbe sovvertire il suo dominio).
Ed inoltre lo dico, in secondo luogo, perché ogniqualvolta provo a rimettermi in piedi, cado subito a terra alle prime difficoltà e non riesco a superare i pur minimi scogli - segno, questo, da cui si evince in maniera piuttosto chiara che non dispongo delle capacità minime adatte per affrontare la vita in maniera adulta e responsabile...

Nel complesso, dunque, non posso che considerarmi un uomo perduto.
E sì, cazzo, sì, quanto mi piace ascoltarmi mentre lo dico!!...
Vecchio 19-01-2013, 23:32   #8
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Devo ammettere che è una sensazione che conosco molto bene. Lo chiamavo sempre "lo spleen" o "estate maledetta". So che può sembrare controverso chiamarlo così, ma era la prima parola che associavo a quella sensazione. Era una malinconia amara accompagnata a un senso di insoddisfazione che sfociava gradualmente in un potente odio autodistruttivo.
Facevo dei sogni molto strani quando ero in quello stato, che spesso avevano come scenografia luoghi molto assolati e c'era anche del sangue. Era come un dolce sfinimento. Considerando però che quelle ore le passavo perdendo molto tempo in perfetta immobilità. I momenti di lucidità venivano gradualmente velati da una specie di autoflagellazione psicologica esponenziale; mi facevo schifo e provavo gusto in questo. Mi odiavo proprio. Come se dentro di me ci fosse qualcuno che volesse svalutarmi, distruggermi in tutti i sensi. Il tutto era accompagnato da una sorta di caduta infinita...uno sprofondare eterno. Come se il fondo non fosse mai abbastanza vicino. E' quando tocchi il fondo e continui a scavare. Perché non hai voglia di risalire. Troppo lontano, troppo scomodo. E quindi ti diverti a vedere la luce dell'uscita sempre più distante, ti chiedi dove puoi realmente arrivare, dov'è il punto in cui non riesci più a vedere nessuna luce. E capisci che se vuoi puoi continuare così in eterno. Trasformavo in certezze le mie paure, e l'autocritica in uno schiacciarsi sotto il proprio stesso peso...come se fossi una foglia secca, che si sgretola, fino a ridursi in polvere, polvere che vola via, si disperde. Mi torna in mente la frase di Montale: "era l'incartocciarsi della foglia riarsa."
Solo che questa cosa era molto più grave. Aveva qualcosa di dannato, irrimediabile, ma anche disperatamente dolce, irresistibile. E' guardarsi allo specchio e odiarsi profondamente, maledire di essere nati, maledire di stare vivendo, maledire la propria faccia che sembra così schifosa.
Grazie per questa tua testimonianza, caratteriale, trovo che sia veramente preziosa. Bellissime e tremendamente efficaci le espressioni che hai usato, come quella dell'estate maledetta, e soprattutto della foglia che si accartoccia su sé stessa...

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Originariamente inviata da caratteriale Visualizza il messaggio
Ho smesso di fare questo dopo che ho capito che esistono cose buone dentro di me, nel mondo e nelle altre persone. Dopo che -banale ma incisivo- ho capito quante persone avrebbero dato via la propria anima per avere almeno la metà, almeno una delle cose, della salute, dell'intelligenza, della bellezza che avevo io. Sembra ipocrita ma è così. Mi è capitato di sentire la salute vacillare, ho rischiato di perdere la bellezza, ho rischiato di uscire seriamente di testa. Allora ho capito. E' stato come uno strappo, e l'istinto di sopravvivenza e di autoconservazione hanno avuto la meglio.
E' stata la mia strada per capire, e quindi non dev'essere così anche per gli altri. Perché ognuno ha la sua "dannazione", e quindi la propria strada per la conoscenza e la salvezza. Vabè, conoscenza e salvezza, per modo di dire. Per me è stato più uno svegliarmi.
Molto interessante. Posso chiederti come ti è capitato di capire tutto questo? E' stata una tua reazione personalissima, o ti ha aiutato qualcuno a raggiungere questa consapevolezza (ad esempio uno psicologo, o un amico, o un parente, ecc)? Quanto tempo fa ti è accaduto (più o meno)? E da allora, hai riscontrato degli effettivi miglioramenti nella tua vita?
Perdonami, mi rendo che si tratta di domande molto intime, ma se possibile gradirei molto conoscere le tue risposte...
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