Ogni tanto passo da qui. Non molto spesso in verità perché l'empatia è un'arma a doppio taglio che per avvicinare ha bisogno di ferire. Passo di qui dicevo, e leggo a lungo, presto attenzione alle parole scritte e quelle nascoste tra le righe, mi immedesimo fin dove posso. A volte mi illudo di comprendere, altre volte resto distante. Ma penso che questo sia inevitabile.
Vorrei rispondere, aggiungere la mia prospettiva. Magari comincio anche a dare forma al mio pensiero. Ma poi mi fermo. Le parole non sono vento che passa e di cui non resta ricordo. Le parole pesano, lasciano il segno, possono far male. E le mie di parole sono spesso discordanti, taglienti, drastiche nel separare il bianco dal nero. Non posso non chiedermi con che diritto io possa esprimere giudizi su vicende che colgo solo di striscio, non posso non pensare che anziché costruire le mie parole potrebbero contribuire a distruggere.
A volte a dire il vero mi sembra che chi scrive non la voglia neppure una discussione ma stia solo cercando una platea a cui raccontare la sua storia. Che cosa potrei rispondere quindi? Chi cerca conferme scarterà comunque le risposte non allineate alla sua idea. Chi cerca consigli rischia di farsi travolgere dalla visione altrui. Mi fermo quindi, con un pizzico di invidia verso chi invece trova sempre un modo per intervenire.
E questo nella piena consapevolezza che il silenzio comunque non è una risposta. Dunque (mi) chiedo: in cosa sbaglio?